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Ricordi e propositi

Ricordi e propositi

Lo spazio che ci siamo creati realizzando questo blog ha lo scopo di far rivivere alcuni ricordi che poi cerchiamo di approfondire, mescolandoli con delle ricette che sono frutto di antichi riti e tradizioni. A volte li abbiamo inseriti dentro a delle vicende storiche per dar loro importanza, così da non renderli delle novelle fantastiche. Sono diventati dei racconti e per questa ragione stimolanti, frutto di una nostra curiosità colta dai libri che abbiamo comprati o trovati in giro nei mercatini, dove anche ci troviamo le foto che poi mettiamo nella narrazione. Alla fine poi, questi racconti, ci indicano la via per scoprire alcune ricette che sono la gioia del convivio, quello stare insieme che fa bene alla vita.

Una premessa necessaria per introdurre ad un resoconto che nasconde del rammarico, sul tempo vissuto a Venezia, durante gli studi, poco attratto da certi luoghi perché stranamenti vuoti o silenziosi. Ma adesso col proposito di colmare questa lacuna cercando di riscoprirli, forse più autentici e avventurosi, misteriosi ma anche familiari, magici seppur nascosti.

Uno di questi luoghi è il Ghetto di Venezia. In quel periodo l’aria che si percepiva era pesante perché durante gli anni di scuola entravano in classe delle brutte notizie, infatti nella zona del Libano, Israele, Siria, Egitto, in quegli anni settanta, si stava evolvendo uno dei più grandi e gravi conflitti armati e per tutta risposta ogni volta che transitavo in Ghetto avevo quella strana condizione di condanna senza poterla mostrare, non sapevo a chi rivolgerla. Poi passato il tempo e riscoperto il desiderio di tornare a parlare di Venezia eccomi a dovermi pentire dei miei giudizi e quasi assolvendomi mi ritornano alla mente anche altri piccoli fatti che come ho scritto rendono il racconto più incredibile. Bisogna quindi frequentare la città con la giusta calma per percepire tutti quei messaggi che sa trasmettere ricchi e appaganti, tipici di una città dai mille risvolti e dalle mille storie.

Ricordo di aver trascorso molto tempo sui vaporetti “el bateo” per andare e tornare da scuola, dove leggevo dei libretti di fumetti molto belli e impegnati e alcuni raccontavano le avventure di Corto Maltese, del disegnatore veneziano (di adozione) Hugo Pratt. In questi giorni ne ho tirato fuori uno ed è stato piacevole rileggere quanto è scritto nell’ultimo quadro della storia “Favola di Venezia” quell’invito che ho tenuto a mente per decenni e rivissuto in tante trasferte veneziane, col desiderio di scoprire e trovarvi gli spunti dell’avventura, il voler quasi imitare un personaggio dal fascino profondo, dall’essenza tutta veneziana, cosmopolita, avventuriero, temerario, amatore, sempre pronto a salpare per vivere la libertà che lo distingueva.

C’è scritto: “Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in Calle dell’amor degli amici (lo incontri per caso se stai attento non al luccichio delle vetrine ma agli angoli delle case, tra campo dei Frari e campo san Polo), un secondo vicino al Ponte delle maravegie (questo si trova facilmente perché il ponte attraversa rio san Trovaso sulla calle che porta all’Accademia), un terzo in Calle dei Marrani (e questo per me è ancora sconosciuto) a san Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (qualche volta anche i maltesi…) sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie” (queste parole si trovano anche nella storia Corte sconta detta Arcana, corte botteri, altro luogo di Venezia a me sconosciuto). Chi più di Hugo Pratt, l’autore di Corto Maltese, poteva tirare fuori una conclusione così bella alla sua storia, chi come lui ha potuto sperimentare avventure che hanno segnato la sua vita in modo indelebile. Eccovi allora degli spunti per scoprire Venezia a passo lento col desiderio di fuggire dalle autorità costituite e vivere momenti di libertà vera e incondizionata per andare col pensiero in altre storie.

Il 29 marzo 1516 il Senato Veneziano approva  la proposta di Zaccaria Dolfin di raggruppare tutti gli ebrei in un unico posto della città chiamato “getto” o “ghetto” perché è un luogo periferico, un luogo anzi un’isola ancora poco edificata (non a caso si chiama sestier di Cannaregio, ricco di canne palustri) dove i veneziani vi gettavano gli scarti delle fabbricazioni delle case, una discarica di laterizi e di tante altre cose.

