Frittelle e zabaione
“Te si na fritola”, “Te me pari un zabajon”, “tu sei una frittella”, vuol dire cagionevole di salute, “tu hai la pelle pallida e giallina come il colore dello zabaione”. Sentire queste frasi quando si passeggia per Venezia è consueto, anche perché nella città non si sono cancellate le parlate antiche, che contrastano con altre lingue, l’inglese e lo spagnolo, qualche volta il francese, altre volte il giapponese o il russo e il cirillico.
Ma cosa vogliono dire queste due frasi: io penso che contengono molti significati, la prima ci dice di questo dolcetto arrivato da Costantinopoli (Istanbul) e poi elaborato in tante altre ricette, (ma neppure tanto) e venduto in ogni angolo della città tutto l’anno escluso il periodo di Quaresima e di Avvento, perché questa pasta di pane dolce che poi veniva fritta nello strutto di maiale faceva parte di quei piatti proibiti dalle disposizioni ecclesiastiche nei periodi di astinenza dai grassi. Ma essere una frittella voleva dire essere mollicci, dolci, buoni, ma poco aggressivi e quindi poco affidabili ed anche gracili sempre ammalati. Mentre l’altra affermazione è un poco più complicata da spiegare perché prima si deve capire cosa significa “zavajo”: è una parola illirica, (Illiria è una regione antica che partiva dal confine con la Grecia e su su per la costa dell’Adriatico fino a Trieste, venne unita all’impero romano, poi arrivarono gli slavi e se la divisero in vari stati. Poi fu amministrata dai veneziani facendola diventare luogo di scambio e di commercio, Napoleone ne conservò l’identità ma passando all’impero Austro-ungarico sparì la definizione. Le popolazioni illiriche sono gli odierni Croati, Sloveni, Albanesi, Bosniaci, un poco i Macedoni) l’origine di certe parole di uso comune a volte ci sorprende, lo zabaione è una di queste perché “zavajo” diede origine al termine.
Il “zavajo” è una bevanda che assomiglia all’orzata e d’estate è un ottimo dissetante, ha un sentore di mandorle e frutta secca e ha un colore biancastro. Da “zavajo” a “zabaio” e poi a zabaione il passo è brevissimo e lo zabaione non è altro che una bevanda di tuorli d’uovo con aggiunta di zucchero, ben sbattuti da ottenere un composto biancastro molto delicato e buono, alla fine si può aggiungere un poco di vino di Cipro, nell’antica ricetta veneziana si faceva in questo modo, adesso si aggiunge alcool o marsala (nel dolce che ho descritto in un articolo precedente, specialità di mia zia, lei ci metteva la crema marsala), o del vino moscato (tipico della Dalmazia), perciò se sei senza colorito in faccia assomigli allo zabaione.
Torniamo alla descrizione del dolcetto veneziano, sì perché parecchi secoli fa un Doge il 2 di febbraio festa della Presentazione di Gesù al Tempio ma chiamata più popolarmente festa della Candelora, che aveva a cuore le sorti della città decise di istituire la festa delle Marie che consisteva nel far unire in matrimonio 12 fanciulle scelte tra la popolazione più povera, due per ogni quartiere della città (il termine preciso è Sestiere perché la città era ed è divisa in sei parti), poi assicurava una dote per ogni ragazza con l’aiuto del governo e di tutta la cittadinanza. Le Marie assieme ai loro futuri mariti partecipavano alla cerimonia di matrimonio nella chiesa di san Pietro di Castello e subito dopo in corteo erano invitate a Palazzo Ducale per partecipare ad un sontuoso banchetto, infine venivano ospitate nel palazzo per far vivere a queste coppie di popolani una “prima notte” indimenticabile, una notte da sogno.
Chi conosce Palazzo Ducale sa che in un capitello del colonnato di fronte alla libreria Marciana è ben raffigurata la scena qui descritta in quattro quadri dove si vedono le varie fasi della vita matrimoniale, il fidanzamento, il matrimonio, la copulazione (“el zavajo”), la nascita del figlio. Appena officiata la cerimonia di matrimonio delle dodici coppie e poco prima dell’ingresso a Palazzo Ducale si assisteva alla consegna del famoso bottiglione di zabaione da parte degli amici dello sposo perché ritenevano questa bevanda un ottimo ricostituente sapendo che le fatiche sul talamo erano sempre molto intense, impegnative e sfiancanti. Nove mesi dopo quasi tutte le Marie diventavano mamme per la gioia del Doge e di tutto il Senato, questa festa perciò divenne una tradizione molto sentita da tutta Venezia fino al suo naturale oblio, quando vennero a mancare lo spirito e la sua finalità, aiutare delle povere fanciulle a formarsi una bella famiglia.
