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Le gite estive, la montagana

Le gite estive, la montagana

L’estate è la stagione più adatta per fare delle gite, in montagna, oppure al mare, ma anche nei vicini Colli Euganei, o in quelli Berici, anche qualche lago poteva essere scelto per la gita di quel giorno e i miei ricordi, ma forse sono i ricordi di decine e decine di famiglie, sono focalizzati nel vedere la prima macchina, acquistata a rate, che dopo essere stata ben sistemata e occupata del necessario per la gita partiva al mattino molto presto con mio padre alla guida mia mamma al suo fianco e noi piccoli dietro e raggiungere l’Altopiano di Asiago o quello vicino di Folgaria per trascorrere una giornata lontano dalla calura della stagione estiva. Si organizzavano delle comitive così da garantire per tutta la durata del giorno una discreta compagnia che potesse allietare le ore trascorse all’ombra dei larici o dei faggi del Pian del Cansiglio.

Il mio papà era molto bravo ad organizzare queste gite e sapeva che se c’era qualche sfaticato che non apprezzava l’idea di andare sempre nel solito posto (Asiago in questo racconto) si giustificava dicendo che il motivo era quello di fare una visita di cortesia a sua sorella suora, nonché nostra zia, che durante l’estate si trasferiva da Venezia fin su sull’Altopiano dove la congregazione delle suore canossiane della quale faceva parte aveva una stupenda casa adibita alle vacanze dei figli o delle famiglie della città, quelle che ovviamente ruotavano attorno alla scuola dell’infanzia che la stessa congregazione aveva a san Trovaso in Venezia.

Perciò alla vigilia ci si preparava tutti per il giorno dopo e chi aveva l’incarico delle provviste e chi dell’abbigliamento o chi dei giochi da svolgere nei prati o nell’immenso spazio di quella che possimo definire la “colonia delle suore”, si era tutti in agitazione per la giornata del giorno dopo che in ogni caso faceva da pausa alla normale vita di tutti i giorni. Poi sapevamo che poteva anche diventare una ghiotta occasione per visitare dei luoghi a noi sconosciuti e nuovi. Sapevamo per certo che se l’anno scorso avevamo fatto un percorso per raggiungere la meta quest’anno sarebbe stato diverso e così si potevano conoscere paesi nuovi o vedere degli scorci di paesaggio da un’altra angolatura, che sempre potevano arricchire la nostra sete di novità.

Inoltre il mio papà divulgava la notizia della gita ad amici, parenti e ai conoscenti e così la comitiva si allargava ad altre famiglie per la nostra gioia che ci consentiva di avere altri cugini o amici dei nostri cugini con cui poter giocare quando si arrivava nel bosco, perché di solito noi improvvisati piccoli escursionisti ci si addentrava lungo i sentieri di questi luoghi e si inventavano incredibili avventure stile foresta africana appena lette sul “Giornalino” o sul “Corriere dei Piccoli” unici giornaletti che ci era consentito leggere visto che univano storie a fumetti con delicati articoli di cultura generale adatti alla nostra lettura. Avevamo a disposizione anche dei fumetti di “Topolino” però in numero molto minore a meno che non ci fosse stato un adeguato scambio di volumetti poco prima delle sospirate vacanze estive, quasi sempre però l’unico gioco che interessava tutti era il calcio e quindi appena individuato il campo adatto ci si divideva in squadre e si iniziavano sfide all’ultima goccia di sudore.

Il mattino del giorno della partenza, sempre di festa e perciò sempre di domenica, la sveglia era impostata ad un orario molto anticipato rispetto all consueto, una veloce rinfrescata, si raccoglievano quei capi di abbigliamento indicati a questo tipo di escursioni, qualche maglia da indossare se faceva freddo e le scarpette più morbide per poter correre sui prati di montagna e si saliva in macchina e si aspettavano gli altri che piano piano si univano a noi e poi appena la comitiva si era formata si partiva e cominciavano subito le raccomandazioni: “Sito ‘nda in bagno” (quale bagno poi che avevamo la latrina in mezzo ai campi), “Te sito lavà el viso” e così via come a dire che dovevamo prepararci ad una assenza da casa che durava tutto il giorno e perciò nessuno e nel modo più assoluto doveva interrompere il viaggio della comitiva che doveva raggiungere la meta entro un tempo ben fissato altrimenti ogni ritardo colpevolizzava il poveretto di negligenza e svogliatezza.

