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Bati marso – Batti marzo

Bati marso – Batti marzo

Il tempo atmosferico segna le stagioni e in alcuni periodi della storia umana non sbagliava mai, tutto era molto preciso tanto che ad ogni equinozio o solstizio coincideva con l’inizio dell’inverno o della primavera, così anche con l’estate e l’autunno. La natura inviava i suoi segnali molto chiari che si potevano osservare nei campi: quando faceva freddo, la terra ghiacciava, cadeva la neve, l’erba e le piante si riempivano di ricami argento fatti dalla brina si diceva siamo in inverno; quando tutti questi fenomeni iniziavano a sparire e l’erba ripartiva rigogliosa, sui rami ricomparivano le grosse gemme e iniziavano a sbocciare i fiori sulle piante da frutto così come i campi si ricoprivano di fiori: margherite, ranuncoli, tarassachi, malva, non ti scordar di me, viole qualche campanula, allora si capiva che l’aria diventava mite e così iniziava la primavera. Ai giorni nostri è ricorrente la frase che “sono sparite le stagioni, non esistono più le mezze stagioni, sono in atto dei cambiamenti che hanno rivoluzionato l’atmosfera con conseguenze a volte catastrofiche”.

Con l’equinozio di primavera nel nostro emisfero boreale si vuole che la natura si risvegli dal letargo invernale, vedere spuntare i boccioli dei fiori nei giardini, riscontrare la nascita di alcune primizie nell’orto, piantate alcune settimane prima, insalatine verdi, qualche germoglio, delle erbe spontanee, da bollire nell’acqua, il tarassaco prima della fioritura del suo fiore giallo, le rosee del papavero, la silene, i germogli di luppolo selvatico, i bruscandoli, buoni per i risotti o delle minestre.

Anche la gente si rianimava e voleva far festa per dimenticare il duro inverno e nonostante sia comunque un periodo di sacrifici perché siamo in Quaresima ci si recava di casa in casa facendo un sacco di rumore e con dei bastoni si battevano dei coperchi o vecchie pentole arrugginite, si cercava in qualche modo di aiutare la primavera a scacciare l’inverno. La gente di campagna era stanca “de fare fiò” nella stalla, (ritrovarsi assieme alle bestie per scaldarsi e trascorre le serate, raccontandosi le storie, le notizie, le cantilene”) con il lume a petrolio messo nell’angolo lontano dalla paglia che rischiarava a mala pena, le sedie in cerchio, le mamme cullavano i bambini piccoli o rammendavano dei consunti vestiti, altre invece recitavano il rosario con le litanie in latino. Gli uomini in un altro angolo a giocare a carte o a far programmi dei lavori da svolgere: la potatura delle viti e delle piante “i selgari”, in cantina “el travaso del vin”, sistemare la paglia e il fieno nel fienile, la cova delle uova nel pollaio per riempirlo di pulcini, anche nella stalla si pensavano alle nascite dei vitelli.

Tutta la vita sembrava una rinascita e piano piano ci si avvicinava alla “festa granda di Pasqua”, da sempre considerata la festa più importante, dove si fa memoria della risurrezione di Cristo dopo essere morto in croce e deposto nel sepolcro, per tutti coloro che si ritenevano cristiani o cattolici

Alcuni decenni fa, se non si verificavano questi cambiamenti o erano in ritardo a causa delle congiunzioni astrali subito si ricorrevano ad alcuni gesti scaramantici e si cercava di risvegliare la terra facendo un grande baccano. La terra che era cibo, lavoro, ma vita per le persone, se ritardava il passaggio dall’inverno rimanendo dura da dissodare creava preoccupazione, le scorte scarseggiavano e così si dovevano razionare e aumentavano i patimenti, la fame creava veri sacrifici.

bati marso gruppo di giovani in partenza per girovagare e far rumore per svegliare la primavera

Nei giorni di inizio di marzo si faceva el Batare Marso, battere marzo ci si alzava di buon mattino e si partiva a passo svelto e si cantavano canzoni propiziatrici come questa:“ ‘l finir de febraro che xe in ùltima l’inverno….vegnì fora sente, vegnì in strada a far casoto, a bàtare marso co’ racole, sbàtole, ranéle, bandòti, cerci, tece e pegnate….vegnì, gente…”, “è finito febbraio e sono gli ultimi giorni dell’inverno (si diceva che febbraio era il mese più freddo dell’anno), venite fuori gente, venite in strada a far chiasso, a battere per svegliare marzo, con i rocchetti di legno, tavolette e fischietti, bidoni, coperchi, pentole e pignatte da usare come tamburi, venite gente, avanti aprite, venite fuori”. e quando si bussava alle porte delle case le brave donne o le nonne portavano fuori, ciambelle di mele fritte ricoperte di zucchero e altri dolci preparati nei giorni precedenti.

Chi poteva interrompere il lavoro che stavano eseguendo si univa alla comitiva così si formava un bel drappello di vocianti scalmanati, che andavano di casa in casa, di corte in corte, alla fine del giro si riunivano in una di queste per dividere il bottino raccolto e qualche volta riservava delle sorprese perché oltre alle frittelle di mele messe nel cartoccio o subito mangiate, si potevano trovare dei dolcetti, i zuccherini, dei cioccolatini, del croccante quello fatto con le arachidi, le noci, le nocciole, rivestite di zucchero caramellato, allora questi dolcetti si tenevano da parte per i giorni successivi.

