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La dote

La dote

Il 25 novembre 1863 il signor Pasquale Codogno viene a sapere che sua figlia Maria Antonia e Antonio Nequinio hanno intenzione di sposarsi così decide di chiamare uno stimatore putativo (credo incaricato) affinché prepari un documento di “dote” da consegnare alla famiglia di Pengo Sante dove risiedeva il diciassettenne Antonio Nequinio, come mai a quest’età così giovane? Della loro storia personale nessuno ha mai raccontato e adesso diventa ancor più difficile ricomporre tutti i vari passaggi, si sa che una volta ci si sposava così giovani solo in caso di estrema necessità con qualcosa di segreto che non era esplicito comunicare a tutti.

Mio bisnonno quando è nato venne consegnato alla “ruota” dell’Istituto degli Esposti di Padova (ora si chiama Istituto Infanzia Abbandonata) e la famiglia Pengo, di Ronchi di Casale (ora Ronchi del volo località di Casalserugo), lo prese in affido per allevarlo, in cambio di un lauto compenso che il governo austriaco elargiva alle famiglie affidatarie. Sin da bambino lo mandarono nei prati di fronte a casa a pascolare gli animali dove si trovavano anche delle case coloniche costruite nel fiorente periodo benedettino, cioè i terreni della zona erano stati sotto la custodia dei monaci benedettini della Abbazia di santa Giustina di Padova, dei coloni le governavano per trarre benefici e rendite poi ripartite a secondo di specifici regolamenti (Regola di san Benedetto) e a rotazione la cura di questi possedimenti era assegnata a certe famiglie del posto. Quando Napoleone conquistò la Repubblica Serenissima per poi consegnarla all’imperatore austriaco, ai primi dell’Ottocento, tutti i possedimenti degli ordini religiosi, compresa la tenuta chiamata dei Patri Arcà, dove vivevano i due giovani ricordati, vennero confiscati e assegnati ad altri proprietari i quali a loro volta si avvalsero dell’aiuto di molti coloni per farla produrre e in questo momento storico molti di loro appartenevano alla famiglia Codogno che questi avevano in affitto. Essa si apriva attorno alla casa della famiglia Pengo, in mezzo, distante poco meno di un chilometro, viveva Maria Antonia e frequentandosi si innamorarono così tanto da far redigere il documento in questione dove viene evidenziata la scelta di una unione in “santo matrimonio”, e dove si stabilisce la consegna di una lista di beni stimati in lire correnti (austriache), il tutto sommato in una bella cifra.

Si legge: “A richiesta di Pasquale Codogno fu Giuseppe di questo mi sono sovrascrito (senza doppia come si usava in Veneto) io sottoscritto stimatore putativo ed a (senza h) inventariato li seguenti generi di mobilia, biancheria, vestiti, ori ed argento che il suindicato Codogno ha dato in dotte (con lettera doppia questa volta) alla di lui figlia Maria Antonia, infine tutto un elenco di oggetti scritti anche con parole tipiche della nostra parlata: cottole, intimelle, cotton, sottocotole, filli di corona in oro con passotto o passeton con croce alla romana, comò, letto, specchio ecc.. per un totale di lire 917.97 niente male per quel tempo.

una pagina del documento di dote rilasciato dal padre di mia bisnonna Maria Antonia Codogno

Il documento viene completato con le seguenti diciture: il sudetto sposo Antonio si chiama di avere ricevuto la qui sopra scritta somma di importo lire novecentodiciasette e centesimi novantasette; obbligandosi il suddetto a tal somma datale tutti li suoi beni presenti e venturi a scopo di Legge Autorizzando la presente alla presenza delli qui sottopresenti due testimoni per sua validità.

Cro+ce di Antonio Nequinio sposo perché illeterato

Grigolon Sante testimonio alla croce

Cappelletto Angelo testimonio alla croce

Un documento scritto a mano da una persona colta ma con una calligrafia molto difficile da comprendere ma di un valore culturale molto importante perché ci fa percepire la vita tipica di quel tempo e se si vuole ci si può lasciare trasportare dalla fantasia per conoscere i protagonisti della vicenda; sono riuniti nel tinello di casa poco distante dal tavolo dove lo scrivano intinge nell’inchiostro la sua penna con pennino e lo fa ogni volta che si esaurisce e ricopia quello che gli viene comunicato a voce dal signor Pasquale. Dopo la firma della stipula forse seguirono altri riti che sappiamo consueti, la bevuta di vino buono e con inzuppate delle fette di focaccia preparata per l’occasione dalle donne di casa.

Poi venivano programmate le nozze da celebrare in chiesa, nel frattempo si preparava il “casone”, la nuova dimora dove sarebbero andati a vivere i due sposi, ed era col pavimento di terra battuta, il tetto di paglia, le imposte fatte alla buona, quel tanto da creare una discreta intimità, dove non mancava il focolare per cuocere il cibo e per riscaldarlo durante le stagioni fredde, un lavabo di pietra per lavare le stoviglie e le pentole; nell’altra stanza il letto dove dormire, arricchito delle stoffe portate dalla dote.

zia Virginia Carlotta primogenita della famiglia di mio bisnonno Antonio Nequinio, sorella di mio nonno

E da questa nuova famiglia sono nati quattro bambini, tre femmine e un maschio, ed è stato l’inizio della nostra storia che in questo percorso vorrei ricordare come di una vera scoperta unica e irripetibile.

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