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L’osteria e il negozio

casalserugoL’osteria aveva sempre un negozio adiacente magari di generi alimentari ed è presto detto visto che un tempo non molto lontano le evivìdenti scarse risorse economiche lasciavano poco spazio ai vizi anche se spesso qualcuno ce li aveva e ben saldi anche, il vizio di ubriacarsi era frequente in quelle persone ignoranti per condizione, dedite al solo lavoro, magari dei campi e con pochi svaghi. Il reddito del “bottegaro” doveva per forza integrarsi col reddito dell’oste e alle volte del locatario visto che in alcuni posti l’osteria era anche locanda. Le famiglie erano spesso ben numerose e perciò da entrambi i punti di vista da dove si guardava c’era chi doveva arrotondare e chi per comprare il poco companatico molto spesso si rivolgeva al suo negoziante di fiducia che alle volte o molto spesso gli faceva anche credito.

L’osteria era il posto del diavolo dove la gente se aveva bevuto un sorso più del dovuto si lasciava andare a parolacce, bestemmie e turpiloqui che in certi casi degenaravano in schiamazzi degni degli animali che combattono per la conquista del territorio o di una femmina da possedere. Era sicuramente un luogo per adulti e anche se era gestito da famiglie con prole costoro si vedevano che ne sapevano sempre una più degli altri. Stranamente nella piazza si trovava sempre nella parte opposta della chiesa e quando arrivava l’estate i tavolini facevano bella mostra fuori dalla sala interna; figuriamoci il parroco quale percorso doveva inventare per scansare quel folto gruppo di depravati che immancabilmente doveva poi confessare il venerdì santo, pena l’esclusione dai benefici promessi.amici-e-osteria

Spesso questo luogo ospitava nel migliore dei casi la bocciofila con il bocciodromo sempre gremito durante i tornei e nel peggiore dei casi dalla balera. Scriverò più avanti a quei momenti di svago peccaminoso che questo luogo incuteva; l’arrivo dell’estate era la condanna alla morte eterna per tutte quelle fanciulle che desideravano fare il giro di ballo facendo volare per aria le gonne così da mostrare agli spettatori le loro gambe di ragazzine leggiadre e solo per quegli attimi, anche disinibite. Le lavate di capo erano garantite visti i tempi in cui chi partecipava alle funzioni religiose doveva adeguarsi ai canoni delle novizie, con le teste fasciate dal velo e gli abiti che dovevano assolutamete sottostare alle regole ferree della sobrietà, pena l’esclusione dalla santa comunione. Nei paesi di campagna i regolamenti religiosi si rispettavano ma al tempo stesso venivano infranti ogni qualvolta arrivava la stagione “degli amori” e se a farne le spese erano dei giovinetti caduti nel “peccato grave” della maternità indesiderata questa era sicuramente una straordinaria notizia da raccontare in osteria.

Il vino se buono era consumato volentieri ma se era accompagnato da un buon piatto di carne di cavallo cotta con le spezie e le verdure allora era una festa e per non parlare della quaresima quando si serviva il baccalà o la frittura di pesce; questo per dire che non era strano se all’osteria c’era affiancata anche la trattoria e un buon piatto di “bigoli” fatti a mano non si risparmiava a nessuno. Se si mangiava bene allora la gente arrivava volentieri soprattutto nel fine settimana i tavoli si riempivano di commensali che parlavano e giocavano a carte usando toni di voce a volte sostenuta e poi albergava sempre una coltre di fumo che penetrava fin dentro i vestiti. Si giocavano tutti i giochi di carte conosciuti sia permessi dalla legge che non, ma questo non si diceva in giro.

I racconti da osteria verranno raccontati più avanti perché hanno bisogno di uno spazio apposito e poi si devono anche sistemare prendendoli dalle persone che ancora vive ne possono riportare il contenuto, per ora una foto significativa di alcuni giovanotti ritratti in una osteria di un paese e attorno al periodo precedente la seconda guerra mondiale.

Adesso molte di queste osterie sono scomparse e una buona fetta di poesia si è dissolta, non c’è più spazio alla fantasia arricchita dal menestrello (con la fisarmonica) improvvisato o dal solito racconta-storie dato che il suo lavoro era fare il viaggiatore; nella locanda non si trova più il catino col porta sapone e l’immancabile vaso da notte visto che il cesso si trovava appena fuori, magari vicino alla stalla dei maiali o del pollame. O il letto di reti che cigolavano con sopra un materasso di “grena“, coperto di lenzuola di canapa, omaggio degli alleati del secondo dopoguerra. Ma noi siamo qui a ricordare le tante storie vissute in queste osterie, far rivivere quei momenti che solo questi luoghi hanno saputo raccontare.

La foto d’inizio proviene dalla collezione di Ferruccio Codogno mentre quella sull’articolo è della collezione di Volpin Luigi.