Ed era bello poter risvegliare la terra perché così tutto ricominciava sia il lavoro nei campi, come dappertutto.

Adesso notiamo che questa tradizione del “batare marso” si è dimenticata, e così pure “el fiò” fatto nelle stalle (solo nelle valli trentine si cerca di rifarlo con risultati interessanti perché è molto partecipato dalle persone e dai turisti) ed anche altre antiche usanze. La televisione si è fatta interprete delle nuove abitudini, ha sostituito tutte queste feste popolari e propiziatrici, perché il chiasso lo fa lei di continuo, infatti è accesa tutto il giorno e ci ha fatto scordare le vecchie tradizioni che segnavano la cadenza delle stagioni così legate al ciclo della vita: fatta di gioie e di dolori. Il riposo dell’inverno, la vecchiaia e la morte, il risveglio della primavera, la nuova vita, la nascita di una nuova creatura (infatti una volta si evidenziava il numero delle primavere quando si chiedeva l’età delle persone), l’abbondanza dei frutti dell’estate, quindi la forza della gioventù, il corpo che diventa adulto, ed infine l’autunno dei frutti maturi, la padronanza dei gesti quella consapevolezza di essere diventati uomini e donne maturi e pronti a sostenere i figli che lasciano la propria casa per iniziare una nuova famiglia come fanno le foglie che si staccano dai rami per diventare nuova vita nel terreno sotto all’albero.

Questo periodo ci ricorda anche il, “More Veneto”, l’inizio dell’anno al tempo della Serenissima Repubblica di Venezia, con tutto quello che ci ha voluto dire nella sua lunghissima storia.

Ecco alcune ricette tipiche di questi momenti e facili da eseguire: frittelle con le mele: 150 gr. di farina fiore, 50 gr. di zucchero, 2 uova, 1 bicchiere di latte o poco meno, un pizzico di sale, 4 mele tipo sodo, la punta di un cucchiaino di lievito per dolci, aroma o buccia di limone raspata, olio di semi per friggere, zucchero semolato per guarnire alla fine. Preparazione: scaldare in un pentolino il latte senza portarlo a bollore, rompere le uova in una terrina, mettere un pizzico di sale e incorporare la farina, aggiungere il latte a poco a poco, mescolare con una frusta per evitare grumi, quindi aggiungere lo zucchero e il lievito, continuare a mescolare fino a quando si ottiene un impasto molto soffice e molle, lasciare riposare per qualche ora. Lavare e sbucciare le mele, togliere il torsolo e formare delle rondelle uniformi di spessore, a questo punto passarle nell’impasto in modo da ricoprirle bene da entrambi i lati ed infine farle scivolare nell’olio caldo ma non bollente e poche per volta. Quando sono ben dorate da entrambe i lati toglierle con una schiumarola e depositarle sopra ad un foglio di carta assorbente per togliere l’olio in eccesso. Spolverarle di zucchero semolato e servirle ben calde.

Per assaporare questo dolce realizzato in questo periodo si può accompagnarlo di vino dolce come il Moscato, il Fiori d’arancio, o un passito come il passito di Fregona o il Torcolato di Breganze.

Brustolini: semi di zucca arrostiti, sale. Le zucche usate in cucina in molte ricette prima di essere cotte per preparare risotti e minestre, venivano pulite della scorza e dai semi che non venivano gettati ma messi da parte a seccare per conservarli, sia per ripiantarli per fare altre zucche, sia per mangiarli abbrustoliti, sbucciati e salati. Liberate le “aneme” (semi) dalle “pantazze” (materiale filaccioso che avvolge i semi e si trova nella parte centrale della zucca) venivano sommariamente sciacquate e, sopra un foglio di carta, messe al sole ad essiccare. Solitamente di sera venivano messe per un certo tempo a cuocere sulla “scostà” (ripiano del forno) della stufa a legna, quando dopo aver tolto la buccia e assaggiato si mettono in una terrina dove a piacere ognuno si diverte a pescarli.

Croccante casalingo: 500 gr. di arachidi, o noci o nocciole, 300 gr. di zucchero, 20 gr. di burro, mezzo bicchiere di acqua. Preparazione: sgusciate i frutti e versateli in una padella che metterete in forno caldo non per tostarli ma per eliminare con molta facilità la pellicina che li ricoprono, sfregandoli con le mani, poi si riducono a pezzi grossolani. Mettere sul fuoco un tegame di buon spessore, lo zucchero e il mezzo bicchiere di acqua fredda, mescolare lentamente fino allo scioglimento dello zucchero quindi versate i pezzi di arachidi, o le noci, o le nocciole e continuando a rimestare bisogna fargli prendere un bel colore ambrato, aggiungere il burro e continuare a mescolare per qualche minuto ancora. Ungete con olio una lastra di metallo e versatevi il croccante caldissimo, livellate il croccante con un coltello a lama larga e ben bagnato di sugo di limone o acqua fresca. Si lascia raffreddare per bene e con lo stesso coltello si cerca di staccarlo dalla lastra lo si mette sopra un tagliere ed infine lo si taglia a piccoli quadrati che si mettono in un vassoio per essere offerti.

Le foto arrivano dalle collezione della famiglia Cattelan e Buson T.

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