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Le giuggiole

Le giuggiole

Tempo fa la scuola cominciava il primo di ottobre ed era sempre un giorno triste perché interrompeva la stagione dei giochi fatti all’aria aperta. Ad avvisarmi che stava arrivando quel giorno era l’albero del giuggiolo “le sisoe” che cambiavano colore diventando da verde chiaro a marroncino, voleva dire che la loro maturazione progrediva e si preparavano ad essere colte.

Nell’angolo della casona cresceva un giuggiolo molto grande e alto ed ogni anno si riempiva di questo frutto e ai primi di ottobre si puntinava di marrone perché le giuggiole diventavano più dolci e buone per la gioia di noi bambini che ne eravamo ghiotti. Per raggiungere le fronde ricche di frutti ci si aiutava con qualche mezzo di fortuna, poteva essere una cassetta di quelle usate per la vendemmia fatta nei giorni precedenti e lasciata ad asciugare al sole della corte dopo che l’avevano ben lavata per togliere il succo che gli acini d’uva avevano unto sul fondo, oppure con qualche piccola scala si saliva dove le giuggiole erano diventate più mature. Il più intraprendente del gruppo, composto da fratelli e cugini, saliva traballando e si riempiva le tasche dei piccoli frutti e appena sceso divideva con gli altri. Sono infatti dei piccoli frutti sferici, la polpa è di colore verde chiaro tendente al biancastro e quando va troppo avanti nella maturazione si avvicina al giallo pallido, quasi all’avorio, hanno sapore acidulo quando sono ancora in fase di maturazione ma man mano che passano i giorni diventano più dolci e sanno di uva passa.

È un frutto che matura in questa stagione di inizio autunno ed è molto conosciuto nel Veneto quel tanto che in un paese molto pittoresco dei Colli Euganei, Arquà Petrarca, la si festeggia con una festa a lei dedicata “Festa delle Giuggiole“. Le prime due domeniche di ottobre nel ridente paesino trecentesco le stradine si animano di banchetti dove primeggia questo frutto, oltre ad altri articoli di artigianto e di oggettistica per la casa. La festa della giuggiola di Arquà Petrarca è la protagonista di eventi culturali e gastronomici.

il giuggiolo nell'angolo del casone rosso di Piove di sacco

il giuggiolo nell’angolo del casone rosso di Piove di sacco

La pianta del giuggiolo ha sempre avuto uno spazio a lei dedicato nelle corti delle casone anche se a volte si trovava nel posto sbagliato. Veniva piantata per il suo aspetto esile, quasi filiforme, era apprezzata anche per la sua corteccia rugosa che richiamava le mani dei contadini tutte rughe e calli e poi sicuramente la sua predilezione era per la fronda che si arricchisce di fogliame durante il periodo estivo, dei piccoli grappoli di foglie messe in riga a destra e sinistra del gambo e di forma simile al frutto, ovoidale.

Spoiate quando che ea se veste e vestete quando che ea se spoie“, “Spogliati quando il giuggiolo si veste e copriti quandi si spoglia”, questo è il vecchio proverbio che accompagna questa pianta perché si riempie di foglie quando la primavera è ben inoltrata, tra aprile e maggio e poi tra le foglie escono i fiori che piano piano si gonfiano, le foglie sono sempre tante e fanno una bella ombra e i frutti ingrossandosi diventano tondi tondi fino alla maturazione che arriva ai primi giorni di autunno. Poi le foglie diventano più gialle e cadono per terra facendo un tappeto colorato da quante sono e lasciano spogli gli esili rami contorti e rugosi che presentano ogni tanto delle lunghe spine appuntite, per questo motivo i giuggioli si trovavano sempre nei posti sbagliati. Certi angoli della corte usati da noi bambini per giocare a calcio dopo qualche tiro della palla di gomma lanciata più lontano, facevano l’incontro con la pianta del giuggiolo e i suoi speroni che veniva inevitabilmente bucato facendoci terminare la partita prima della fine. Tristi e abbattuti si sperava nel suo immediato ricambio che come ogni volta veniva ricomprata alla fiera che se era quella di Arquà la si rimpiazzava subito altrimenti si doveva aspettare quella di san Martino, in paese, l’11 di novembre e l’attesa diventava interminabile, ma intanto si correva alla corte dell’amico di scuola per giocare con il suo pallone.

Le giuggiole che maturavano sulla pianta della nostra corte erano sempre di un numero superiore a quello che si riusciva a mangiare così maturando raggrinzivano e appassivano e per qualcuno potevano sembrare frutti non più commestibili ma per altri erano i preferiti perché il loro sapore diventa più dolce e acquista in bontà da assomigliare a all’uva passa. Ecco che allora le nostre nonne gli raccoglievano e facevano dei biscotti indimenticabili “i Zaèti” gli “Gialletti”.

Ecco la ricetta: raccogliere le giuggiole e lasciarle maturare al massimo, devono quasi appassire ma attenzione al loro sapore che non deve essere troppo forte (non devono marcire) e il loro numero varia a seconda dell’aspetto che vogliamo dare a questi biscotti che se sono troppe non va bene. 350 gr. di farina di mais giallo (il nome dei biscotti deriva da questo ingrediente), 200 gr. di farina fiore, 150 gr. di zucchero, 150 gr. di burro, 3 uova intere, la scorza di 1 limone gratuggiato, 1 presa di sale, la punta di 1 cucchiaino di lievito, zucchero a velo per spolverarli.

Lavorare tutti gli ingredienti senza le giuggiole fino ad ottenere una crema ben liscia e omogenea. Prendere le giuggiole e togliere il loro osso tagliandole a metà e facendo attenzione a non rompere del tutto la polpa e unirle all’impasto con molta delicatezza, formare poi dei cilindretti e tagliarli a pezzetti uguali e metterli sulla lastra del forno che abbiamo già acceso e portato a 180°, disporre sulla lastra i pezzetti tagliati e schiacciati leggermente con il pollice, infornare per circa 15/20 minuti, toglierli e metterli su un piatto dove li spolveriamo con dello zucchero a velo. Questi biscotti vanno benissimo per fare la colazione al mattino ma sono anche un buonissimo intermezzo pomeridiano accompagnati da un buon bicchiere di moscato passito dei colli Euganei.

Se qualcuno non ama o non ha le giuggiole le può sostituire con l’uva sultanina, le gocce di cioccolata, i pinoli, le mandorle sgusciate, da ricordare che l’origine dei zaèti si perde nel tempo e vengono descritti sui libri di cucina solo dai primi anni del settecento ma non si sa quando sono stati realizzati la prima volta. Si sono fatti subito dopo che nelle nostre campagne è entrato l’uso della farina di mais, un biscotto nato dalla vita semplice delle nostre massaie che non volevano sprecare e veder buttati via i preziosi frutti del giuggiolo.

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