Il traghetto di Ciccio
Lungo l’argine sinistro del Bacchiglione che va da Bovolenta a Pontelongo si trova una località chiamata Ca’ Molin, sono poche casupole che un tempo erano parte di un borgo raccolto attorno ad una dimora veneziana che poi è stata demolita per far spazio ad una nuova casa di tutt’altra fattura. Un tempo questa zona era centro di interesse per la presenza dei fattori che le famiglie veneziane mettevano per la salvaguardia delle campagne poi con l’avvento del periodo napoleonico molte di queste dimore vennero requisite e di conseguenza abbandonate. Poi piano piano altre famiglie ne divennero i proprietari che ne cambiarono le finalità riducendo le case esistenti a magazzino di prodotti agricoli e se qualcuna ha mantenuto la fisionomia archittettonica di villa per altre toccò la sorte di essere trasformate in case di abitazione dai forti estetismi moderni, altre furono abbattute e ricostrite per far spazio a costruzioni più funzionali ma sicuramente meno belle delle antiche ville.
Oggi giorno in questa località a testimoniare la presenza della antica villa è rimasto solo l’oratorio una piccola costruzione quasi a ridosso dell’argine del fiume nell’incrocio di due strade, una che prosegue sullo stesso argine e che porta a Pontelongo mentre l’altra scende giù e prosegue fino a Campagnola di Brugine. Appena imboccata la strada che porta al paese di Campagnola sulla sinistra si trova una trattoria chiamata Ca’ Molin, un tempo era una osteria molto conosciuta e rinomata per le proposte che arrivavano dalla sua cucina. Questa osteria ha una storia che si perde nel tempo ed è legata ai fasti della vita che girava attorno alla villa veneziana ed in più aveva legato la sua fama alla posizione strategica che occupava: si trovava in un “canton e ostaria de canton se ferma tuti par un bocon”, dove per vari motivi ci passavano molte persone che andavano a Pontelongo e poi nelle zone della bassa saccisica, Candiana, Correzzola, Arzergrande, Arzerello, Villa del Bosco, Conca d’albero, o a Campagnola e quindi poi andavano nella saccisica alta, Piove di sacco, Sant’Anna, Brugine, Corte, Tognana, Campolongo Maggiore.
Appena giù dall’argine quello dentro l’alveo del fiume, Ciccio Brighéa aveva deciso di inventarsi un lavoro, aiutare le persone a traghettare da una parte all’altra del Bacchiglione, con alcune assi di legno inchiodate per bene e poi trattate col catrame in modo da renderle impermeabili, si era costruito una bella barchetta, capiente, che potesse contenere tre, quattro persone, con le rispettive biciclette e le faceva transitare da una parte all’altra del fiume. In questo modo le persone risparmiavano un bel po’ di strada quando dovevano raggiungere Fossaragna, Arzercavalli, Terrassa Padovana. Arre. Ciccio si accontentava di pochi centesimi per traghettare le persone ma ovviamente era sempre preferibile che fossero di numero adeguato a un simile servizio e per questo lo si trovava spesso ad aspettare i clienti all’osteria Ca’ Molin, questo faceva sì che alle volte Ciccio si accontentasse di una “ombra” di vino in cambio del denaro. Poi caricate le persone con le rispettive biciclette prendeva le giuste misure per trasferirle dall’altra parte, dava una occhiata alla corrente del fiume e prendeva il largo risalendo controcorrente per un certo spazio e poi con la lunga pertica si dava lo slancio verso il centro del fiume in modo da sfruttare il flusso che la corrente sviluppava in quel momento in modo da reggiungere l’attracco posto sulla riva della parte opposta. La sua esperienza lo aiutava ad arrivare dall’altra parte nel punto esatto dove era predisposto il pontile che serviva per far scendere le persone dalla rudimentale barca. A volte un bovolo d’acqua poteva spostare la barca fuori dalla traiettoria che lui aveva individuato e lo faceva arrivare alla riva opposta più a monte o a valle del pontile facendo scatenare le ire dei clienti che dovevano risalire la riva in un posto più ripido o infestato di erbe alte, a volte la colpa era da attribuire a quache abbaglio che i fumi del vino gli avevano creato: “Te si fortuna che te go pagà co na ombra” dicevano a scapito del disagio loro arrecato.
Durante la seconda guerra mondiale nei due anni successivi alla data dell’8 settembre 1943, le truppe alleate sbarcarono in Italia e usarono l’aviazione per spianarsi la strada, dalla Sicilia e verso nord. Decisero così di bombardare intere città e paesi, compresi anche certi punti nevralgici che dovevano essere abbattuti per rendere difficile la ritirata delle truppe tedesche, i ponti sui fiumi erano in questo elenco e perciò le località di Pontelongo, Bovolenta, Cagnola, tanto per restare nel luogo del nostro protagonista, furono colpite spesso dagli attacchi aerei a motivo dei vari ponti che univano le due sponde dei fiumi che le bagnavano, anche se erano costantemente presidiati. Ciccio in questa circostanza vide raddoppiare i suoi clienti che volevano non correre pericoli ed li evitavano, sia perché non volevano incorrere nei frequenti controlli che le milizie fasciste facevano a chiunque trasportava delle merci da un paese all’altro, i controlli servivano per recuperare i carichi di armi che gli aerei di ricognizione sganciavano per i partigiani del posto, sia perché la gente era costretta a scappare in qualche luogo più sicuro nel caso arrivassero gli aerei alleati che poi bombardavano o mitragliavano chiunque stazionava sopra i ponti dei paesi citati.