C’è voluta la grande fantasia di Bruno Tosi, grande uomo di cultura, bravo giornalista, per ritrovare e ripristinare la festa delle Marie quando Venezia stava vivendo uno dei periodi più difficili e brutti della sua esistenza. Erano gli inizi degli anni settanta e il Carnevale era diventato una scusa per farsi dei dispetti tra cittadini. Io giovane studente ero inorridito nel vedere come in città ci si buttava addosso di tutto, dalla farina sporcata di escrementi, alla calce recuperata nei cantieri, ci vollero persone di grande temperamento e tanta creatività per far rinascere quel Carnevale dei periodi migliori della Repubblica Serenissima. Anno dopo anno è diventato quel risultato culturale che tutto il mondo ci invidia.
Poi anche la incredibile fantasia di un bravo “scaleter”, “pasticcere”, o di un “fritolero” venditore di “fritole” creò la frittella allo zabaione, forse immaginava quello che avveniva a Palazzo Ducale tra le dodici coppie ospitate nel giorno delle Marie, o forse era uno sposo novello e condivideva con la sua Maria, la “prima notte” fatto sta che decise di “zavajare” una frittella inserendo dentro un poco di zabaione usando una siringa, il risultato era fatto e tutti ebbero ben chiaro come si faceva a rendere piacevole la vita. Non ci volle molto a trasformare il termine vulva in “fritola” e ancora oggi è in voga nella parlata veneziana.
Ecco la ricetta delle frittelle: 300 gr. di farina fiore, mezzo litro di latte, 25 gr. di lievito di birra fresco (o lievito madre e sulla dose vale la pratica, 150 gr), 100 gr di zucchero, 80 gr di burro, 6 uova intere, 1 bicchierino di grappa, la buccia rapata di un limone, 150 gr. di uvetta, 60 gr. di pinoli, un pizzico di sale, 1 bustina di vanillina, olio di semi per friggere o strutto (se riuscite a trovarlo), zucchero semolato alla fine dopo la cottura.
In una tazzina far sciogliere il lievito di birra con un po’ di latte tiepido. Ammollare l’uvetta in una ciotola di acqua tiepida. Mettere in una terrina capace, le uova e lo zucchero, lavorarli molto bene, aggiungere la margarina o il burro morbido, il lievito e il latte, la vanillina, il sale e l’uvetta strizzata, i pinoli, aggiungere la buccia rapata del limone, il bicchierino di grappa, far cadere la farina setacciata, impastare bene a lungo fino ad ottenere una crema morbida. Fate riposare l’impasto in un luogo tiepido coprendo la terrina con un panno e lasciatelo lievitare fino ad ottenere il doppio del volume. Infine con un cucchiaino si fanno delle pallottole e si fanno scivolare, poche per volta, nell’olio caldo ma non bollente, appena hanno assunto un colore dorato si scolano e si mettono in un vassoio rivestito di carta assorbente che raccoglierà l’olio in eccesso, infine fatele rotolare nello zucchero semolato o spolveratele di zucchero a velo e servitele tiepide.
Per fare quelle con lo zabaione non si mettono l’uvetta e i pinoli.
Zabaione: 8 tuorli d’uovo (il numero dipende dal numero di frittelle prodotte), 12 cucchiai di zucchero, 3 bicchierini di vino di Cipro o marsala, a piacere cannella e zenzero (sapete che aumenta il desiderio, vero!).
Sbattere bene i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere una belle crema, aggiungere il vino e le spezie e continuare a lavorare fino ad ottenere una crema morbida e liscia, riempire una siringa di quelle usate in pasticceria e farcite le frittelle facendo un piccolo foro.
Un consiglio che vi diamo: mangiare questo dolce ufficiale di Venezia meditandolo ad occhi chiusi da accompagnare con del vin passito di Fregona, o un Vin Santo, o un Torcolato di Breganze, vini importanti anche nel prezzo, ma se volete accontentarvi vanno bene allora dei vini dolci e fruttati come il Moscato o il Recioto. Se non amate troppo il vino accompagnatele con un buon tè aromatico, che sia profumato al gelsomino o alla vaniglia.