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Mercoledì delle ceneri

Mercoledì delle ceneri

Non vorrei scrivere di antropologia in questo libro di ricordi e non perché sia una materia che non mi interessa anzi, ma sento che nello specifico non è il mio percorso di conoscenza, per cui scelgo la sola riproposizione di quello che pur solo verbalmente mi è stato trasmesso dalle persone che ho incontrato nella vita. Spesso scandita dalle date che per forza della tradizione ha segnato il cammino di noi fanciulli, poi divenuti adulti. E se il capodanno segue la cadenza gregoriana del calendario, l’altro calendario quello liturgico doveva stare alle regole ferree della liturgia ed anche alle scadenze, mescolate al divino e intrise di mistico, sempre riconducibili alla salvezza degli uomini credenti.

Per questa ragione alcuni popoli pur avendo legami spiccatamente pagani cadenzati dalle stagioni della terra dove abitavano in seguito si resero conto che, onde evitare delle pericolose trasformazioni, adattarono le loro feste (alla luce, al nuovo anno agrario, al risveglio della terra, alle antiche contaminazioni ebraiche), dandone una radice spiccatamente cristiana, ed ecco allora che dalla festa della luce nacque il Natale di Gesù, da quella del risveglio della terra si trasformò nella Risurrezione di Cristo. Durante i secoli su questi insindacabili punti fermi si conformarono anche tanti altri eventi quasi sempre collegati a delle trasformazioni storiche e sono qui a ricordare che nella storia della Chiesa Cattolica si inseriscono sempre degli avvenimenti generati dopo delle assemblee sinodali atte a trasformarla e a volte renderla più vicina al popolo che continuava nel frattempo con i suoi riti misti tra il salvifico e il pagano.

E se per l’uomo, l’inverno è sempre stato un periodo difficile per la scarsità dei frutti che la terra poteva dare in ugual modo per scacciare la fame e le privazioni con scaramanzia i popolani si abbandonavano a delle feste molto spesso dissolute e usavano la maschera per mescolarsi, ricchi e poveri in perfetto anonimato potevano rendersi consimili. Ma ad un certo momento della storia della Chiesa viene riunito un Concilio, quello di Trento, che stabilisce delle nuove regole subito adottate da coloro che volevano seguire le loro direttive alla fine così prendono vigore dei periodi di penitenza pena la dannazione eterna delle anime degli uomini. Sono 180 i giorni di penitenza durante l’anno e due sono i periodi più lunghi, la Quaresima e l’Avvento; il primo quando si festeggiava la “festa del risveglio della terra” in primavera e il secondo quando si avvicinava la “festa della luce”, nel solstizio d’inverno. Il giorno che segnava l’inizio della Quaresima venne chiamato “il mercoledì delle Ceneri” una cerimonia impreziosita dalla formula penitenziale “Ricordati che sei cenere e cenere ritornerai” e poi iniziava tutto un periodo di astinenza dalle carni e dai grassi dove il pesce riuscì a trovare un grande ruolo nella cucina in quanto unica carne consentita da consumare.

alcuni pesci da frittura

Ecco allora cosa succedeva a Venezia e in tutta la Serenissima Repubblica in questo giorno, il carnevale è alle ultime battute, si avvicina la mezzanotte del martedì grasso, si fanno gli ultimi schiamazzi, in bacino san Marco si da fuoco alla “macchina” che viene avvolta da un grande falò e con questo si bruciano tutti gli eccessi fatti durante questi giorni. La “marangona”, la campana di san Marco che tutti conoscono bene batte dei rintocchi da morto, è morto il Carnevale e inizia la Quaresima. Molti si rattristavano perché “bisogna vivare n’altra quaresema” per “timor di Dio” ovvio, perciò un certo contegno, sull’abbigliamento, la frequenza nelle pratiche di pietà, donne e bambini che si accostavano alle cerimonie religiose officiate nelle chiese di ogni parte della città e del dogado veneziano. In cucina niente carni e niente grassi animali solo il pesce deve essere consumato e per fortuna che Venezia è circondata dal mare e quindi questo alimento si pesca in abbondanza come pure sui fiumi e sui laghi, poi per questo motivo sono molti quelli che scoprono lo stoccafisso o il baccalà anzi se ne fa molto uso e in varie proposte, ma i piatti tipici di questo giorno sono: i bigoli in salsa, grossi spaghetti con un pesto di sarde o sardine, la frittura di pesce piccolo, quello che di solito non viene usato spesso, come le sardine appunto, le seppioline, le anguelle, i calamaretti, le sogliole, i gamberi, i totani, le schie e tanti altri tra molluschi e pesci.