Un giorno grigio e freddo poco prima della fine della guerra, Ciccio fu costretto a rifugiarsi presso una famiglia che si trovava dalla parte opposta di Ca’ Molin, senza fiato in gola chiese aiuto e protezione giurando che se aveva salva la vita li avrebbe ricompensati con un bel pranzo in osteria. Le persone non fecero domande e accettarono la proposta e infatti un certo tempo dopo la fine del conflitto i protagonisti si ritrovarono all’osteria Ca’ Molin e ordinarono un pranzo che solo in quel posto potevano fare: gnocchi al ragù di anitra, carne di cavallo col sugo, trippe agli aromi, insalata fresca, patate novelle arrostite al forno, polenta a volontà, pan di spagna con la crema e una macedonia di frutta di stagione come finale. Quel giorno Ciccio ufficialmente decretò la fine del servizio di traghetto tra il malumore di tutti i convenuti che da quel giorno per raggiungere i paesi della bassa dovevano sorbirsi il giro lungo passando per Pontelongo o per Bovolenta dove nel frattempo erano stati ricostruiti i ponti.
Ma non voglio lasciarvi con l’acquolina in bocca ecco le ricette per fare questi piatti (le quantità sono indicative perché sempre dipende da quante persone fanno parte della mangiata):
gnocchi al ragù di anitra: 1 anitra muta, 1 carota, 1 cipolla, 1 costa di sedano grande, olio extravergine di oliva, burro, mezzo bicchiere di vino bianco secco, sale, pepe, abbondante formaggio grana. Pulire per bene l’anitra, passarla sul fuoco per togliere le penne residue e lavarla sotto l’acqua corrente, mettere da parte fegato, cuore, stomaco, intanto si fa bollire l’anitra in abbondate acqua con la costa di sedano, la carota e la cipolla, una buona presa di sale grosso. A parte si fa un soffritto di olio e cipolla, il burro e il vino bianco secco, si mettono le frattaglie taglate a pezzetti e si cucinano per qualche ora, verso la fine della cottura si aggiustano di sale e si aggiunge il petto dell’anitra già cotta aggiungendo altro olio e una parte del brodo che l’anitra ha prodotto, lo si fa addensare ed è pronto per i gnocchi. Per fare gli gnocchi: 1 kg. di farina di grano tenero, 600 gr. patate da gnocchi, 1 uovo, 1 presa di sale. Far bollire le patate e pelarle dalla buccia, poi con lo schiacciapatate creare una crema che aggiungiamo alla farina e all’uovo e il sale. Impastare lavorando per bene gli ingredienti fino a fare un composto molto sodo. Poi prendiamo una porzione di questo impasto e lo riduciamo ad un filoncino che tagliamo a piccole quantità che poi facciamo scorrere sul retro della forchetta affinché prenda una forma caratteristica a piccole coste che poi saranno quelle che assorbiranno il sugo che abbiamo fatto, procedere finché tutta la pasta viene lavorata. Preparare una pentola di acqua salata e quando raggiunge il bollore ci mettiamo dentro gli gnocchi e quando vengono a galla li tiriamo fuori con un passino, li mettiamo nei piatti di portata e li condiamo con il sugo che abbiamo appena fatto e sopra ci mettiamo abbondante grana gratuggiato, se si vuole arricchire con un buon gusto orientale si può grattare un poca di noce moscata.
Carne di cavallo al sugo (in tocio): 1 kg. di carne di cavallo ben battuta e tagliata a dadetti, 600 gr. di pomodori da sugo, 3 cipolle grandi, 3 carote, una gamba di sedano, mezzo litro di vino rosso, olio extravergine di oliva, sale e pepe e per i più raffinati al posto del pepe il peperoncino. In una pentola preparare un soffritto con le cipolle tagliate fini a rondelle, poi si aggiunge la carne e la si fa bollire con poca acqua poi si aggiuge il vino e poco alla volta gli altri ingredienti, pomodori, carote, sedano tagliate a pezzi non grandi e si continua a far bollire la carne a fuoco lento e per circa 3 ore, se il sugo si addensa troppo si aggiunge altra acqua e verso la fine della cottura un ulteriore filo d’olio extravergine di oliva delle colline del Garda (sapore fruttato e delicato, ottimo per questa finitura), poi si aggiusta di sale e pepe o peperoncino. Si versa la carne ben calda accompagnata con della polenta gialla abbastanza tenera.
