El torototea
A volte mi piace ricordare quel periodo della mia infanzia che ho vissuto nell’osteria ed anche nella bottega di “casoin”. Molte persone li hanno frequentati ed in certi casi, secondo le circostanze erano particolari e uno di questi aveva un nomignolo “el torototea”, del suo vero nome non serbo memoria ma quando faceva la sua apparizione in osteria subito era circondato dai presenti e lo volevano al loro tavolo perché in cambio di un bicchiere di vino riportava le ultime notizie, vere o inventate, dei paesi vicini; forse le aveva lette sul giornale trovato dal barbiere o durante il giorno di mercato e abbinava una spiccata memoria ad una buona sintesi tanto che da una piccola vicenda ne ricavava una notizia vera o verosimile. Lo si poteva definire un cantastorie anche che era parecchio stonato, ma finiva sempre le sue storie dicendo “el torototea, torototà”. Sapeva che la vita gira, gira, come una trottola, e quasi sempre tutto ricomincia dal punto di partenza e spesso le notizie sulla vita privata di certi soggetti lo stuzzicavano molto, così se le racconti ti trascinano in commenti a volte ironici, scivolosi, piccanti, che lasciavano poco all’immaginazione. Non era abituato però a far apparire le sue storie molto licenziose quasi per rispetto dei suoi protagonisti anche se potevano apparire dei suoi nemici .
Ricordo che si muoveva in bicicletta e lo distinguevi per il cappello a tre quarti che portava, quasi per darsi un’aria da gran signore, molto educato con tutti e bravo bevitore oltre che una buona forchetta, cercava sempre di non esagerare anche se spesso non ci riusciva, proprio perché se qualcuno voleva conoscere dei particolari della storia sapeva come fare per renderlo più loquace, e lui si lasciava andare anche ai dettagli su dei tradimenti tra coniugi li raccontava così bene da essere stato quasi presente. Raccontava che a casa di Tizio volavano i piatti fuori dalla finestra o partivano certi ceffoni ma anche vestiti gettati per strada o urla molto forti da indiavolati, ma poi tutto tornava alla normalità solo per difendere l’onorabilità della famiglia.
Però una sera molto incandescente, un’estate che faceva molto caldo, si avvicinò ad un tale che cominciò a provocare el Torototea per farsi raccontare alcuni fatti accaduti nel comune di un paese poco vicino dove le baruffe erano frequenti per ragioni storiche oltre che politiche e per questo motivo già aggravate da futili argomenti ma buoni per attaccarsi l’uno contro l’altro. Si è parlato di favori fatti al tale con repentini cambi del Piano Regolatore dove le zone da edificare erano in continuo movimento e qualcuno veniva favorito mentre un’altro vedeva la sua terra declassata, solo che il tutto non era alla luce del sole ma avveniva di nascosto. Durante il Consiglio Comunale volavano penne, sedie, tavoli, ceffoni, sputi, perfino i carabinieri dovettero intervenire per dividere i duellanti senza riscontrare significativi risultati, infatti la battaglia subito prese la forma della guerra e durava ormai da tempo, non era ancora una tragedia ma poco ci mancava.
Tutti erano rimasti col fiato sospeso e aspettavano la memorabile frase: “da solo sono riuscito a riappacificare gli animi perché ho cominciato a raccontare che avvenivano certi incontri clandestini tra le mogli di alcuni consiglieri comunali poco si sapeva perché erano coinvolti quelli della Giunta Comunale e nessuno azzardava nulla per evitare uno scandalo piuttosto importante”, all’improvviso tutte le dispute sparirono e qualcuno si riconciliò, solo dopo alcune revisioni al Piano Regolatore il paese riconquistò la tranquillità perduta. Naturalmente el Torototea si aspettava dei complimenti invece nulla così decise di ordinarsi un piatto di fegato alla veneziana e subito mia zia si prodigò a prepararlo.
Dopo una pausa qualcuno provò a chiedere se era stato possibile por fine alle dispute solo sulla base delle sue notizie ma la risposta aveva l’aria della beffa: “tutto quanto ho detto non era vero niente perché avevo inventato tutto ma quello che importa di più in questo istante è che rimettano i banchi nuovi nel Consiglio Comunale”. Quasi tutti rimasero ammutoliti a parte uno che se la rideva di sotto i baffi pensando al vecchio proverbio: “tira più un peo de mona che tre paia de bo”, “si raggiungono più obiettivi con il pelo della “patatina” (quello del pube di donna) che la forza di tre paia di buoi”, oppure nel detto “la vita xe un lampo”, “la vita è come un lampo”, e quindi deve essere vissuta nel miglior modo possibile.
Fegato alla veneziana: 400 gr. di fegato di vitello tagliato a fettine finissime, 400 gr. di cipolle bianche, 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, 1 bicchiere di vino bianco secco, poco sale, un pizzico di pepe, una bella manciata di prezzemolo e fette di limone da mettere sopra dopo la cottura.
Prendere una padella e dopo aver tagliato la cipolla molto fine la si fa appassire sul fuoco con il vino bianco, poco dopo aggiungere il fegato e farlo rosolare per una decina di minuti, si aggiunge un poco di sale, il pepe e l’olio evo, del prezzemolo tritato, lo si gira un paio di altre volte con fuoco dolce, toglierlo dalla padella e metterlo in un piatto di portata guarnito di fettine di limone. Servire assolutamente con polenta arrostita.
Annaffiare di Raboso delle Corti Benedettine, Cantina di Cona e Cavarzere (www.cantinacona.it), o il Friularo del Dominio di Bagnoli (www.ildominiodibagnoli.it) o quello più maturo della Cantina di Conselve (www.cantinaconselve.it), dei vini che sicuramente aiutano ad ingentilire la bocca fin qui arricchita di sapori.
Le fotografie sono delle collezioni di Paolo Nequinio, Gemma, Antonella Borella (quella di inizio), di Correzzola