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Il pastore Edoardo

Il pastore Edoardo

Mi sembra di averlo già scritto ma mi piace ripeterlo: “sono nato in una casa che aveva anche una osteria e a fianco un piccolo negozio di generi alimentari, si trovava in un borgo della campagna del conselvano”, poco distante c’era una chiesa curata da un prete semplice e modesto ma pieno di inventiva e di fronte alla chiesa in una piccola, ma proprio piccola costruzione c’erano le scuole elementari (a quel tempo si chiamavano così) e ho iniziato a frequentarle all’età di sei anni in una classe mista, assieme a quelli del secondo anno. 

Si cominciava il primo di ottobre e passati i due mesi iniziali, la maestra decise di parlarci delle stagioni, il loro aspetto che ci colpiva osservando la natura che ci circondava, per l’impostazione numerica dei mesi, usava spesso delle poesie o delle cantilene e mi ricordo di questa: “trenta giorni ha novembre, con april, giugno e settembre, di ventotto c’è ne uno, tutti gli altri ne han trentuno”. La lezione sulla geografia astronomica si plolungò per diversi giorni perché molti sono stati gli interrogativi nati come conseguenza: “perché cadono le foglie, perché la notte è più lunga in inverno, perché il sole non riscalda l’aria mentre d’estate si suda, altri sulla neve o il ghiaccio che in quei giorni si stava formando sui fossi pieni d’acqua e poi sul fatto che piove sempre e fa freddo per cui si deve rimanere sempre in casa al caldo della stufa e così via. La maestra in certi casi faticava a farci capire tutto però piano piano ci siamo resi conto che tutte le sue informazioni potevano risultare molto utili in futuro e se non riusciva con parole sue si faceva aiutare dalle filastrocche stampate sul libro di lettura.

Si viveva immersi nella campagna perciò la natura era una valida alleata per farci comprendere meglio quanto ci veniva spiegato perché era tutto ben visibile. Si avvicinavano intanto le feste natalizie e così anche tutto il loro richiamo di gioia, serenità, dono, partecipazione. Intanto il freddo pungente disegnava con la brina i rami degli alberi e il ghiaccio si ingrossava sui fossi, la stufa a legna era sempre accesa e si dovevano calzare le scarpe grosse con i calzettoni grossi e poi il maglione grosso con la berretta di lana in testa, le manopole di lana che ci aveva fatto la nonna l’anno precedente, quando si prodigava per noi bambini e chissà cosa stava preparando per le prossime feste natalizie. Ma non si poteva essere molto contenti con tutto quello che dovevamo metterci addosso per evitare il raffreddore, la tosse, la febbre, i geloni, quando non erano i ricoveri a letto con qualche brutta bronchite. Se si rimaneva a casa convalescenti allora si saltavano le interrogazioni sulle fasi lunari ma ci permetteva di organizzarci per l’allestimento del presepio e dell’albero di Natale. E appena guariti si correva subito per i campi alla ricerca di muschio, cortecce, piccoli arbusti, pezzi di tronco per fare le montagne, canne palustri per la capanna, i sassolini bianchi per le stradine del presepio li raccoglievamo dalla strada che passava proprio davanti alla porta del negozio e dell’osteria.

Certe convalescenze non ci dispensavano dal rievocarlo preparandolo nell’angolo della casa più protetto, quello dove tutti potevano ammirarlo, ma non rovinarlo con il loro passaggio, quindi lontano da corridoi, porte, angoli troppo angusti, il sottoscala di solito era il luogo migliore perché bastava spostare alcune scatole che contenevano delle cose e metterci le nostre che servivano per fare la base dove sistemare tutto quello che avevamo raccolto e poi i vari personaggi. Infine si correva dal vicino di casa a chiedere un pugno di paglia e di fieno per allestire la stalla del bue e dell’asino, era così gentile che ogni volta ci tagliava i rami raccolti che al ritorno venivano piantati sulla plastilina per realizzare dei piccoli alberi sul paesaggio, poi le mani premurose dei grandi ci attaccavano al muro dei pezzi di carta, quella carta paglia color azzurro “avio intenso” usata per accartocciare lo zucchero che ben si adattava per fare il cielo. Ricordo che si lavorava per giorni e poi appena completata la scenografia si dovevano disporre tutte le statuine e qui cominciavano anche i bisticci perché tutti volevano seguire la propria fantasia e si doveva adattarci a dei compromessi così si vedevano certi personaggi tipo la lavandaia che lavava i panni vicino alla capanna, oppure certe pecorelle belle grandi disposte nei luoghi più lontani dello scenario, alla fine però tutti esultavamo quando il lavoro era ultimato. Le statuine ben sistemate e i pastori chiamati dall’angelo si incamminavano verso la capanna ad adorare il bambino Gesù, nudo, che giaceva su una semplice mangiatoia, guardato amorevolmente dai genitori Maria e Giuseppe. Nel cielo avio una grandiosa stella cometa che indicava il luogo del grande evento.

