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Che monada – che sciocchezza

Che monada – che sciocchezza

Tra pochi giorni si festeggiano due santi tra i più importanti della cultura cristiana san Pietro e san Paolo. Delle loro storie vi lascio ricercare nella rete tutto quanto è di più utile ad informarsi mentre qui mi dilungo solamente sulla frase del titolo perché si dice che questa frase sia stata spesso ricorrente nella bocca dell’apostolo Pietro e per scoprirlo basta leggere qua e la tra i vangeli.

Quella più famosa è stata quando durante l’ultima cena il protagonista non vuole farsi lavare i piedi da Gesù e alla risposta  piuttosto indicativa di costui Pietro soggiuse di aver detto una “monada” e così decide di sottostare alla cerimonia. Poi poco più tardi quando Gesù, mentre si trovava nell’orto degli ulivi, viene preso per essere processato e condannato, decide di rinnegarlo a parole per ben tre volte e anche qui si accorse di averla combinata grossa infatte “pianse amaramente” e poi quando arriva il momento del sacrificio estremo della crocifissione di Gesù si nasconde assieme agli altri lasciando Giovanni, le Marie e un discepolo, tal Giuseppe, da soli sul Calvario. Poi Gesù muore ma risorge e lascia tutti stupiti, ogni tanto riappare come quella volta sulla riva del mare (che è un grande lago della Palestina), Pietro e gli altri aiutanti hanno lavorato tutta la notte ma senza pescare nulla e sconfortati ritornano a riva e notano un uomo seduto, capiscono che è il Signore il quale gli chiede da mangiare e loro per tutta risposta affermano di non avere tirato in barca nessun pesce, ma il Signore dice che forse avevano pescato nel posto sbagliato e li rimanda a gettare le reti, ed infatti poco dopo riempirono la barca che quasi stava per affondare e allora Pietro di nuovo “che mona che semo stati, a sinistra dovevimo andare e no a destra“. Non voglio dilungarmi molto sulla scena del “Quo vadis” quando Pietro vuole fuggire da Roma a causa delle continue persecuzioni e per strada incontra il Signore che gli dice la famosa frase riportata e lui per tutta risposta “ma Signore a Roma ci stanno uccidendo tutti” “E tu “ti sei già dimenticato di tutto quello che ho dovuto passare io?” “Sì, scusami ma sono fatto così” e ritornò in città a prendersi bastonate da tutti fino alla crocifissione e per giunta a testa in giù. Tutti sappiamo che questa storia ha fondato le radici della Chiesa di Roma e chissà per quale segno del destino proprio in questa enorme città che a quel tempo si doveva misurare con chi moriva nel peggior modo possibile e chi si divertiva a veder morire la gente sbranata dentro ad uno stadio. Poco più tardi ci arrivò anche Paolo che da una giovinezza tempestosa e burrascosa e disarcionato da cavallo sulla via di Damasco decide di convertirsi e intraprendere una strada nuova che inevitabilmente lo portò a Roma dove gli venne tagliata la testa. Tempi antici, forse, ma pieni di significati per dire che sempre ci troviamo a dover scegliere tra alcune cose importanti, meno importanti, per nulla importanti.

Un po’ di decenni fa la festa di san Pietro e Paolo era una festa religiosa ma anche civile e si stava a casa dal lavoro, poi arrivarono il grande progresso economico e dei politici che con la legge civile 54, decisero di sopprimerla assieme a quella di san Francesco, patrono d’Italia, simbolo di una rivoluzione da far invidia a certi non violenti di oggi, il Corpus Domini che si faceva  a metà della settimana, il giovedì dopo Pentecoste, qualcuno si ricorderà anche che furono tolte le festività di san Giuseppe e dell’Epifania, ma poi questa fu ripristinata assieme a quella del 2 giugno che di religioso non aveva nulla, solo ci ricordava e si è tornati a ricordare, l’anniversario della nascita della Repubblica Italiana.

