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Un baccalà di montagna

Un baccalà di montagna

Conoscere come si vive in montagna è sempre un ottimo esercizio perché se approfondiamo i loro usi e costumi ci rendiamo conto di come la vita non ha mai riservato loro quelle determinate soddisfazioni che si hanno per coloro che vivono in pianura. Infatti per i montanari è spesso segnata dalla fatica e dal sudore, per ottenere il minimo sostentamento quotidiano, e durante la stagione invernale è amplificata dalle condizioni di disagio che si manifestano quando copiose e prolungate nevicate impediscono a volte la sola uscita da casa e così si deve far ricorso a degli utili insegnamenti trasmessi da secoli di esperienza, di generazione in generazione tra queste genti che risiedono nei villaggi delle zone dolomitiche, non sono le situazioni dei giorni nostri ma di pochi decenni fa quando le masse di turisti erano pressoché inesistenti.

una fermata sul Pordoi prima di scendere a valle

Percorrendo delle strade poco asfaltate, quasi sempre di sterrato quando si doveva raggiungere le località di montagna dalla vicina pianura salendo verso l’Altopiano di Asiago, lo stesso per arrivare sul Cadore e nel Comelico, queste difficoltà però non hanno mai scoraggiato i venditori ambulanti di tutti i generi che impiegavano giorni prima di raggiungere i villaggi che oggi raggiungiamo con facilità e che conosciamo bene.

Partivano con i loro carretti trainati da cavalli e poi più tardi con mezzi motorizzati che faticavano parecchio quando cominciava la salita che portava ai passi e qualche volta se non spesso si dovevano fermare per lasciar raffreddare il motore che si era surriscaldato. Alla fine giungevano in questi villaggi accolti come una benedizione soprattutto quando l’inverno era stato più lungo del solito così che si dovevano razionare le scorte alimentari per non far mancare il minimo sostentamento alle persone che vi vivevano. Tutto avveniva come nel più ovvio dei mercati quando la circolazione della moneta non circolava come lo fa oggigiorno e il baratto rappresentava il più normale degli scambi, io ti do una cosa in cambio di un’altra di pari valore. Si conosce qualcosa leggendo la storia sulla vita di queste genti e ci riporta all’esistenza di locali regolamenti che spesso non coincidevano con quelli approvati dal Senato della Repubblica Serenissima si sa però che queste forme di democrazia popolare erano gestite dalle “Regole” che salvaguardavano ogni ambito, dalla gestione del territorio alla ridistribuzione delle mandrie, al controllo del commercio soprattutto quello del legname e dei beni utili alle varie comunità, per questo erano rispettate ma con l’arrivo di Napoleone ci fu il tentativo di sopprimerle, ma invano.

Ma torniamo al baratto e torniamo ad un cenno al resoconto del suo viaggio disastroso e al contempo fortunato del capitano Pietro Querini effettuato dall’isola di Creta fino al naufragio su una delle isole norvegesi delle Lofoten. Sul diario si descrive chiaramente che le popolazioni di queste isole usavano scambiarsi delle mercanzie proprio per garantirsi la sopravvivenza e dato che erano soprattutto pescatori e che avevano imparato a seccare il merluzzo facendolo diventare stoccafisso eccolo che veniva scambiato per acquistare lana, legna per il fuoco, birra, arnesi da usare durante la pesca, legname per riparare e rinforzare le loro case.

Tal quale di ciò che capitava quando un comunissimo venditore ambulante portava in montagna certi prodotti detti di lunga conservazione e lo stoccafisso o baccalà era sicuramente uno di questi che veniva scambiato con prodotti dell’artigianato del Cadore o del Comelico ma pure dai Sette Comuni dell’Altopiano di Asiago, utensili in legno, o di ferro perché esistevano diverse fucine dove si lavorava il ferro, legname, stoffe di lana grezza preparate durante la bella stagione e pronte allo scambio con questi venditori.

Ed anche in montagna ben oltre la metà del 1500 arrivarono le norme accettate dalla Repubblica Serenissima e scritte sulla bolla finale del Concilio di Trento, e che confermavano i periodi di penitenza come la Quaresima e il motivo per cui si dovevano preferire alimenti definiti “magri” a svantaggio di quelli definiti “grassi” come la carne; tra quelli “magri” si doveva preferire anche il pesce solo che nei villaggi delle Dolomiti, nelle baite, quando arrivava la neve e il ghiaccio non si poteva pescare sui torrenti e nei laghetti dove nuotavano le trote conseguenza per cui si doveva ricorrere ad altre efficaci soluzioni come quelle che il pescivendolo portava e proponeva come fossero tesori, quando come pure egli riusciva ad arrivava fin lassù. Per questo prima dell’inverno era molto utile provvedere a far scorta del baccalà essiccato che si conservava con facilità nelle dispense delle baite di montagna utile per adempiere al pieno rispetto delle pratiche di pietà dei periodi di penitenza, ben presto sia il pesce sotto sale che il baccalà vennero inseriti nelle diete di montagna.

una gita estiva in montagna con la Fiat Cinquecento Topolino. Sullo sfondo il Civetta

Ecco allora una ricetta di baccalà che arriva dalle Dolomiti cadorine: 250 gr. di baccalà ammollato (messo in bagno nell’acqua fresca per due giorni e cambiata ogni tre, quattro ore), 400 gr. di patate non farinose, mezza cipolla, 1 spicchio d’aglio, mezzo bicchiere di panna liquida, un mazzetto di prezzemolo, olio extravergine di oliva, sale, pepe (a parte il prezzemolo difficile da reperire fresco durante l’inverno, tutto il resto si poteva reperire nelle dispense di montagna e pure la panna perché quasi tutti disponevano di un paio di mucche nella stalla).

Far cuocere il baccalà in acqua bollente finché la polpa non si sfalda facilmente, mentre a parte si fanno lessare le patate in acqua salata e con la buccia, lasciandole ben sode, togliete la buccia e mettetele da parte. Se il baccalà è ben cotto si deve sgocciolare e prima che si freddi, diliscatelo e togliete la pelle, poi si deve dividere a pezzetti. In una pentola soffriggete l’olio con la cipolla tritata e l’aglio, aggiungete il baccalà e le patate tagliate a pezzetti, salate, pepate, rosolate bene il tutto rimestatelo delicatamente in modo da non sfaldare gli ingredienti. Verso la fine della cottura ammorbidirlo con la panna liquida lasciata scorrere sopra, poco prima di toglierlo dal fuoco lo si cosparge di prezzemolo tritato.

Per questo piatto pieno di sapori che si alternano, va bene un buon vino bianco secco tale da creare un’alternanza di gusti, “orchestra” nel palato.

La foto mostra una comitiva di giovani durante una sosta sulle rive del lago di Misurina una località vicina a Cortina d’Ampezzo, nel Cadore e datata 15 agosto 1947. L’altra foto fa vedere una gita al Passo Pordoi subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Inoltre una foto di una gita estiva in montagna con la macchina Fiat Cinquecento Topolino. Arrivano dalla collezione di Paolo Nequinio.

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