Tre uova prese di nascosto

“Tre ovi tolti de scondon” poteva essere questo il titolo della breve storia che vi voglio raccontare.
Antonella e Laura erano grandi amiche, frequentavano la stessa classe e vivevano in due case vicine e sulla stessa via, le abitazioni erano una di fronte all’altra e perciò nei pomeriggi liberi, dopo la scuola si trovavano spesso a giocare insieme. Dentro alla proprietà di Antonella e vicino alla casona si trovava della vigna, non troppe piante, utili alla famiglia, di fronte all’uscio di casa c’era una baracca e dietro ad essa la stalletta del maiale, poco più in là dove terminavano i filari c’era uno spiazzo di prato tutto recintato da una siepe alta che proteggeva la cesura e le viti dalle folate di vento. In questo angolo quasi intimo le due bambine avevano portato dei ceppi di legno per improvvisare una specie di salotto che occupavano nelle giornate di bel tempo, dove intavolavano dialoghi e faccende con le loro due bambole di pezza.
Le giornate di primavera che spandeva nell’aria il suo profumo di boccioli di fiore appena schiusi e l’erba fresca che cominciava a rinnovare il prato, creava un qualcosa di pittoresco e quell’angolo sembrava uno scenario fantastico.
Antonella e Laura in questa storiella avevano 8 anni ed è Antonella che racconta: “un giorno mentre stava per cominciare il nostro gioco con le bambole, siamo state spaventate dal chiasso di una gallina che usciva svolazzando da dentro la siepe e sbattendo le ali si incamminò velocemente verso la corte a raggiumgere le altre sue simili. Noi incuriosite siamo andate a vedere il perché la gallina si era nascosta dentro agli arbusti e abbiamo visto un nido che conteneva 3 uova, uno era stato covato da poco. Ci siamo guardate e poi abbiamo ripreso il nostro gioco. Poco dopo siamo tornate a casa e senza volerlo ci siamo imbattute nei consigli che la nonna dava alla mamma per la spesa da fare dal “casoin”: prendi 3 uova di zucchero, 4 uova di olio e con i pochi soldi che ti dò salda il conto in sospeso e prendi della farina per fare la “torta margherita”.
Tante volte avevamo accompagnato la mamma dal negoziante di generi alimentari ” el casoin”, tante volte avevamo visto comperare le poche cose necessarie che servivano alla casa pagandole con le uova. Tantissime volte lo sguardo si fermava ad osservare la ciotola di latta che conteneva la “crema di nocciole” (così si chiamava la cioccolata morbida che adesso chiamiamo Nutella, da adesso in poi la chiamerò cioccolata), ma mai avevo avuto la soddisfazione di vederla accartocciata su un foglietto di carta oleata (una volta si vendeva a peso) per portarla a casa, magari poca, magari anche pochissima e invece questo non succedeva mai. Del resto le famiglie di alcuni decenni fa facevano molto bene i conti con le poche disponibilità che avevano e le uova a quel tempo erano soldi che servivano anch’esse a comperare il solo necessario.
Ma quelle 3 uova diventavano per noi una ghiotta occasione per soddisfare uno dei nostri desideri per tanto tempo represso. Così il giorno dopo durante la ricrezione, tra una lezione e l’altra, con Laura ci siamo accordate per comperare 3 uova di cioccolata, solo che non dovevamo andare dal solito negoziante, Augusto, perchè incuteva un certo timore, bensì nella botteguccia della Luigia, quella distante da casa che così di sicuro non ci conosceva e potevamo far l’acquisto senza essere scoperte. Questo era quello che pensavamo in un primo momento.
Dopo il pranzo presa con me la bambola sono subito corsa fuori nella corte per andare a giocare sul solito angolo di campo, avevo preso anche la sporta della spesa ma la mano veloce della mamma me la sfilò dal braccio dicendo: “questa te mea sasini e perciò ea resta in casa” “ questa me la rovini e quindi resta qua”, forse si ricordava di quella volta che l’avevamo riempita di erba e foglie dato che anche noi avevamo fatto la spesa. Solo che questa faccenda stava per rovinare il nostro progetto e sono corsa da Laura per dirglielo ma lei previdente come sempre aveva preso il vecchio cestino dell’asilo e questo forse bastava. Superato il primo ostacolo si doveva trovare la soluzione di raggiungere la bottega della Luigia che non era proprio lì vicino a casa e così proposi di prendere la stradina dei campi “la caresà” che portava proprio vicino alla casa da raggiungere. E così siamo partite con la bambola sotto braccio e il cestino sull’altra, a passo svelto e dopo un certo tempo abbiamo raggiunto il piccolo negozio della Luigia, ci siamo guardate negli occhi e siamo entrate, il cuore batteva a mille e balbettando ho detto: “signora Luigia volevo 3 uova di cioccolata”, lei fece finta di non capire la richiesta e così Laura ribattè: “mia mamma ci ha dato 3 uova e con queste dobbiamo comprare della cioccolata, perché dopo la deve adoperare”. Per la seconda volta la Luigia ci fissò con quegli occhi chiari e buoni e forse avrebbe voluto chiedere molte cose sull’origine di quelle uova ma si trattene e con fare elegante si avvicinò e prese le uova dal cestino le avvicinò alla fessura che facevano le due ante dei balconi da dove filtrava la luce e disse poco dopo: “sì sono fresche” e ritornò dietro al bancone, prese un cucchiaio di ferro e con molta maestria lo affondò dentro al barattolo di latta che conteneva la cioccolata: “devo fare due cartocci” disse tanto aveva intuito la situazione, ma noi subito e balbettando “no, no ce ne basta uno”, le gambe non riuscivo più a trattenerle tanto tremavano, a darmi coraggio era il sorriso sottile della signora Luigia mentre faceva cadere sulla carta la cioccolata e poi raggiunto il peso la accartocciava. Sempre sorridendo ce la portò per metterla nel cestino e subito dopo disse “mi fate un grande favore, salutate le vostre mamme quando tornate a casa” e nominò i nomi esatti delle nostre mamme, per fortuna che credevo di fare tutto in incognito.
