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Nibie nostrane

Nibie nostrane

“Nibie nostrane” sono le nebbie di casa nostra, le nebbie della bassa padovana, che si vedono spesso in questa stagione, nel passaggio che va dall’autunno all’inverno. Arrivano perché sono favorite dalle condizioni climatiche e possono comparire già dal mattino presto. Vedi il vapore che si alza dalla terra, una densa coltre bianca che piano piano avvolge tutto d’intorno e poi rimane lì ferma a creare uno strato di velo dove i colori sbiadiscono si annacquano perdono la brillantezza e sembrano dilatarsi d’intorno proprio come nei quadri di certi pittori.

La nebbia, se trova le condizini di pressione atmosferica favorevoli, si stabilizza e rimane ed avvolge tutto il territorio anche per diversi giorni, ne riduce la visibilità creando frequenti disagi alla circolazione e figuriamoci per quelli che hanno sempre i minuti contati per recarsi al lavoro. Ma per la campagna la nebbia è una grande benedizione perché con la sua umidità bagna lentamente ogni cosa e così fa germogliare le sementi messe a dimora in questo periodo. Siamo a metà autunno e il grano è quello che ne trae i maggiori benefici ed infatti le nuove piante di colore verde vivo escono dalla terra creando un piacevole contrasto col colore ocra delle zolle.

E quando la nebbia entra nelle piccole screpolatura del terreno o in quelle delle piante, alla base dei ceppi, altri traggono beneficio da questa umidità, sono i funghi che spuntano sui prati o fanno capolino tra le cortecce delle piante che sono cresciute sulle rive dei fossi. Il vapore li gonfia e li prepara alla raccolta e poi quando sono ben grossi e raccolti, possono insaporire per bene le nostre tavole autunnali. Ma la natura ci insegna che esistono funghi buoni e funghi velenosi ed è per questo che bisogna sempre affidarsi a delle persone molto esperte quando si decide di raccoglierli perché tra di essi esistono spesso dei sosia così simili gli uni agli altri che se ingeriti ti possono portare alla morte sicura.

Una mattina di queste piuttosto nebbiosa, resistente, che ubriacava per bene la campagna ho deciso di andare alla ricerca di un fungo “le sbrise”, “gli orecchioni”, “pleurotu ostreanus” e mi ricordo che una volta si trovavano spesso nelle biforcazioni create dai rami dei pioppi, quelle piante cresciute a contorno dei prati della mia vecchia casa. Con rammarico ho constatato la loro scomparsa almeno nel pezzo di campagna dove attualmente vivo. Naturalmente non sono partito per raccoglierle perché non mi ritengo un valido esperto in materia micologica ma bensì per fotografarle nel loro habitat naturale ma non ci sono riuscito perché non ne ho trovata nessuna, sembravano svanite nel nulla e così ho pensato che forse ho voluto fare questa escursione nel periodo sbagliato o anche di essere passato quando qualche altro le aveva già raccolte. Mi sono recato pure in un vicino boschetto ben ricco di piante di latifoglie e anche in questo posto non ho trovato nulla, sono tornato sui miei passi un po’ sconfortato e amareggiato e per puro caso ho individuato degli esemplari di funghi alla base di un piccolo “selgaro”, “salice”, posto sulla riva di un piccolo fosso tra una lunga fila di piante simili e adiacente a questo fosso ci sono degli altri fossi completamente privi di piante.

Subito un pensiero si è fatto strada, dai nostri fossi sono spariti alberi e arbusti quasi fossero degli intralci al seminato dei campi e senza volerlo o per pura praticità sono state eradicate moltissime piante che con le loro radici frenano il terreno evitando lo sgretolamento delle rive, soprattutto quando arrivano le violente piogge primaverili. Se le rive franano impediscono di fatto il regolare deflusso dell’acqua quando deve scorrere per raggiungere il fiume e questo problema ha creato e può ricreare le esondazioni dei fossi e anche degli scoli, esperienze che abbiamo ben presenti e che ben conosciamo. Tanto più che una volta questi fossi erano molto più profondi rispetto a quelli di oggi e i loro bordi erano ricchi di piante di latifoglie così che riuscivano a contenere la formazione di erbacce, ne impedivano la ricrescita, quella che ci costa parecchi soldi di manutenzione, soprattutto in estate.

Durante la mia passeggiata ho incontrato uno di questi fossati che mi ha ben illustrato come potevano essere tutti gli altri che poi con il tempo sono stati modificati per favorire la coltivazione intensiva dei cereali. Tra i rami degli alberi ho notato l’allegra scorribanda dei passeracei che si chiamavano a vicenda per poi volare via un poco impauriti dalla mia presenza o forse per invitarsi ad una buona scorpacciata di semi di platano, sono rimasto pure ammaliato dal colore giallo vivo delle foglie degli aceri che quasi volevano illuminare di più quel muto paesaggio. Sicuramente queste piante sono state un ottimo fornitore di funghi perché le tracce lasciate erano fin troppo evidenti. Il resoconto della giornata è questo: la natura sempre ci racconta qualcosa e se la trattiamo bene, dona degli scenari molto belli peccato che ormai sono ridotti a piccole “oasi” che alcuni proprietari di “cesure” stanno cercando di preservare, per tutto il resto avanza la desertificazione, la deforestazione e l’uso dei prodotti chimici per estirpare le erbacce e credo siano la causa principale della scomparsa dei funghi.

