A la Sensa, mati chi pensa!
La ricorrenza dell’Ascensione del Signore al cielo (la Sensa) quaranta giorni circa dopo la Risurrezione di Cristo era una festa molto importante per Venezia e lo era per due motivi, il primo religioso e il secondo perché coincideva con la cerimonia dello Sposalizio col Mare. Tutta la città era invitata a partecipare con grande sfarzo, dalla conca dell’Arsenale usciva il Bucintoro una grande nave da parata, il Doge con tutto il Senato veniva fatto salire e poi seguito da una moltitudine di barche addobbate a festa veniva scortato fino alle bocche di san Nicolò al Lido dove una grande moltitudine di gente assisteva alla grandiosa cerimonia officiata dal Patriarca e il doge che assieme rinnovavano questo legame tra il mare e la città di Venezia “Desponsamus te mare in signum veri perpetuique domini”. Si svolgeva per tutto il mattino e appena conclusa si navigava fino al Palazzo Ducale, come pure nelle case della nobiltà per banchettare per tutto il giorno: da qui il detto “dala Sensa mati chi pensa” ovvio assicurare che i banchetti così pure la Fiera allestiti al Lido imitavano le allegorie dei palazzi e lungo tutte le rive dei sestieri in egual misura si festeggiava con grande baldoria.
Passati i giorni della festa veneziana la nobiltà si trasferiva nelle dimore di campagna (adesso si dice che si va in vacanza), accolti festosamente al loro arrivo nelle corti delle Ville, maestosi esempi di architettura rurale, realizzate dai più grandi architetti del tempo, uno su tutti Palladio, belle e imponenti, lussuose e confortevoli soprattutto dovevano rispecchiare fedelmente quello che rappresentava la vita lasciata a Venezia, ecco che allora c’era sempre il salone per i balli, il teatrino posto sopra alla “giasara” (ghiacciaia) che doveva allietare le serate estive, il salottino della musica, affreschi che abbellivano le pareti e i soffitti con allegorie sfarzose da far notare la notorietà della famiglia che aveva costruito la villa, non si facevano mancare nulla e orgogliosi lo mostravano ai loro ospiti, spesso allestivano delle feste invitando amici e conoscenti dove i cuochi si prodigavano volentieri nel preparare dei piatti della cucina tipica o altre volte si lasciavano andare a nuove ricette da poco sperimentate lanciandosi in nuove interpretazione consultate nei ricettari che le tipografie di Venezia continuavano a pubblicare.
“A la Sensa mati chi pensa!” essere privi di ogni preoccupazioni e occupazione per godere della vita, superare le difficoltà e i dispiaceri vivendo la gioia dello stare insieme seguendo uno stile rimasto inconfondibile nei secoli fino al giorno funesto della resa dopo che le truppe napoleoniche avevano occupato la città e nove secoli di vita sembravano cancellati definitivamente. Ma la vita inconfondibile della Repubblica Serenissima dopo molti anni riprese non con le stesse virtù ma comunque col particolare sostegno della memoria che la fece rinascere pur senza rancore.
Il periodo della vita in villa è ben descritto in una poesia di Carlo Goldoni, (il periodo è il settecento, quindi ben oltre la nascita dell’interesse che i nobili veneziani manifestarono quando spostarono una parte dei loro interessi nelle campagne della Repubblica) essa ben descrive quello che vivevano gli ospiti che soggiornavano nelle ville e Goldoni aveva avuto l’onore di frequentare la villa di Lodovico Widman di Bagnoli (piccolo paese della bassa padovana):
“El paron generoso accoglie tutti
con trattamento nobile e cortese.
E ho godesto anca mi de sti bei fruti.
L’anno passà son sta a Bagnoli un mese,
a non lodar bisognaria essere muti
le gran tole, i gran spassi e le gran spese:
ma quel che più de tuto fa stupor
del paron de casa el gran buon cuor.
Tuti gode un’intiera libertà,
dorme chi vol dormir, magna chi ha fame,
balla chi vole ballar, canta chi sa,
chi va solo in zardin, chi cole dame,
chi a sie cavalli strasinar se fa,
chi visita le razze e chi el bestiame
chi zoga a tavolin la note e ‘l dì…”
Dopo la festa della “Sensa” molti partivano in gondole per andare ad occupare le loro ville di campagna in quei territori resi fertili e produttivi dopo anni impiegati a bonificarli da continue inondazioni provocate dai fiumi che li oltrepassano, con risultati sorprendenti, perché ancora oggi le opere idrauliche eseguite in quel periodo che va dal 1500 fin quasi alla fine del 1700 sono utili ancora oggi (qualcuno ha scritto che in questo periodo iniziò la decadenza di Venezia mentre io continuerò a scrivere “al contrario” e la testimonianza viene da quanto appena descritto).
Le fotografie sono della collezione di Paolo Nequinio e descrivono alcune rievocazioni storiche in costume veneziano per ricordare la vita che si svolgeva nelle ville di campagna.