Una volta i negozi erano un luogo di vita e di ritrovo dove tutti si conoscevano e dove molte notizie circolavano, si formava la comunità e potevano essere un posto utile a tanti perché lo scambio di saluti, di ricette, di consigli, davano una mano alle brave massaie di un tempo, non come quelli di oggi dove si fa fatica a guardarsi negli occhi.
Subito dopo abbiamo salutato la signora Luigia, siamo uscite e scappate via di corsa verso casa riprendendo la solita stradina di campagna, fino a raggiungere il nostro luogo sicuro ed intimo e qui abbiamo scartato il cartoccio che conteneva la cioccolata, vi abbiamo messo dentro le dita e ce la siamo mangiata in un batter d’occhio, quella è stata la cioccolata più buona della mia vita, ma che dico della nostra vita.
Ricetta della crema di nocciole: 130 gr. di cioccolato fondente, 70 gr. di nocciole sgusciate, 40 gr. di burro, 80 gr. di zucchero, 150 gr. di latte.
Mettete lo zucchero in un frullatore e riducetelo a velo tostare le nocciole mettendole su una teglia e infornandole per 10 minuti nel forno preriscaldato a 120°, smuoverle un poco dopo i primi 5 minuti per non farle bruciare, passati anche gli altri cinque togliete le nocciole e dopo poco sfregatele con le mani per togliere la pellicina, aggiungerle allo zucchero che si trova nel frullatore e continuare a frullare fino ad ottenere una farina molto fine. Facendo questo il composto comincia a scaldarsi e a trasformarsi in una pasta morbida, tagliare a dadini il cioccolato fondente e aggiungerlo al resto, continuate a frullare fino a renderlo molto morbido e cremoso, aggiungere il burro e il latte e continuare a frullare fino ad ottenere un composto ben omogeneo. Poi trasferitelo su un pentolino e cuocetelo a fuoco medio/basso rimestando continuamente per dieci minuti circa. Trasferite la crema ottenuta e ancora calda in vasetti di vetro col tappo a vite usati anche per le marmellate e chiudere per bene, lasciare raffreddare e mettete in frigo.
Questa crema di nocciole può essere spalmata sul pane, è senza conservanti e per questo va consumata entro la settimana, 10 giorni, si può spalmare o si possono farcire delle torte. La sua onorabile destinazione non è finire per giorni in frigorifero ma spalmata sopra a dei biscotti “secchi” bagnati di crema marsala, disposti su una pirofila e poi ricoperti di cioccolata, a starti, in modo da consumarla tutta. Questo dolce si mette per un giorno in frigorifero e si mangia accompagnandolo a dell’ottimo tè fruttato o ad un vino Fiori d’arancio dei Colli Euganei. Non sarebbe corretto mangiare questo dolce in periodo di Quaresima, per via delle raccomandazioni che il parroco ha detto, ma se lo fate il giorno prima di Pasqua (difatti Antonella e Laura dovettero rendere conto anche al prete quando confessarono di aver sottratto le uova e trasgredito alle regole di astinenza del periodo), è un buonissimo dolce che si accompagna con del vino Passito o il Torcolato di Breganze, ma anche con dell’ottimo vino di Cipro (fate attenzione alla provenienza per non incorrere nel vecchio proverbio “el va el vien come el vin da Cipro” cioè “va e torna come il vino da Cipro” questo per dire che anche nel mercato di Rialto, a Venezia, le frodi capitavano anche in un tempo lontano) che ha quell’aroma asciutto inconfondibile. Se fate questo dolce non badate sicuramente alla linea ma se invece avete un occhio di riguardo al vostro corpo ricordatevi che il giorno dopo vi aspetta una corsa in bicicletta di parecchi chilometri. Rimarrà sempre un momento unico e il più significativo della vostra vita.