L’altra conclusione è stata che se volevo mangiare le “sbrise” le ho dovute comperare dal fruttivendolo e chiedendo la loro provenienza mi ha detto che arrivavano dalle ceppaie sistemate nelle serre, ha pure detto che sono molto buone e infatti nulla da controbattere ma mi è mancata l’emozione di poterle fotografare arrampicandomi sulla pianta proprio come da ragazzino mi divertivo a raggiungerle salendo ai rami dei pioppi dove si potevano annidare, quelle belle orecchie color cenere, ben visibili, che spuntavano verso l’esterno e che mi invitavano alla raccolta.

E allora per non scontentare i miei lettori che ormai si sono abituati ad un palato raffinato eccovi alcune ricette da realizzare con questi funghi, quelli comprati ovviamente, che trovate facilmente dal fruttivendolo, se ben fornito.

Funghi “sbrise” trifolate: comperare due bei ceppi in modo da fare 1 kg di funghi, 8 cucchiai di olio extravergine di oliva, 2 spicchi d’aglio, del brodo vegetale, un bel ciuffo di prezzemolo, sale al bisogno.

Si puliscono i funghi lavandoli con acqua corrente e poi si lasciano ad asciugare su un canovaccio, si tagliano a striscie regolari, intanto in una capiente casseruola si fanno scivolare 4 cucchiai di olio extravergine di oliva e due spicchi d’aglio che schiacciamo leggermente con una forchetta, la mettiamo sul fuoco e appena gli spicchi diventano dorati li togliamo lasciandone un piccolo pezzo che poi alla fine deve confordersi con i funghi, si aggiungono le sbrise e si lasciano cuocere a fuoco lento per 15 minuti o fin tanto che al gusto le sentiamo tenere, si completa la cottura aggiungendo altri 3 cucchiai di olio extravergine di oliva e se serve del brodo vegetale, un bel trito di prezzemolo, si girano sul fuoco per altri 2 minuti e sono pronte da essere servite come contorno o usate per arricchire degli altri piatti descritti più avanti.

Polenta, sbrise e stracchino: per la polenta, si mettono in una pentola 2 litri d’acqua da portare ad ebolizione, aggiungere un piccolo pugno di sale grosso e poi a pioggia far scendere la farina di mais da polenta, sia gialla che bianca ma è molto meglio quella gialla, rimestando con una frusta o col mestolo come una volta, in modo da impedire la formazione di grumi. La quantità di farina varia dai 400 gr. ai 600 gr. ma deve soddisfare le vostre esigenze di consistenza, importa il risultato da raggiungere perchè meno farina si mette e più tenera diventa la polenta e in questo piatto è molto importante che resti tenera, si cuoce per 45 minuti rimestandola ogni tanto per evitare che si attacchi al fondo della pentola, se succede crea dei sapori di bruciato che sono sgraditi a tutti e quando è pronta la si versa su dei piatti col fondo.

Poi si prendono le sbrise che abbiamo cotto in precedenza e le mettiamo sopra alla polenta e tutto attorno ci mettiamo delle fette di formaggio stracchino, a raggiera, che così si scioglie col calore della polenta e in questo modo la insaporisce tutta, alla fine si serve in tavola. Vicino al nostro piatto ci mettiamo delle altre sbrise calde che servono ad aumentare il gusto di questo piatto.

Va accompagnato con vino bianco Pinot grigio ma anche con del Garganega dei colli berici o il Soave delle colline veronesi. Non è neppure disprezzato se lo si accompagna con del Cabernet novello sia esso franc o sauvignon perché adesso che sta maturando non ha ancora acquistato tutta la sua forza e perciò è ben apprezzato con questi sapori così rustici e antichi.

Risotto di sbrise: 1 bicchiere scarso di riso Vialone nano della bassa veronese per ogni persona, mezza cipolla, olio extarvergine di oliva, 2 carote, 2 gambe di sedano, sale al bisogno, grana gratuggiato. Prendere una pentola e fare un soffritto di cipolla con 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, appena è appasita si aggiunge un litro di acqua e assieme le carote e il sedano e si fa bollire fino a quando diventa tutto ben cotto, poi si mette da parte. In un’altra pentola si mettono due cucchiai di olio extravergine di oliva e si fanno tostare i chicci di riso e poi gradualmente si aggiunge il brodo vegetale che abbiamo preparato fino alla quasi completa cottura del riso, a questo punto si aggiungono le sbrise che abbiamo preparato in precedenza e si completa la cottura del riso cercando di tenerlo asciutto, si aggiunge una gratuggiata di formaggio grana e si serve.