Gli ebrei sono giunti a Venezia sin dalla sua fondazione e poi durante i secoli per varie ragioni quasi sempre di natura commerciale altre volte a causa dei regolamenti operati dagli stati dove risiedevano e che avevano lo scopo di controllarli e in certi casi isolarli. Nella Spagna alla fine del 1400, con Isabella la Cattolica che li voleva tutti convertire al cristianesimo e chi lo faceva per convenienza poteva rimanere nel regno di Castiglia solo che erano apostrofati come “marrani”, “maiali” e per questo perseguitati, dal nord Europa a causa della nuova riforma protestante operata da Martin Luther, dal medio oriente dove il dominio ottomano aveva occupato tutta l’area. Così scelsero Venezia, una città che per molte ragioni era la più tollerante e cominciarono a riunirsi in comunità nell’isola antistante san Marco, l’isola di Spinalonga, poi rinominata isola della Giudecca, da Giudei appunto. Col tempo la comunità divenne molto numerosa, in parte suddivisa per appartenenza e provenienza, per cui destava anche qualche preoccupazione al Senato Veneziano. Delle vicende sugli ebrei a Venezia si sono già occupate altre persone, molto più esperte di noi, nel tratteggiare storicamete le numerose vicende, a noi sta a cuore invitarvi a leggere qualcuno dei numerosi libri stampati, approfondendo questa straodinaria storia che, se da un lato ne comprendiamo certe evoluzioni, dall’altro ed è l’argomento che ci piace di più ricordare ci sono alcune ricette della cucina veneziana e veneta, arrivate da quella ebraica.

Non le riportiamo tutte, anche perché risulta difficile, solo alcune, quelle che hanno arricchito le nostre mense, come i dolci, realizzati per le nostre feste e preparati spesso anche nelle feste ebraiche. Il Pan di Spagna arrivato con gli ebrei spagnoli e portoghesi, lo Strudel da quelli germanici, il Tortiglione da quelli levantini, la Gubana e il Sacher di recente realizzazione, la torta di miele, la torta di pere, la Pinza dell’Epifania, tanto per citarne qualcuno e senza essere smentito. Sono cosciente del fatto però, che le ricette sono un patrimonio di tutti e figuriamoci la loro paternità, frutto di continue contaminazioni che la cucina veneziana non si è fatta scappare per arricchire le mense delle sue tavole e sviluppata lungo l’arco dei secoli, tanto è stato il tempo di permanenza degli ebrei in laguna.

Tra i piatti da non dimenticare, di quasi certa origine ebraica, ci sono le sardee in saor, gli sfogeti in saor, i bigoli in salsa, i risi con le verze, le polpette di pesce e tantissimi altri portati dalla loro cultura e da quei vincoli alimentari che hanno sempre rispettato con sapienza e che li hanno contraddistinti per secoli. E tutto questo patrimonio è sicuramente un grande arricchimento che non deve lasciarci indifferenti anche perché la cucina preziosa che ci è stata trasmessa non è passata inosservata, anzi.

Pan di Spagna: 100 gr. di farina 00, 120 gr. di zucchero, 5 uova, una bustina vanillina, un pizzico di sale, aroma limone o vaniglia, burro per la tortiera.

Accendere il forno, in una terrina lavorare energicamente i tuorli delle uova con lo zucchero usando la frusta, montare gli albumi a neve fermissima con un pizzico di sale e incorporarli ai tuorli, aggiungere la farina miscelata con la vanillina e l’aroma, mescolare piano dal basso verso l’alto in modo da ottenere un composto ben sodo. Imburrare una tortiera e mettere l’impasto, infornare a 170° e cuocerlo per 40 minuti, controllare la cottura con lo stecchino. Questa è la base per fare le torte con le creme perché appena si è freddata la si può tagliate a metà in altezza e poi  farcirla con la crema pasticcera o con la marmellata che preferiamo, a piacere. Crema pasticcera: mezzo litro di latte, 3 tuorli, 70 gr. di zucchero, 50 gr. farina fiore, un pizzico di sale, aroma rum.

Sbattere i tuorli con lo zucchero, aggiungere il latte freddo e poi la farina setacciata e l’aroma, portare a bollore fino a quando la crema diventa un poco densa, tenerla sempre mescolata per cucinarla alcuni minuti. Farcire le torte.