La festa dei due santi di giugno significava per molti l’inizio dell’estate e quindi era quel periodo propiziatorio per chiedere alla terra la possibilità di riempire le dispense di generi alimentari utili al sostentamento della famiglia e si festeggiava, ricordo, sul canale Scaricatore di Padova, qui vi si svolgeva la più grande festa acquea della città dove decine e decine di barche tutte bardate con palloncini colorati e piene di persone che cantavano e si diverivano fino all’ora tarda quando alla “chiavica” di Voltabarozzo cominciavano a scoppiare i fuochi d’artificio. Era una festa così sentita che le sponde del canale erano strapiene di persone che banchettavano con ogni ben di dio (e chi se le dimentica certe soppresse col pane biscotto, le fette di polenta abbrustolite, il vino maturo, le minestre portate da casa e consumate sull’argine, le focacce fatte col nuovo lievito, quello di san Giovanni, le uova sode, le sarde in saor, oppure fritte, appena fatte che ungevano le mani e allora si succhiavano le dita, le polpettine di carne macinata mangiate col pane sfornato durante il giorno, perché sembrava benedetto)  e tutti si invitavano l’un l’atro per commemorare ma anche per festeggiare, ma c’era anche la benedizione delle acque, della terra, del cielo che dovevano essere alleati degli uomini e non nemici che distruggono colture e campi. Ma poi arrivò la “monada della legge 54” e tutto venne dimenticato e adesso con fatica si trovano persone che si ricordano di questa festa.

Tutti ricordiamo il legame che esisteva tra la vita lavorativa e i santi quel cercare complicità affinché la fatica quotidiana non fosse danneggiata dagli imprevisti catastrofici che potevano compromettere tanto lavoro svolto. Riti oggi dimenticati perché resi inutili dalla trasformazione culturale dettata per lo più dalla televisione e così sono sparite le “rogazioni” i pellegrinaggi per le campagne, il rito delle “orazioni“, quel fermarsi nell’ora canonica per formulare un pensiero, un ricordo (qui voglio ricordare che in questi giorni si ricorda l’omicidio dell’arciduca d’Austria e l’nizio della Grande Guerra Europea “che monada” la guerra). E quante ancora ce ne sarebbero da elencare ma ci fermiamo per ritornare ad interpretare quali sono i pensieri di molte persone incontrate, le ultime ad una cerimonia religiosa svolta in una località, che nei tempi remoti si sviluppò sulle rive di uno scolo in località Pernumia e chiamato dell’Acqua Nera, questa gente ha rinunciato alla visione della partita dell’Italia che c’era in televisione per incontrarsi e pregare per i defunti del borgo e poi festeggiare assieme perché dicevano il tempo è sempre così avaro che ci sono poche occasioni per ritrovarci.

verso-Vicenza-in-biciConclusioni: la festa di questi due santi dovrebbe indurci a riscoprire certe tradizioni dimenticate di tipo religioso ma anche “civile o pagano” una tra tutte quella festa sull’acqua che si faceva un tempo a Padova perché l’acqua è un elemento del cosmo al quale dobbiamo voler bene altrimenti poi ce la fa pagare e salato, poi la riscoperta del legame che abbiamo sempre avuto con il territorio e le “rogazioni” ne sono un rito molto utile oltre che culturalmente importante, la riscoperta del “pellegrinaggio” (i più colti e raffinati lo chiamano trekking) come spostamento lento fatto attraverso la campagna che deve tornare aperta e ad uso collettivo con il ripristiono dei collegamenti di una volta che servivano ad aiutare i pellegrini a fare percorsi pià facili e più corti per raggiungere mete anche lontane (che “monade” i recinti, i confini, le transenne e che bello scoprire l’oratorio della Santa Trinità di Pernumia, posto sicuramente in una di queste vie di transito che portavano questi penitenti verso Assisi, Roma), ed infine che gran “monada” i terreni incolti, abbandonati, lasciati fermi, ma comunque conpensati con contributi pubblici per il loro mancato raccolto, soprattutto quelli della montagna dove erba e disordine sono l’anticipo dei disastri patiti in pianura. E mi fermo qui.

Le foto pubblicate sono della collezione di Emilio Nequinio, mio zio.
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