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Ritorno a Burano

Ritorno a Burano

Catina e Polo sono due innamorati e vivono a Burano, sono giovani e ogni tanto si frequentano, Polo è un pescatore e deve lavorare molto se vuole sposare la ragazzina di calle della Provvidenza, lei è bella, dolce, ha modi gentili e cerca di non essere di peso alla famiglia facendo dei piccoli servizi presso alcune signore dell’isola. Qui tutti si conoscono e perciò sono a conoscenza dell’amore che è sbocciato tra i due giovinetti, non li ostacolano semmai la mamma di Catina cerca di metterla in guardia dalle scelte troppo frettolose. Polo lavora tanto, si muove con la sua barca per tutta la laguna, ne conosce ogni segreto anche quelli più nascosti tra le barene, è un grande specchio d’acqua ma è anche un labirinto pericoloso soprattutto quando sale la nebbia e si fa fatica a tornare a casa, ma Polo è sempre riuscito a tornare, a farcela, anche quando il tempo è minaccioso.

Una fresca mattina di aprile mentre sta tirando su le reti si accorge che tra le maglie si è incastrata un’alga tutta incrostata di calcio e di magnesio, capisce che è molto fragile ma anche molto bella, unica, il suo pensiero va a Catina, la libera dalla rete senza romperla e poi la mette in un angolo sicuro della barca. Il suo cuore è gonfio di gioia perché finalmente può regalare alla sua innamorata qualcosa di veramente prezioso, sa di poterla sorprendere e infatti quando gliela porge, aprendo piano piano le sue mani, Catina si commuove e lo abbraccia con gioia. Lei conserva quel regalo con cautela e ha una paura folle di romperlo anche se ogni tanto lo prende per guardarlo, è di rara bellezza e pensa al suo Polo mentre sta tirando sulla barca le reti ricche di pesci che poi il suo padrone deve vendere al mercato di Rialto. Le piacerebbe conservarla per tutta la vita tanto è bella quell’alga così cristallina e poi è un regalo di Polo. E un giorno è lì che pensa e alla fine scopre che può riprodurla creando i vuoti e i pieni annodando stoffa e filo che aveva in casa, prova varie volte per creare il disegno autentico di quel prodigio di natura e alla fine riesce a realizzare qualcosa di sorprendente, tutti i tentativi che aveva fatto, fino all’ultimo, erano molto belli tanto da invaghire alcune signore dove lei prestava servizio. Questa è la leggenda che viene raccontata da sempre, sulla nascita del merletto di Burano e la ascolti con piacere che come un eco rimbalza tra le calli di questa isola delle meraviglie.

Il 26 aprile del 1595 viene eletto doge di Venezia Marino Grimani, ha 63 anni il suo passato merita il giusto rispetto perché ha lavorato come ambasciatore riportando eccellenti successi, è stato anche procuratore e ha una moglie bellissima, Morosina Morosini. Quando viene eletto la gente si aspetta da lui molti risultati e li ottiene ma molti di più riesce ad ottenerli sua moglie Morosina. È adorata dai veneziani e lei ricambia creando delle fortunate istituzioni che dovevano emancipare le donne come la scuola di merletto dove erano occupate fino a 130 merlettaie. Per merito suo il merletto comincia la sua fortunata elaborazione e la sua incredibile espansione infatti in poco tempo viene richiesto da tantissime persone sia veneziane che francesi, sassoni, spagnole, fiamminghe  diventa sempre più bello, raffinato, artistico e la sua fama non ha eguali tra i prodotti della Serenissima, viene venduto a caro prezzo ma comunque molto  richiesto, motivo in più per essere insegnato a tutte le ragazze della città ma anche nei conventi, negli ospizi, nelle carceri femminili, negli orfanotrofi.

Il lavoro di merlettaia è stata la giusta risposta per ridare dignità alle donne veneziane e molte di queste trovarono la loro emancipazione. Decine e decine di ragazze avevano trovato un lavoro che permetteva loro di guadagnare, ma anche attraverso questo nuovo prodotto far conoscere la loro bravura in quella gara artistica premiata fior di denari. Si ricordano merletti molto elaborati che avevano richiesto anni di lavoro e poi pagati delle cifre favolose e si ricorda che l’uso del merletto venne esteso non solo al complemento d’arredo ma venne aggiunto ai capi di abbigliamento, sui colli degli abiti, i corpetti e perfino sulle pantofole, conferendo un tocco di grande signorilità a chi li indossava.

vestito con ricami e corpetto di merletto

vestito con ricami e corpetto di merletto

Col tempo la sua produzione si estese a tutta la laguna ma a seconda delle località si adottarono dei modi diversi per crearlo, così se a Burano veniva fatto “in aere” cioè con il conosciuto “punto in aria”, per farlo a Pellestrina si usavano i fuselli o il “tombolo” mentre a Chioggia lo si realizzava col telaio.

