Il fuoco sotto la cenere
“Te si na bronsa querta”, sei una brace sotto la cenere, è una esclamazione tipica delle nostre parti, il Veneto, che ci vuol far capire due cose importanti, la prima è la capacità che ha la cenere di conservare vivo il fuoco, non a fiamma libera ma di non esaurirlo, tenere acceso quel tizzone che si sta consumando piano piano, il secondo sono le opportunità che ci vengono offerte al momento presente ma poi non sfruttiamo e poi le tiriamo fuori più tardi magari quando nessuno se lo aspetta, o è anche il carattere di una persona che sembra mite per natura, ma che si infiamma se viene stimolata da eventi che lo riguardano.
Read MoreIl risotto con i bruscandoli
È primavera e si sente il suo profumo nell’aria quando si fanno le passeggiate nei campi appena fuori dalle città o in campagna, in quei paesini che hanno la pretesa di vivere a contatto con il suo territorio. Una volta la campagna era rispettata perché da essa si potevano ricavare ogni forma di sostentamento sia come alimenti che ausili per la vita di tutti i giorni. In questi giorni sono stato in una “cesura” (in lingua italiana “chiusura o campo chiuso”) a potare le viti, è stato un felice ritorno dopo molto tempo di lontananza e ho prestato attenzione al questo secolare rito, per avere i grappoli ricchi di acini e succosi. Sono stato attento al fine, come anche i tralci, in campagna, erano usati per accendere il fuoco dei focolari e le scorticature dei pali piantati per sostituire quelli rovinati servivano per fare delle buone braci per “brustolare” la polenta. Tutto aveva un uso utile perché non si poteva buttare via niente.
Anche le siepi piantate lungo il confine della “cesura” erano utili al campo perché oltre a delimitarne il confine, tra le ramificazioni delle piante di ogni specie: acero, salice, robina, sambuco, nascevano quelle spontanee nate dalle sementi portate dal vento o riposte da qualche uccello che vi aveva fatto il nido. Una di queste piante era il luppolo, un rovo molto infestante che si dipanava tra le fronde e talvolta creava vere e proprie muraglie di vegetazione. La siepe serviva anche da protezione quando arrivavano certe burrasche che spazzavano via tutto, la sua solidità cementata da un dedalo di radici piantate nel soffice terreno frenavano l’impeto del vento che così non si abbatteva con violenza sul filare di viti, spezzandone i pali.
Durante la potatura delle viti ho capito la derivazione del nome “bruscandoli”, sono i germogli dei rovi di luppolo che in egual misura alle viti che vengono potate “bruscate”, anche questi vengono recisi, con le dita della mano tanto sono fragili, sono anch’essi piccoli tralci che sul loro fusto hanno tanti aghetti che servono alla pianta di arrampicarsi sulle fronde delle piante vicine. Le donne di una volta quando arrivava la primavera raccoglievano questi germogli e ne facevano un risotto che bisogna assolutamente provare per capire la sua squisita bontà.
Se abbiamo la fortuna di fare una passeggiata in campagna possiamo cogliere i “bruscandoli” senza fatica, l’importante è saper individuare una di queste colonie di luppolo, a ridosso di qualche siepe o sugli argini popolati dalla pianta.
Ma in questo momento ho anche altri ricordi che riguardano mia nonna “casoina” e il suo tempo. Gestiva un negozio di generi alimentari e non solo, le persone arrivano con una sacchettina di canapa e ordinavano quella quantità di riso comprata dando in cambio delle uova fresche, una forma di baratto, perché a quel tempo i soldi erano pochi e servivano per una lunga lista di cose da comprare. Siamo in quaresima e mancano pochi giorni alla “festa granda” e perciò qualche spesa si doveva per forza fare, le scarpe nuova per i bambini o la giacchettina da ritirare dalla sarta. Ecco allora che il cliente comprava nel negozio otto, dieci uova di riso, lo metteva nella sacchettina, poi porgeva una bottiglietta e veniva riempita di altre uova di olio preso da un capiente secchio di metallo e con un mestolino dove era incisa la misura in frazioni di litro, mia nonna lo faceva scivolare dentro alla bottiglietta, la accontentava usando un garbo e una gentilezza che anche oggi molti lo ricordano volentieri.
Una premessa questa per descrivere la ricetta del “risotto coi bruscandoli”, ingredienti: di solito si usa un bicchiere scarso di riso per persona e lo si mette da parte, una cipolla, un bicchiere colmo di olio extravergine di oliva, del brodo vegetale (siamo sempre in quaresima, ma poi col brodo vegetale non si creano contrasti di sapori), la quantità deve essere quella necesaria a far cucinare il riso, uno o due ciuffi di “bruscandoli” appena colti e questo è importante altrimenti appassiscono e lo fanno velocemente, se non avete il tempo di fare questa ricetta appena dopo la raccolta dei germogli, si possono mettere in un bicchiere d’acqua e così resistono anche più giorni, ma perdono un po’ del loro sapore, alcune noci di burro, per essere più precisi ne bastano 60 gr., un ciuffo di prezzemolo, sale e pepe, formaggio grana gratuggiato, uno spicchio d’aglio.
Prendiamo i “bruscandoli” li laviamo e li tritiamo a pezzetti, in una pentola versiamo l’olio di oliva e ci mettiamo la cipolla tritata finemente, se non vi piace la cipolla, potete prendere due cipolle scalogno, molto più delicate, si aggiunge lo spicchio d’aglio, si fa il soffritto senza bruciare la cipolla, si aggiungono i germogli di luppolo, il riso e lo si lascia arrostire per pochi minuti e poi gradualmente si aggiunge il brodo vegetale che abbiamo poco prima messo a riscaldare vicino alla nostra pentola. Con un mestolino lo si versa e allo stesso tempo si mescola il tutto, quando il riso lo chiede si aggiuge dell’altro brodo fino a fine cottura; a questo punto si aggiungono al bisogno tutti gli altri ingredienti, il prezzemolo, il burro, alcuni ci mettono del latte, il sale, il pepe, il grana grattato. Il risotto non è bene farlo troppo asciutto e deve far sentire tutto il suo sapore primaverile e per quanto riguarda latte e burro vengono aggiunti perché alla vista appare un piatto molto insolito e a qualcuno può sembrare poco invitante, dal colore verde intenso che il latte e il burro cercano di attenuare, solo che il gusto cambia e di molto. Il formaggio grana messo alla fine rinforza i sapori e crea quei giusti contrasti che lo rendono armonico e delizioso.
Il vino consigliato per questa pietanza che io ritengo una delle più buone di questo periodo: vanno bene i bianchi e stavolta consiglio dei bianchi come quelli dei colli euganei o berici, ma anche un bianco più corposo come quello delle zone dell’Adige sia della zona del basso veronese, ottima anche per la scelta del riso da usare, che padovana.
Il riso con i bruscandoli è un primo piatto semplice e umile, definito povero perché realizzato con degli ingredienti facili da trovare senza doverli per forza acquistare in negozio, di facile realizzazione e buono inoltre era perfettamente in linea con la dieta quaresimale.