Torta Mimosa: si fanno due dischi di Pan di Spagna e quando si sono freddati si toglie via la parte color nocciola lasciando in bella vista il colore giallo e un disco lo si guarnisce di crema, mentre l’altro lo si riduce a piccoli quadratini bagnandoli con del liquore aromatico o del succo di frutta come quello all’ananas, distribuirli dove abbiamo messo la crema.  Il risultato deve essere una torta che richiami il fiore della mimosa. È un dolce di ottimo auspicio per la festa della donna e non solo, anche a Pasqua si mangia volentieri.

Strudel di mele: per la pasta, 300 gr. di farina, 1 uovo, 50 gr. di burro, 1 cucchiaino di zucchero, 1 cucchiaio di olio, sale. Per il ripieno: 1.200 gr. di mele, 150 gr. di biscotti secchi, 100 gr. di burro, 20 gr. di zucchero, 50 gr. di uva passa, 50 gr. di pinoli, 1 limone, mezzo bicchiere di succo di mela. Zucchero a velo alla fine prima di servire.

Mescolate alla farina, lo zucchero e il pizzico di sale, quindi disponete a fontana, incorporare l’uovo intero e il burro morbido. Aggiungete poco alla volta mezzo bicchiere di acqua tiepida o comunque quanta ne basta per dare all’impasto la giusta consistenza, lavorarlo per una decina di minuti finché diventa liscio ed elastico. Fare una palla, ungerla con dell’olio e fatela riposare per 30 minuti ben coperta da un canovaccio.

Nel frattempo mettere in ammollo l’uvetta dopo averla lavata, sbucciate le mele, togliete il torsolo e tagliatele  a fettine e stendetele in una ciotola, aggiungete lo zucchero, una presa di cannella in polvere, i pinoli ed infine l’uvetta ben strizzata assieme alla rapatura di un limone, mescolare bene e lasciate macerare al fresco. Prendete la pasta e stendetela con un matterello sopra ad un tagliere infarinato e realizzate una sfoglia sottile e resistente, spenellatela di burro fuso e su oltre la metà della sfoglia distribuite i biscotti sbriciolati bene, poi aggiungete le mele a fettine fatte macerare con il resto distribuendole sulla sfoglia. Arrotolatela delicatamente su se stessa cercando di portarla sopra ad un canovaccio che ci aiuterà nell’operazione di formare un rotolo compatto e senza fessure, poi con la sfoglia senza ripieno si salda bene il rotolo, se necessario premere delicatamente affinché si appicichi stando attenti a portare la parte di sfoglia senza frutta al di sopra. Preparare il piano del forno mettendo un foglio di carta adatta alla cottura e aiutandosi con il canovaccio depositate il rotolo sopra di esso, spenellate la sfoglia di burro fuso rimasto e infornare a 200° e dopo circa mezzora di cottura tiratela fuori e spenellatela di succo di mele. Lasciatela cuocere per altri 20 minuti quindi tirate fuori e spolverizzatela con zucchero a velo.

Strudel de casa: 500 gr. di mele, 1 bicchiere di latte, 300 gr. di farina fiore, 150 gr. di burro, 50 gr. di uva passa, 100 gr. di zucchero, 1 uovo, 10 noci, 1 limone il sugo e la buccia grattugiata, una presa di sale.

Con la farina fare la fontana e mettere gli ingredienti per fare la pasta sfoglia, il latte, metà del burro, l’uovo, il sale, lavorarla bene e formate una palla che poi mettiamo a riposare per circa un’ora. Intanto ammorbidite l’uvetta, rompete le noci e frantumate i gherigli e alla fine sbucciate le mele, poi tagliatele a fettine disponetele in una terrina e irroratele di sugo di limone altrimenti diventano scure. Prendete la pasta e stendetela con il mattarello finché realizzate una sfoglia elestica e resistente, disponetela sopra un foglio di carta da forno e poi mettete le fettine di mele, l’uvetta, i gherigli, lo zucchero e il resto del burro a pezzetti, la buccia grattugiata, arrotolatela delicatamente fino a formare un rotolo consistente e ben equilibrato, fissatelo bene premendo un poco con le dita e con l’aiuto del foglio di carta depositatelo nel piatto del forno e infornate a 180° per un’ora circa seguendo questo consiglio, passati i 3/4 di cottura toglietela dal forno spenellate il rotolo con acqua e rimettete in forno per concludere la cottura.

