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Il pozzo

Il pozzo

Era la fonte d’acqua per una famiglia o anche di più famiglie quindi era la fonte di vita, poteva essere stato scavato in un luogo pubblico come in un incrocio di due strade “nea crosara”, o sul lato di una “caresà” usata come un passaggio di rispetto creato in mezzo ai campi per far passare gli animali da condurre al pascolo o i carri pieni di merci, derrate agricole raccolte nei mesi più temperati. Era un punto di ritrovo tra l’andirivieni dal lavoro dei campi infatti le mandrie si fermavano al pozzo per dissetarsi, usato anche per rinfrescarsi quando faceva molto caldo e poi serviva per innaffiare le verdure dell’orto ed anche i fiori del giardino. Lo potevi trovare anche vicino alla casa o nel mezzo di un cortile e la scelta seguiva la falda d’acqua che passava sotto nella profondità del terreno dove in quel dato punto si procedeva allo scavo. E chi lo stabiliva aveva una dovuta esperienza in questo tipo di scavi, uomini che sapevano usare alcuni strumenti a dir poco empirici come la verga o il pendolo, che mio nonno usava per individuare il luogo esatto della falda e mi hanno confermato che non sbagliava quando si trattava di trovare una buona fonte di acqua e la garantiva pure nei periodi di siccità, in questo caso però se scarseggiava veniva controllata, razionata, così da evitare la sua mancanza seguendo un regolamento utile per tutti.

Teresa vicino al pozzo

Si poteva trovare anche vicino alla casa o nel mezzo di un cortile perché la scelta, doveva seguire la falda dell’acqua che passava sotto nel terreno e in quel punto si procedeva allo scavo. Esistevano persone che usando degli strumenti un poco empirici la individuavano, tipo la verga o il pendolo, mio nonno era uno di questi e quando l’acqua abbondava allora si poteva usare senza timore, però se arrivava la siccità e scarseggiava allora era controllata e razionata seguendo un regolamento non scritto ma utile a tutti.

Andare al pozzo a volte serviva per allontanarsi da casa ad incontrare altre persone che si ritrovavano per fare due chiacchiere, oppure per ascoltare le ultime notizie del vicinato o dai paesi d’intorno, poi venivano verificate al negozio dalle donne o all’osteria dagli uomini; le giovinette invece si riunivano tra coetanee per eludere lo sguardo vigile delle madri ed improvvisavano dei giochi e d’estate alla fine del giorno durante la calura diventava l’occasione per organizzare una fresca merenda caso mai qualcuno aveva messo nell’acqua fresca alcune angurie, così si assaporavano assieme si viveva un momento di festa. Una maniera semplice per dimenticare le fatiche della giornata, e c’era sempre qualcuno che iniziava una canzone poi eseguita a cappella andando a memoria seguendo le strofe di altre canzoni più famose e sentite in chiesa un po’ storpiate dal latino, come pure quelle portate dai militari tornati dal fronte, ma anche quelle che mescolavano parole comuni con termini più trasgressivi e un poco sessuali. Al primo imbrunire quando l’afa del giorno si attenuava apparivano delle ragazzine che poi si spogliavano e scoprivano i loro corpi per rinfrescarli con l’acqua del pozzo che pareva benedetta, lo tonificavano e mostravano passo passo la sua trasformazione, i passaggi dalla fanciullezza alla pubertà e a quello di donna scrutato dagli sguardi delle sorelle più grandi o delle amiche complici e poteva succedere di essere sbirciate da qualche ragazzo insolente allora gridavano spaventate e in fretta si nascondevano dietro al pareo di canne messo lì apposta per tutelare l’intimità.

Mario e Gabriele che recuperano l’acqua dal pozzo

Poco dopo si sentiva il richiamo squillante della madre “vien casa subito” e seppur lontano in fretta si rivestivano e scappavano verso l’abitazione che alle volte era un semplice casone col tetto di paglia, chi ritardava la fuga erano i due nuovi innamorati che volevano sfiorarsi ancora e poteva essere l’inizio di un nuovo fidanzamento, ma se capitava che quel tale era solo un malintenzionato allora non doveva più fare tappa a quel pozzo altrimenti si sarebbe ricordato per lungo tempo quali erano i suoi reali propositi ma anche quali erano state le sofferte patite.

L’acqua del pozzo serviva pure per lavare il bucato e tutto quello che aveva bisogno di essere ripulito, dalle fiasche di vino alle verdure appena colte, dalle posate e pentole usate in cucina, ai contenitori adoperati in stalla come i secchi, mastelle, abbeveratoi; inoltre l’acqua serviva per realizzare le liscive usate nel lavaggio dei pavimenti, come pure la poltiglia di verde rame adoperata per proteggere le viti. Molti lavori eseguiti vicino al pozzo seguivano infatti la loro stagionalità alcuni avvolti dal naturale mistero come il lavaggio del bucato usando una lisciva fatta di acqua calda e cenere, a tutt’oggi si fatica a comprendere come poteva pulire i capi di vestiario e la biancheria ma pure poco distante c’erano delle vasche di pietra accostate al muro della stalla che contenevano alcuni grossi rami immersi nell’acqua e una soluzione di rame usati come pali per rinsaldare i filari delle vigne ed anche corte cime dei salici usate come stroppe per legare i tralci delle viti in modo da formare degli archetti da dove in primavera e poi in estate sarebbero maturati i grappoli d’uva. Queste alcune vicende che il pozzo viveva con cadenze giornaliere quando si dovevano lavare posate e piatti usati nei pasti o le due tre volte all’anno quando si lavava il bucato o anche quando si preparavano gli otri, in autunno, per farci mettere il mosto pigiato e poi alla fine dell’inverno quando le potature venivano raccolte a far pali o le corte cime per legare i tralci sui filari, un momento importante viveva il pozzo quando si trebbiava il grano in luglio, perché quell’acqua fresca e salutare bagnava la bocca piena di polvere che in questo lavoro si creava con abbondanza e dissetava per bene come pure rinfrescava il vino dentro ai fiaschi immersi in un secchio pieno d’acqua, la fatica trovava ristoro e anche più vigore.

Le foto sono degli archivi di Paolo Nequinio, Barison Teresa, Berensi Mario

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