Alla morte della dogaressa vennero a mancare anche i sostentamenti e sembrava una esperienza destinata a finire, però molte donne avevano ormai compreso l’importanza di una fonte di reddito che le rendeva autonome e non vollero smettere con la sua produzione e quel tanto che il Senato del governo della Serenissima fu costretto ad emanare delle leggi a tutela del prodotto così richiesto dal mercato europeo solo che molto presto venne imitato trovandosi in concorrenza coi merletti provenienti dalle Fiandre e dalla Francia. Con la resa della Repubblica di Venezia alle truppe di Napoleone, il merletto sembrava destinato a scomparire ma verso la metà dell’Ottocento venne ripresa la sua riproduzione nel rispetto della tradizione buranella, infatti venne riaperta la scuola di Burano, e passati i tempi di Morosina, qualche donna coraggiosa si è fatta carico di insegnarlo alle giovinette col risultato di fermare l’esodo delle famiglie più giovani dall’isola verso Venezia e la terraferma.

Burano però non è solo merletto ma anche isola di colori perché in tutta questa storia ci siamo dimenticati di Polo che sarà pure nato da una leggenda ma alla fine si sposò la sua Catina solo che lui continuò a fare il pescatore e così anche i suoi figli e i figli dei suoi figli. E a Burano quando arriva la nebbia, quella fitta, “el caligo, la caligine densa” e il buio invernale arriva cale alle prime ore del pomeriggio, il povero pescatore sfinito di stanchezza, trovava difficile ritornare alla sua piccola abitazione, tutte costruite allo stesso modo, piccoline, con le porte d’ingresso vicine, così per non far confusione ogni famiglia decise di colorarle di un colore diverso una dall’altra col risultato di un villaggio variopinto e se lo osserviamo dalla laguna quando si ormeggia la barca, offre lo spettacolo di un’arcobaleno.

Ma voi pensate che l’isola sia solo merletti o colori. No! è anche calore e buonissimi sapori:

Risotto di gò (pesce della laguna), ingredienti: 350 grammi di riso Vialone nano, 350 grammi di gò, 1 cipolla, 1 costa di sedano, 1 carota, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, olio extra vergine d’oliva, due noci di burro, 1 spicchio d’aglio, pepe, sale, grana grattato.

Monda e lava la cipolla, la carota, il sedano e versale in una pentola d’acqua salata che porti a bollore. Lascia cuocere alcuni minuti, quindi scotta per alcuni minuti i gò, e subito li pulisci delle interiora, fai dei filetti che metti da parte e rigetti nel brodo tutte le altre parti del pesce. Continua a far andare a fuoco vivace fino a ridurre il liquido a un terzo, quindi filtralo e rimettilo sul fuoco. In una casseruola fai imbiondire lo spicchio d’aglio in olio e burro, toglilo come prende colore e butta il riso, fallo insaporire qualche minuto a fuoco spento, poi inizia a cuocerlo tenendolo sempre rimestato e bagnato con dei mestoli di brodo che hai preparato. Verso fine cottura aggiungi i filetti di gò, rimesta, manteca con pochissimo burro e il formaggio, aggiusta di sale e pepe, cospargilo di prezzemolo e mandalo in tavola all’onda (vuol dire non troppo asciutto).

“Bodoletti” muggine calamita al forno (tipo di pesce della famiglia dei cefali), ingredienti: 500 gr. di muggine calamita, 2/3 cucchiai di olio extravergine di oliva, 2 foglie di alloro, 2 cucchiaiate di aceto, sale.

Monda e lava i “bodoletti” e disponili in un tegame di terracotta (se non l’avete va bene una pirofila di ceramica) mettete poco olio e le foglie di alloro e spruzzate un po’ di sale. Coprite il tegame e infornatelo portando i “bodoletti” a metà cottura. Spruzzate l’aceto e quindi completate la cottura poi si mandano in tavola con la polenta calda.

Biscotti esse buranelli: 1 kg. di farina (oppure 800gr. farina e 200 gr. di fecola), 12 tuorli (oppure 9 tuorli e 2 uova intere), 600 gr. di burro, 300 gr. di zucchero, 1 scorza di limone grattugiata, vanillina, sale.

Disporre a fontana la farina, fare il classico buco e mettere tutti gli ingredienti (il burro va ammorbidito) e si impasta il tutto molto bene e a lungo fino ad ottenere un impasto omogeneo e liscio. Metterlo in frigo per mezzora, poi si tira fuori si fanno tante porzioni uguali e si stirano tanti filoncini non troppo grossi ma neanche tanto sottili, tagliateli della misura di 10 cm. poi si modellano a forma di esse, si mettono in forno caldo a 180° per mezz’ora, devono assumere un bel colore dorato. Questi biscotti sono senza lievito perciò si tenere d’occhio e assaggiare per capire quando sono cotti. Inzuppateli nel tè, nel cappuccino, ma ancora meglio nello zabaione, provateli col vino Passito, il Torcolato, il Teroldego, il vin Santo.

La foto d’inizio è della collezione di Emilio Nequinio e quella dell’articolo è di Noiato, le foto della galleria sono di Paolo Nequinio.
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