Trippe agli aromi: 1 kg. di trippe di vitello, 1 cipolla, rosmarino, salvia, 60 gr. di lardo, 1 noce di burro, olio extravergine di oliva, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cucchiaino di farina, 3 chiodi di garofano, sale e pepe.
Lavare più volte e con molta cura la trippa, scolarla e tagliarla a striscie nè piccole nè grandi, metterle da parte. In una teglia fare il soffritto con l’olio, il burro e la cipolla, unire la trippa col rosmarino, la salvia, e i chiodi di garofano, insaporire di sale e pepe. Cuocere la trippa per circa 30 minuti tenendola coperta aggiugendo gradualmente dell’acqua e quando arriva a bollore aggiugere il vino bianco che si fa svaporare, si aggiunge la farina e poi si copre la teglia col coperchio e la si fa cucinare fino a quando le trippe sono belle tenere, circa due ore. Anche le trippe vanno servite con abbondante polenta gialla tenera.
Patate novelle al forno: 1 kg. di patate novelle di Verona, olio extravergine di oliva, rosmarino, sale.
Lavare bene le patate e lessarle per un certo tempo in acqua senza cucinarle troppo, infatti l’operazione serve solo per spelarle con facilità, metterle in una pirofila e aggiungere una discreta quantità di olio e infornare per un certo tempo, qui conta l’esperienza e la qualità del tubero che se è troppo friabile e viene cotto troppo si spappola e ci rovina la presentazione, verso la fine della cottura aggiungere del rosmarino che gli conferisce un buon aroma rustico, quando hanno fatto una bella crostina si assaggiano se sono cotte per bene e si servono.
Pan di Spagna con la crema: per il pan di spagna, 100 gr. di farina fiore, 100 gr. di farina fecola, 150 gr. di zucchero, 1 bustina vanillina, 1 fialetta di aroma limone, 1 bustina di lievito per dolci, 4 uova di media grandezza, 100 gr. di burro, un pizzico di sale.
Rompere le uova e recuperare i tuorli che vanno sbattuti con lo zucchero fino a formare una bella spuma, aggiungere la vanillina, aggiungere l’aroma e il pizzico di sale, aggiungere le due farine setacciate assieme al lievito, quindi alla fine si aggiunge il burro fuso. Sbattere le chiare a neve fermissima, aggiungerle al composto mescolando dal basso verso l’alto fino a formare un composto omogeneo e spumoso. Imburrare i bordi di una teglia e infornare a 180° per circa 40 minuti (fare sempre la prova stecchino). Per la crema: 5o ml. di latte, 3 tuoli, 70 gr. di zucchero, 60 gr. di farina fiore, un pizzico di sale, tre cucchiai di ruhm. Mettere il latte in una casseruola con dentro lo zucchero, la farina, i tuorli e mettere il pentolino sul fuoco e far cucinare fino a quando si forma un composto denso, poco prima che prenda bollore aggiungere 3 cucchiai di ruhm e far bollire per alcuni minuti.
Quando il pan di spagna è pronto lo si fa raffreddare un poco e lo si taglia a metà della sua grandezza e poi lo si farcisce con la crema che abbiamo appena realizzato, se si vuole si possono bagnare i dischi della torta con del succo di frutta possibilmente di arancia o altro tipo dipende dai gusti; dopo aver steso un bel strato di crema si uniscono i dischi e si serve in tavola.
Macedonia di frutta: recuperare dal campo o comprare in stagione, mele, pere, albicocche, pesche, ciliege, fragole, lavarle per bene togliere la buccia a quella che si riesce e tagliarle a pezzetti, poi si bagnano con del succo di limone, si aggiunge dello zucchero, non molto, si possono mettere anche delle uve sultanine di varie provenienze e mezzo bicchiere di prosecco fermo. Mettere in frigo per mezza giornata, tirare fuori un’ora prima e servire.
I vini che si possono usare per un pranzo di questo valore sono dei rossi importanti tipo il bardolino, il cabernet dei colli, un pinot nero della pedemontana, a scelta, per il dolce e la frutta del moscato sempre dei colli sia euganei che berici.
Quel giorno la festa terminò con il suono della fisarmonica e con le coppie che piroettavano davanti all’osteria e quando gli animi si chietarono qualche curioso chiese a Ciccio il motivo di tanta festa ma a nessuno raccontò quale fosse stata la fortuna che lo aveva investito. Di certo si seppe che un certo giorno grigio e uggioso alcune scariche di mitra sparate da un gruppo di miliziani fecero zampillare l’acqua vicina alla sua rudimentale barca e lui non lo colpirono, arrivato nell’altra sponda con il carico, forse di persone, pensò bene di rifugiarsi presso una famiglia che lo protesse fino alla fine della guerra e rimasero amici per sempre e la festa ne suggellò questa amicizia.