La ricetta del mercoledì delle ceneri i bigoli in salsa fatti a mano usando il “torcio”, uno stantuffo di bronzo con una trafila che faceva passare la pasta realizzata con acqua e uova, come prepararli: 500 gr. di farina di grano tenero 4 uova, un pizzico di sale, acqua tiepida quanto basta. Preparazione: mettere la farina a fontana e formare il cratere, rompere le uova, aggiungendo il pizzico di sale e cominciare a lavorare l’impasto e se lo richiede deve essere ammorbidito con dell’acqua appena tiepida. Lavorarlo a lungo e con energia e quando assume un aspetto liscio e morbido, si mette nel “torcio” poco per volta l’impasto e quando viene schiacciato verso la piastra bucata uscirà a forma di spaghetto che ogni tanto viene tagliato a misura, poi si devono mettere sopra ad un tavolo dove abbiamo disteso della farina di mais, scossi con le mani in modo da farla prendere ai bigoli che così non si attaccano tra di loro infine si mettono ad asciugare sopra ad un telo o una tovaglia. Dopo un giorno sono pronti per essere lasciati cadere dentro alla pentola di acqua bollente, dove saranno cotti. Per coloro che non hanno la possibilità di realizzare a mano questi “bigoli” consigliamo di comperare degli spaghetti grossi che si trovano facilmente nei negozi di prodotti alimentari, si trovano anche quelli di farina integrale.

Per la salsa: 200 gr. di cipolla bianca, 100 gr. di sardine sotto sale o come vengono chiamate nel Veneto “sardelle” (piccolo pesce azzurro pescato e conservato sotto sale, il loro profumo di salsedine ha dato il nome alla salsa) per chi non ama i gusti troppo decisi allora vanno bene la stessa quantità di alici sott’olio, dell’olio extravergine di oliva quanto basta ad ottenere la salsa per i bigoli (da tenere presente che se sono fatti a mano ne assorbono di più, mentre se sono quelli comprati e di grano duro ne chiedono di meno), sale e pepe a seconda del sapore da ottenere (qui conta l’esperienza per non farlo troppo salato).

Far imbiondire nell’olio la cipolla finemente affettata, frenare la sua cottura versando sopra qualche cucchiaio di acqua, in modo che appassisca restando sufficientemente chiara, aggiungere le sardine, dopo averle pulite, diliscate e dissalate al meglio, aggiungere una spruzzatina di pepe, tenendo sempre il fuoco al minimo, aspetta che le sardine arrivino quasi a sciogliersi. A parte, in una pentola d’acqua salata, far bollire i bigoli, scolarli al dente e condirli nella zuppiera dove ci abbiamo messo la salsa di sarde ancora calda. Aggiungere del formaggio grana grattugiato di fresco e servite in tavola.

Il loro sapore intenso vi farà venire in mente il mare, ma vi chiede di innaffiarli più del solito perciò conviene bere del buon vino bianco fermo possibilmente secco come un Garganega dei Colli Berici o un Pinot grigio del Piave, ma anche un Vespaiolo della Pedemontana o un Pinello dei Colli Euganei, potete anche deviare per un Bianco del Conselvano, che ugualmente si combinano bene con questo piatto della tradizione veneta.

Ma ecco pure una lista di piatti da “mercoledì delle ceneri” di un veneziano di ieri, ma anche di oggi: zuppa di ceci in mancanza dei bigoli, renga bollita (aringa), sostituita dallo “scopeton”, baccalà in varie maniere, insalata novella, polenta gialla tenera e vino bianco per accompagnare i piatti.

La foto di inizio arriva dalla collezione di Antonio Volpin, detto Moro.
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