Ma uno degli inverni trascorsi in questo borgo ci capitò di vivere un evento grandioso, lo si sentiva avvicinare piano piano dal suono dei campanacci che provenivano dalla stradina che si perdeva nei campi e che ti portava al paese vicino. Sorpresi e stupiti siamo rimasti ad ascoltare questo tintinnio che si facesse sempre più intenso, si sentivano anche dei latrati di cani e poi da dietro la curva della strada di sassi ecco che comparve un gregge di pecore, guidate da due pastori e dai cani, indaffaratissimi a tenerlo a bada, nella coda del gruppo candido le groppe degli asini con sopra le bisacce che contenevano gli agnelli appena nati e tutto quanto serviva ai pastori per riposare e mangiare. Il giorno era ormai al tramonto e per un minuto ci colse distratti perché intenti a giocare sul sagrato della chiesa subito dopo la dottrina cristiana, poi siamo scoppiati di gioia nel poter ammirare per la prima volta un gregge vero, di pecore, pastori, asini, agnelli e cani. Ci sembrava incredibile poterci avvicinare alle pecore e ammirare il loro muso gentile e ci faceva ancor di più tenerezza il belato spaventato degli agnellini. Poi il pastore chiese delle informazioni al parroco e con calma si avviò verso casa mia e con grande sorpresa entrò dentro all’osteria dove si confidò per il pernottamento solo che non desiderava abbandonare le sue pecore perché gli bastava un giaciglio e un buon piatto di minestra calda, poi chiese se poteva far riposare il gregge in un luogo riparato. Mia zia non esitò molto ad accordarsi con gli altri della casa e con i vicini e così decisero di far stendere il gregge nella corte che confinava con il nostro cortile, così che le pecore e gli asini potevano ripararsi a riposare e nella stalla attigua dentro ad un giaciglio di paglia si potevano stendere i pastori, al tepore fatto dalle mucche, la proposta gli convinse anche perché per mangiare qualcosa di caldo potevano rivolgersi alla nostra osteria. Così iniziarono le presentazioni e finita la nostra fila si ebbe l’onore di conoscere uno dei pastori, si chiamava Edoardo, degli altri nomi non mi ricordo molto. Il giorno dopo quando ritornai a scuola avevo la gioia che spizzava dagli occhi quel tanto che non riuscii a resistere e appena varcata la soglia comunicai a tutti la grande novità e in modo così convincente che la maestra ci consigliò di rivestirci per andare a verificare di persona. La scuola si svuotò in un attimo e si trovava poco distante da dove abitavo, l’aria era frizzante e un cielo grigio non prometteva nulla di buono, perciò le maestre ci consigliarono di sbrigarci per poter vedere il gregge che avevo descritto. Appena raggiunta la casa dei nostri vicini abbiamo perfino intonato una filastrocca natalizia e la sorpresa fu grande nel vedere il discreto ordine che si era formato con le pecore accovacciate che stavano mangiando su dei piccoli mucchietti di fieno. Nessuno più voleva togliere gli occhi di dosso da quello spettacolo e intanto il tempo passava in fretta e per di più iniziò a nevicare, prima piano piano e poi con sempre maggior insistenza. A quella vista anche i cani si alzarono per verificare che non capitasse qualcosa di imprevisto anche perché le pecore non ci conoscevano e potevano spaventarsi e a parte certi lunghi belati emessi dalle madri che cercavano di proteggere i loro piccoli tutto andò per il meglio e quel tanto che per giorni a scuola si parlò solo del gregge, delle pecore, di pastori e delle vicende legate alla storia del primo presepio di Greccio realizzato da frate Francesco, ma anche della storia di Gesù nato tra i pastori in terra di Palestina.

La neve cadde copiosa e i pastori Edorado e il suo amico decisero di fermarsi per molto tempo in quella corte e alla sera li avvicinavo quando mangiavano nella nostra osteria e ogni volta facevano i complimenti per le zuppe che mia zia e mia mamma preparavano per loro. Spesso rimanevano fino a tardi perché Edoardo si divertiva a raccontarci delle storie che gli erano capitate ed erano così fantastiche da sembrare delle favole straordinarie.

Zuppa di verza (broeton de verza): 2 litri d’acqua, 1 verza, 1 cipolla, 1 patata, 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, del sale, un poco di pepe, 400/500 gr. di pane raffermo o pane biscotto, una manciata di grana gratuggiato.

Mettere l’acqua nella pentola e portarla a bollore, mettere la verza, la patata e la cipolla tagliate a pezzi grossolani, poi si aggiunge l’olio extravergine di oliva e una manciata di sale grosso e si lascia cuocere a fuoco medio. Alla fine si mette il pepe e il grana. Si immergono i pezzi di pane e si mangia quando sono gonfi di brodo. Si accompagna bene con del vino rosso de casada cioè del vino sfuso preso dal produttore vicino a casa.