Sbrise ai ferri e sopressa abbrustolita: comperare delle sbrise non proprio piccole e dividerle dal ceppo cercando di conservarle intere. Prendere una bistecchiera senza coste per evitare di rompere i funghi quando si girano durante la cottura, lo stesso vale per coloro che le fanno in un focolare esterno. Mettere  le sbrise sulla superfice unta in precedenza da una passata di lardo e ben calda così si evita di farle attaccare alla piastra. Girarle sul calore più volte fino alla loro cottura, tenere d’occhio i bordi che sono più esili e si possono cuocere troppo, per questo conviene penellarle ogni tanto con dell’olio extravergine di oliva che le rendono meno secche e molto più appetitose. A cottura ultimata si servono in tavola con delle fette di polenta abbrustolita. La polenta è come quella della ricetta descritta prima solo che bisogna aumentare la dose di farina per farla più consistente, alla fine, quando si è un poco raffreddata si può dividerla a fette. Meglio se la si fa il giorno prima, perché diventa più soda e se affettata si può riscaldare sulla bistecchiera posta sopra alle braci ben calde, o sul fornello acceso delle nostre cucine in casa.

Quando brustolite la polenta aggiungete delle fette di sopressa tagliata grossa, basta girarle sulla piastra un paio di volte, quel tanto da scaldare la carne e far sciogliere un poco il grasso, così si arricchisce di sapore per la forza che gli conferisce il calore.

Consigliamo di accompagnare il piatto con del buon vino rosso già maturo possibilmente: Merlot, ma anche Friularo, va bene anche il Cabernet perché al palato le armonie fruttate dei vini ingentiliscono i sapori sapidi della sopressa e i rustici delle sbrise.

Fettuccine all’uovo con sugo di sbrise: 1 kg di farina 00, 6 uova fresche, un pizzico di sale. Fare la fontana e poi il cratere dove dentro rompiamo le uova e impastiamo la farina fino a formare un impasto ben omogeneo, formare una palla che lasciamo riposare per un’ora circa. Poi su un piano infarinato cominciamo a stendere la pasta con un mattarello e realizziamo una sfoglia molto sottile che poi con delicatezza la riavvolgiamo a formare un rotolo, infine con un coltello ben affilato la tagliamo in modo deciso tenendo una misura sempre uguale. Prendiamo le striscioline di pasta e le stendiamo sopra ad una tovaglia ad asciugare cercando di scuoterle per non farle attacare tra di loro, lasciarle riposare per alcune ore fino a quando sono ben asciutte. Prendere una pentola e riempirla di abbondante acqua e quando arriva a bollore aggiungere una manciata di sale grosso quindi ci mettiamo le fettuccie che abbiamo poco prima realizzato e appena sono cotte si scolano e si mettono in una terrina.

A parte abbiamo preparato la besciamella con 50 gr. di farina, 50 gr. di burro, mezzo litro di latte, noce moscata e un pizzico di sale e pepe.

In una casseruola far sciogliere il burro su fiamma bassa e aiutandosi con un cucchiaio di legno aggiungere gradualmente la farina e continuando a mescolare si aggiunge il latte che avremo precedentemente scaldato senza portarlo a bollore. Amalgamare per bene senza fare grumi e appena si è addensata si aggiunge la noce moscata, il sale e il pepe. Cuocere per 10 minuti.

Alla fine si prendono le sbrise trifolate, quelle che abbiamo preparato in precedenza, le riscaldiamo e le aggiungiamo alle fettuccie mescolando e aggiungendo la besciamella alla fine completiamo questo primo piatto con una abbondante manciata di grana gratuggiato, servire nei piatti.

Per chi lo desidera si possono preparare le sbrise trifolate senza il prezzemolo per evitare di incrociare troppi sapori in bocca.

Sbrise fritte impannate: sbrise 1 kg, olio di semi quanto basta per friggerle, del sale fino, 2 uova, del pan grattato. Prendere le sbrise e mondarle senza riempirle di acqua, tagliarle a striscie regolari cercando di separare i vari spessori del fungo, sbattere le uova su una ciotola e mettere a fianco un piatto di pan grattato, poi si mette abbondante olio a scaldare su una casseruola e quando è ben caldo si prendono le sbrise dai vari mucchietti che abbiamo preparato e si passano prima nell’uovo e poi sul pan grattato, infine si immergono nell’olio caldo.Quando vediamo che sono cotte si tolgono dall’olio con il mestolo forato e si mettono su un vassoio con sopra un foglio di carta assorbente per togliere l’olio in eccesso, aggiungere un pizzico di sale e così son pronte per essere servite.

Conviene offrirle ben calde e quando si mangiano avvolgerle con della polenta gialla tenera e accompagnandole con del vino rosso corposo, magari un Pinot nero o un Raboso del Piave.

In Veneto la parola “nibie”, “nebbie” si usa di solito nella pedemontana mentre in altre zone si dice “fumara” nel padovano o “fumera” nel veronese, invece nel veneziano la chiamano “cajgo” o “caligo” da caligine cioè dalla parola cenere, infatti sembra cenere sospesa. Dicono anche che “tre calighi fa na piova”, cioè tre periodi più o meno lunghi di nebbia si trasformano spesso in pioggia, ma per quest’anno il proverbio disattende le sue aspettative perché la pioggia non si vede ancora.

Le fotografie sono di Paolo Nequinio

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