Raggiunta la meta si aprivano le porte delle auto e come chiunque era rimasto intrappolato per ore si fuggiva il più lontano possibile con sottobraccio il pallone per iniziare subito a calciarlo in questi immensi spazi che sembravano tutti per noi o solo fino a quando un burbero malgaro da poco giunto sul luogo dove si stava preparando il banchetto si vedeva costretto ad imporre le sue utili regole che servivano ad evitare di veder rovinato quel piccolo pezzo di prato destinato al foraggio delle sue amate mucche che pascolavano poco distante, le nostre proteste ovviamente non servivano a trattenerci in quel magnifico campo di calcio, in questo caso si passava alla fase due che consisteva nell’addentrarci nel bosco a fare gli esploratori.

L’aria era fine, fresca, profumava di erba e di resina sputata dai tronchi dei pini o dei larici, il sole a volte riscaldava ma non creava disagio come in pianura e così l’appetito aumentava e subito si chiedeva di addentare un panino appena comprato nel forno sempre aperto del paese vicino, invece si veniva richiamati al rispetto dell’orario stabilito per il pranzo da consumare su grandi coperte di lana che le nostre mamme stavano stendendo sul prato dopo averlo ben sezionato per evitare di posarle vicino o addirittura sopra agli escrementi lasciati dalle mucche al pascolo. Poi dal baule uscivano dei voluminosi contenitori dove dentro si trovavano tutte le provviste preparate il giorno prima: cose semplici ma di sicuro effetto in quel giorno di gita in montagna, la sopressa tagliata a fette sottili, la mortadella, la pancetta quella arrotolata da affettare, il prosciutto cotto e i sottoaceti, ma c’era anche chi aveva preparato dei fagioli lessi, dell’insalata, delle patatine lessate e condite, altri magari avevano preparato della carne cotta che poi al momento veniva tagliata sottile o dei petti di pollo ben battuti e già cotti e con tutte queste buone cose si farcivano panini e si mettevano in fila sopra ad un tovagliolo posto in un angolo della coperta e inevitabilmente partiva il richiamo ad avvicinarsi a quella improvvisata mensa. Ma si voleva fare l’ultimo goal e allora si ritardava e così anche in quel contesto di spensieratezza partivano certi richiami tipici di certe mamme fin troppo apprensive: “Vien subito qua se no te vol che te ciapa par i cavej”, “Se non te vien qua adeso vegno mi la e te dago na fugassa (che si intendeva una sculacciata)” “Parché ti si sempre pronto a farme fare bruta figura, salvadego” e via di questo passo come se la ritrovata libertà che conciliava con quel luogo così ameno e di riposo non era consentita neppure in quel giorno di vera vacanza. Comunque il gioco la faceva da padrone e allora col panino tra le mani si facevano partite infinite o almeno fino al momento della ripartenza che voleva dire raggiungere la colonia della zia per salutarla rinfrescarci un poco pulirsi e poi incamminarci per la visita alla città di Asiago ad ammirare i negozi pieni di oggetti fatti di legno, ricordini tipici, le ammirate picozze che sempre ci affascinavano anche se mai potevamo beneficiare dal possederne una: “Tanto casa no a te se serve a gnente (a casa non ti è utile)” ed infatti l’unica volta che uno zio di buon cuore me ne regalò una poi a casa finì coll’essere dimenticata proprio perché in pianura certi oggetti non sono utili allo scopo, certo che erano così piccole che forse potevano essere solo appese ad un chiodo di qualche stanza.

Poi ci si avvicinava alla piazza per raggiungere infine la chiesa si partecipava alla messa e dopo l’ultima tappa dedicata all’indimenticabile dolcetto presso la vicina pasticceria (la fetta di strudel) si ripartiva per il rientro a casa, qualcuno di noi piccoli scambiava le auto per stare ancora un poco di tempo con l’amico o la cugina fino alla tappa successiva dove tutti venivano riordinati per famiglia e qualcuno già cominciava a soffrire per l’afa della pianura. Qualche volta nel programma veniva inserita l’ultima fermata a Bassano del Grappa in un posto tipico e magico posto sul famoso Ponte degli Alpini, la “grapperia Nardini”, la tappa aveva un forte significato per me perché ricordo molto bene che noi bambini non potevamo entrare ma solo guardare da fuori e così per far passare il tempo osservavamo il Brenta che scorreva di sotto borbottando mentre gli uomini si rinfrancavano all’interno e quel tanto che all’uscita non avevano altro che da raccontare della “tajadea” che poco prima avevano bevuto, poi ci si salutava in maniera quasi definitiva e si rientrava nelle proprie abitazioni col ricordo di una giornata indimenticabile perché ricca di avvenimenti da rivedere col pensiero prima di addomentarci stanchi morti.

La foto arriva dalla collezione di Olindo e Lidia Falaguasta.
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