Tortion, Totiglione pasquale: per la pasta frolla, 200 gr. di farina, 110 gr. di zucchero, 120 gr. di burro, 1 uovo e 2 tuorli. Per il ripeno, 350 gr. di mandorle sgusciate e pelate, 300 gr. di zucchero, 1 cucchiaio di liquore aromatico (va bene la grappa o anche il cognac), 1 uovo, 1 albume.

Setacciare la farina sulla spianatoia, aggiungere il burro a pezzetti, lo zucchero e lavorateli fino a formare una sabbia, aggiungete l’uovo e un tuorlo, lavorate per bene per formare un impasto omogeneo, arrotolatelo e mettetelo in frigo per 50 minuti. Preparate il ripieno tritando finemente le mandorle aggiungete lo zucchero e continuate la triturazione per ottenere un impasto molto fine, aggiungete l’uovo, l’albume, il liquore, mescolate l’impasto per farlo diventare ben sodo, dategli la forma di un cilindro. Prendete la pasta e stiratela, formate un rettangolo, appoggiate il cilindro e avvolgetelo con la pasta facendo cadere la fessura sul basso e poi datele la forma di un serpente attorcigliato, pizzicatelo lungo il dorso e spenellatelo con il tuorlo leggermente sbattuto. Infornate e cuocete questo dolce in forno preriscaldato a 170° per 30 minuti.

La Pinza, dolce tipico dell’Epifania, si preparava per tempo e poi si portavano le fette di casa in casa fino ad un massimo di sette famiglie e questo rituale aveva il significato di chiedere la benevolenza per l’anno appena iniziato. Ingredienti: 1 litro di latte, 200 gr. di farina di mais, 200 gr. di farina fiore, 50 gr. di burro, 100 gr. di uvetta sultanina, 100 gr. di fichi secchi, 1 mela renetta, 1 bicchierino di grappa, 1 uovo, 1 bustina di lievito, sale, 100 gr. di zucchero e una manciata alla fine.

In un pentolino mettere sul fuoco il latte con il burro e il sale, appena inizia a bollire versare poco per volta la farina di mais in modo da preparare una polentina e farla cuocere per 20 minuti mescolandola continuamente per non farla attaccare sul fondo. Aspettare che si freddi e poi aggiungere l’uvetta precedentemente ammollata in acqua tiepida e strizzata, i fichi tagliati a pezzetti, la mela sbucciata e ridotta a pezzi, il bicchierino di grappa, l’uovo, mescolate per bene e poi aggiungete la farina fiore e il lievito con lo zucchero. Prendete una pirofila ungetela di olio o stendete un foglio di carta da forno, versate l’impasto cospargetelo di zucchero e mettete in forno caldo per un ora. Un’altra ricetta prevede l’uso del pane raffermo al posto delle farine ed è sicuramente un dolce dall’aspetto diverso perché appena cotto avrà un colore più scuro ma ci dice che una volta non si buttava via niente e tutto il cibo che si poteva riciclare veniva usato in vari modi e in questo caso serve per fare il dolce dell’Epifania.

La Pinza viene chiamata anche Smejassa, perché nel tempo bellico dei razionamenti, al posto dello zucchero si usava la melassa, uno zucchero poco raffinato e tirato fuori dalla canna zuccherina, trovate la sua ricetta in altri articoli del sito. Infine, qui non ci stanno descritte tutte le ricette dell’inizio e saranno riportate nel libro che si sta preparando e che speriamo di completarlo al più presto.

I vini adatti per questi dolci possono essere frizzanti o fermi, andiamo con ordine: il Moscato dolce dei colli veneti, il Malvasia, i vari Passiti, ma anche il Pinot Chardonnay, per gli spumanti il famosissimo Prosecco, il Serprino dei colli Euganei, il Vespaiolo spumante di Breganze e se vogliamo bere qualche vino rosso possiamo affogare questi dolci con il Bardolino rosé, oppure il Marzemino della valle d’Isera in Trentino, oppure il Picolit friulano.

Torno volentieri sulla storia “Favola di Venezia” di Hugo Pratt perché sicuramente a qualcuno che ha letto fin qui l’articolo si sarà domandato quali ne siano i legami, ed è presto detto, innanzitutto le incursioni col mondo ebraico, poi dovendo cercare una fotografia da mettere tra queste righe ho trovato nella mia collezione una bella foto del leone dell’Arsenale, indagato da Corto Maltese per leggervi alcune scritte misteriose incise nel suo fianco e che lo dovevano portare al ritrovamento di un famoso smeraldo, molto prezioso e importante.

Foto della collezione di Paolo Nequinio.
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