Beata ignoransa

“Beata ignoransa” oppure “beata ignoranza” molto spesso questa affermazione viene rivolta ad un giovane che vuole apparire sapiente e non lo è, ti racconta dei fatti che “no sta né in cieo, né in tera”, non trovano riscontro, perché non hanno la loro dovuta documentazione.
Alcuni anni fa ho letto un articolo di un giovane giornalista di un noto quotidiano locale che affermava con particolare disappunto che a Venezia esiste la Riva degli Schiavoni e altro non è che il luogo dove ormeggiavano le navi cariche di schiavi perché nella Repubblica di Venezia sin dai tempi della sua espansione territoriale, le navi che tornavano dai viaggi, portavano anche delle persone di quei luoghi e ridotti a schiavi da utilizzare nelle dimore che si stavano allestendo nella nascente e poi consolidata Repubblica Serenissima. Nulla di più sbagliato perché gli “schiavoni” altro non erano che i popoli della vicina Dalmazia, Illiria, Croazia, che data la loro origine slava, venivano chiamati dai veneti “s-ciavi” o anche “s-clavi” e alla fine “schiavoni”, uomini e donne che per vari motivi arrivavano a Venezia e qui occupati in varie mansioni, in altri articoli ho scritto il valore di alcuni slavi che hanno reso lustro a sé stessi e a Venezia dopo aver conseguito la laurea studiando all’Università di Padova. Quindi questa riva è stata così nominata perché le barche della “S-ciavonia” si fermavano e ripartivano con particolare frequenza. Poi per completare l’argomento bisogna dire che Venezia fino alla metà del Quattrocento non ha mai conquistato territori ma bensì li ha “legati a sé” e poi amministrati ed erano in prevalenza piccole cittadine lungo la costa Dalmata usati come porti di transito e di commercio per i suoi traffici, lo stesso discorso si equivale con le città italiane del salentino pugliese. Le cose cambiarono dalla metà del Quattrocento quando i veneziani occuparono le terre delle altre Signorie poste ai confini della Repubblica arrivando fino a Bergamo.
Un’altra frase: “viajare descanta, ma chi parte mona torna mona” un antico modo di dire per assicurarsi come si doveva partire quando c’era da affrontare un viaggio piuttosto lungo, per mare, a bordo di una nave. La frase non si presta ad una chiara traduzione perché è nata dai modi di dire che solo a Venezia si possono capire solo che qualcuno ha cercato di fare una traduzione che si è rivelata discutibile. Siamo a Venezia una città che amava molte contaminazioni, soprattutto quelle culturali e linguistiche. Perciò ecco che scopriamo la parola “descanta” che non vuol dire “disincanto” o sapersi far sorprendere proprio perché si sta affrontando un viaggio, come ha scritto qualcuno, ma vuol dire “inciampo” che, credo, abbia origine dalla parola spagnola “descanto, inciampare senza cadere” e inciampare in certe circostanze ci distrae dalle nostre occupazioni che possono apparire inopportune, perché quando si va per mare bisogna tenere gli occhi ben aperti per seguire le rotta stabilita altrimenti si “perde la bussola” cioè si perde l’orientamento. Poi c’è la parola “mona” che per molti ha un significato di tipo sessuale perché molto spesso richiama proprio quella parte genitale della donna. Solo che in questo caso si riferisce ai marinai orgogliosi che spesso vogliono dare ordini agli altri con la conseguenza di spingere la barca a schiantarsi su uno scoglio che affiora a malapena dal mare, ma che sta lì giusto ad indicarci che rischiare troppo porta alla catastrofe. E alla fine essere portati a casa come naufraghi, recuperati per miracolo in mezzo al mare dopo che oltretutto si ha perso la barca e il carico di merci, questo non genera sicuramente estrema fiducia sugli altri e quel giovane marinaio così altezzoso e troppo sicuro di sé diventa anche inaffidabile, con la conseguenza che poi deve faticare il doppio per riconquistare la sua vera dignità.
Quindi: “viaggiare ci sveglia fuori perché si scoprono luoghi nuovi e anche persone diverse, ma se si parte pieni di noi stessi, si ritorna indietro nella stessa maniera e senza alcuna novità”.
È pur vero che la parola “mona” si presta a tantissimi altri significati e avremo modo di scriverli in un prossimo articolo, pertanto adesso cerchiamo solo di farci coinvolgere sulla frase detta anche da Corto Maltese in una delle sue incredibili avventure e lo sappiamo che è il più grande marinaio che Venezia abbia mai avuto.
Aggiungo a conclusione un ricordo sulla Giornata della Memoria, la liberazione degli internati ebrei dai campi di sterminio. Si parla spesso di “pietre d’inciampo”, piccoli ciottoli piantati sul selciato e leggermente più evidenti, perché quando passeggiamo, di fretta e completamente assorti dai nostri pensieri, su certe calli veneziane o su certi marciapiedi, dovrebbero svegliarci, “descantarci” e farci riflettere sull’immensa tragedia patita dai milioni di persone segregate e uccise senza pietà alcuna, durante la dominazione tedesca in Europa.
Motivo in più questo per addentrarci ancora una volta nel Ghetto Ebraico di Venezia alla scoperta dei suoi segreti più intimi, senza scordare le immense virtù che ci ricordano certe frasi, sono detti antichi, non solo modi di dire, vera sapienza.