Zuppa di patate (supa de patate da gnoco): 8 patate farinose, 50 gr. di lardo, 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, 2 cipolle, una gamba di sedano, sale e pepe, un mazzetto di prezzemolo, 1 litro di brodo vegetale, grana gratuggiato, noce moscata.

Preparare un battuto di lardo e metterlo in una pentola con l’olio extravergine di oliva, versare la cipolla tagliata a fettine assieme alla gamba di sedano e fare un soffritto, quando le cipolle sono dorate unite le patate sbucciate e tagliate a dadini, poi il brodo vegetale. Far cuocere fino a quando le patate cominciano a disfarsi, quindi mescolare aggiungendo il sale e il pepe fino a quando si sfaldano velocemente, aggiungere il prezzemolo tritato. Versare su dei piatti fondi dove sono state messe delle fette di pane biscotto unto di olio d’oliva e alla fine insaporire con una grattata di noce moscata e del formaggio grana. Si accompagna bene con del vino bianco fermo sfuso meglio se Pinot grigio.

Zuppa di fagioli e verze (supa de fasioi e verze): 4 litri di acqua, 500 gr. di fagioli secchi, 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, 100 gr. di lardo, 1 verza cappuccia, una manciata di sale, del pane raffermo, grana gratuggiato o meglio ancora delle croste di formaggio grana ben pulite, 2 cucchiai di passata di pomodoro.

Ammollare i fagioli dalla sera precedente, poi pestare per bene il lardo assieme all’aglio e alla cipolla e metterli in una pentola per fare un soffritto, aggiungere l’acqua, i fagioli con la sua acqua, la verza tagliata a pezzettoni e far bollire per tre ore, fino a quando i fagioli sono ben cotti, ma ancora saldi. A cottura quasi ultimata prendere dei fagioli e pestarli con un passa verdure e rimetterli dentro assieme ad una manciata di sale, verso la fine aggiungere la passata di pomodoro e le croste di formaggio grana. Servire su dei piatti dove ci mettiamo vicino del pane raffaermo tagliato a dadini. Accompagnare con del vino vecchio possibilmente rosso Merlot o Raboso della Piave.

Zuppa di cipolle (supa de sioe): 5 cipolle, 4 uova, 100 gr. fontina, formaggio grana, dei fiocchi di burro, 1 bicchiere di latte, sale e pepe, 3 litri di brodo vegetale.

Tagliare a fettine le cipolle e metterle in una pentola dove facciamo un soffritto con un poco di burro, fino a farle imbiondire, aggiungere 3 litri di brodo vegetale e farlo bollire per una buona mezzora. Intanto si devono arrostire delle fette di pane e poi si mettono a strati in una pirofila bagnandole con il brodo di cipolle e alternandole con delle fette di fontina, grana gratuggiato e fiocchi di burro, per ultimo versare sopra le uova sbattute con il bicchiere di latte, del sale e del pepe. Infine infornare per 15 minuti e servire molto calda. Si accompagna volentieri con del vino rosso molto aromatico come il Cabernet o il Valpolicella.

Zuppa di piselli (supa de bisi): 3 litri di acqua, 300 gr. di piselli secchi, 100 gr. di lardo, 1 cipolla, sale e pepe, una manciata di prezzemolo, grana gratuggiato, pane raffermo tagliato a dadini.

Ammollare i piselli nell’acqua per una notte intera, in una bella pentola fare un soffritto con il lardo ben pestato o con olio extravergine di oliva e la cipolla tagliata a fettine molto piccole, farla appassire e poi aggiungere i piselli con l’acqua e altra acqua fino alla quantità descritta. Far bollire per 2 ore circa facendo in modo che non appena si sono inteneriti si possono prendere dei piselle e si passano con il passaverdure in modo da ridurli ad una crema, si aggiungono e si termina la cottura della zuppa aggiustando di sale, prezzemolo, pepe e grana gratuggiato.

A parte preparare del pane raffermo tagliato a dadini da unire alla zuppa e accompagnare con vino bianco secco, qui allora cnsiglio il Prosecco fermo, ma anche il Garganega, il Pinello dona alla zuppa un buon sapore.

La foto dell’inizio fa parte della collezione di Mario Silvani di Conselve, per gentile concessione dell’autore e del Consorzio delle Pro Loco Padova Sud-Est e ci fa vedere il pastore Edoardo con il suo amico ed il gregge mentre transita nella neve per una piazza di Conselve. Il racconto è realmente capitato ed il pastore Edoardo veniva a trovarci ogni anno con il suo gregge fino a quando decise di trovare una vecchia casa dove stazionava durante gli inverni trascorsi in pianura, mentre l’estate la passava sull’Altopiano di Asiago.

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