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Ciclovia degli aviatori 2 tappa

Ciclovia degli aviatori 2 tappa

Dopo una buona pausa nel piccolo paese di Bovolenta finalmente riprendiamo il nostro viaggio in bicicletta sul tracciato I2 ma che noi abbiamo rinominato Ciclovia degli Aviatori seguendo con diligenza il fiume Bacchiglione e per poterlo fare in modo più agevole scegliamo la riva sinistra anche se è un percorso da fare assieme alle auto, solo per un certo tratto fino a Pontelongo e poi a Correzzola nella zona sud di Padova.

Dopo un paio di chilometri ci fermiamo subito ad ammirare l’oratorio di Ca’ Molin, anche solo esternamente visto che raramente è aperto, sapendo che è l’unica testimonianza rimasta della sontuosa villa che si trovava proprio adiacente alla piccola pieve e in anni recenti completamente abbattuta. Altre ville abbiamo ammirato nel paese da dove siamo partiti poco fa, segno che la zona era ben frequentata dalla nobiltà veneziana. Teniamo conto che a causa della peste del 1630 molti abitanti di Venezia sono fuggiti per riparare nelle campagne del Dominio e si sono costruiti delle dimore che non si dissociavano, almeno esteticamente, da quelle veneziane.

Ma altre case ci faranno compagnia fino a Correzzola, sono delle corti dove la casa è composta da una parte abitativa e da un portico ad archi a tutto sesto, queste sono diventate molto importanti nel contesto rurale del territorio che osserviamo, ospitavano diversi inquilini, spesso più di una famiglia, con buona parte impegnati nel lavoro dei campi, spesso riconvertiti dopo le grandi opere di bonifica prodotte già nel Medioevo dai monaci benedettini del Monastero di santa Giustina di Padova, molte delle terre emerse di questa zona sono diventate il granaio della città di Venezia, già dal 1300.

Percorrendo questo argine abbiamo modo di vedere a volo d’uccello una distesa incredibile di campagna che molti secoli fa in parte si allagava facilmente o almeno ogni qual volta le insistenti piogge facevano esondare i fiumi che la attraversa. Per questo motivo i monaci benedettini, all’aver acquisito nel 1129 parte di questo territorio, la corte di Conca d’albero, a sud della loro abbazia di Padova e decisero di renderlo fertile organizzando la più imponente opera di bonifica mai esistita in Italia, più avanti nei secoli la conquista di Napoleone prima e la costituzione della Repubblica Cisalpina poi, si assiste alla soppressione di molti ordini religiosi e tutti i loro beni confiscati e ceduti ai nuovi proprietari terrieri che in parte continuarono a coltivarli ma in altre circostanze li abbandonarono al loro destino insalubre, fino alla nuova bonifica attuata durante il periodo fascista, con la nuova riforma agraria.

Stiamo percorrendo un argine alzato già dai veneziani, dagli austriaci succeduti ai francesi e anche dai nuovi braccianti anche se mano a mano si spopolavano per le malattie come la malaria e venivano rimpiazzati da altri coloni prelevati dalle montagne o dalle colline per sistemarli nelle corti con lo scopo di far coltivare e rendere fertile queste campagne così ostili, infatti molti riuscirono con tenacia a produrre dei risultati sia dalle terre che dai flussi d’acqua che i fiumi dovevano scaricare nel mare vicino a Chioggia. Pure Leonino da Zara nei suoi primi voli si pensa abbia voluto ammirare dal cielo queste zone anche con lo scopo di interpellare i nuovi esperti di bonifica che stavano preparando nuove tecniche per l’aspirazione delle acque dalle campagne ogni volta che si allagavano, visto che il suo aerodromo doveva spesso patire la stessa disgrazia.

Per un attimo però lasciamo stare le imprese del pioniere del volo per soffermarci su quanto accennato poco prima e cioè la straordinaria opera di bonifica iniziata dai monaci benedettini di santa Giustina sin dal 1200, sopra un territorio compreso a sud del fiume Bacchiglione, dai paesi di Bovolenta, Pontelongo, Correzzola, Cona e a nord dai paesi di Brugine, Campagnola, Codevigo, Arzergrande.

il casone di paglia

Quando i monaci capirono che ne avevano le potenzialità e i mezzi necessari, prima di iniziare la bonifica decisero di attuare una adeguata sistemazione territoriale, per prima cosa spartirono il territorio in vari pezzi ordinati e gestiti da persone di fiducia, gli fabbricarono una casa di mattoni e coppi e a loro volta frazionarono il tutto in vari campi misurati in pertiche con al centro la corte abitata dagli stessi abitanti presenti che fino ad allora vivevano in casoni di paglia, questi trovarono una sistemazione nelle nuove case di pietra e con il tetto di tegole, sicuramente più ospitali e più sane, poi iniziarono i lavori di adeguamento delle terre con la costruzione di un reticolo di fossi che dovevano raccogliere l’acqua piovana ed infine iniziarono le semine e gli allevamenti.

In pochi anni la zona delle corti benedettine divenne un centro fiorente di attività agricole e un valido esempio da imitare, infatti la popolazione cominciò ad aumentare di numero e viveva più a lungo perché molte malattie tipiche delle aree paludose come la malaria si manifestarono con minor frequenza. Inoltre fu facile la realizzazione di un nuovo ordinamento civico costruendo nuove strade e vie di collegamento diverse dai fiumi esistenti, perché se Venezia per decreto impediva il transito per le strade di terra privilegiando le vie d’acqua anche per favorire l’incolumità delle persone dagli attacchi armati di nemici e malfattori, per i monaci invece la priorità era sicuramente poter accumulare quanto prima il raccolto dei campi proteggendolo dalle avversità atmosferiche impedendo di essere vanificato dai temporali che arrivano durante la stagione del raccolto. Ecco qui spiegato il motivo della realizzazione delle corti, case con il portico che serviva a proteggere il raccolto che poi veniva sistemato nei capienti granai, inoltre la corte doveva pure tutelare i suoi abitanti ed essere autonoma, ognuna di queste disponeva di un mezzo di trasporto adeguato trainato da cavalli, a fianco della casa esisteva lo stagno per l’allevamento delle oche e anatre, ma anche per alimentare la ghiacciaia perché d’inverno si raccoglieva il ghiaccio che si formava in superficie e lo si metteva dentro ad una grotta inserita all’interno di una collinetta creando le condizioni di un clima fresco costante anche durante la stagione più calda e nella ghiacciaia venivano conservati i cibi che altrimenti si sarebbero avariati. La corte disponeva sicuramente di un forno per il pane diventando in questo modo una piccola comunità inserita nella grande comunità che ne indicava la località.

Foreste e paludi lasciarono il posto ai campi coltivati a cereali e altri destinati al foraggio per le mucche da latte che poi veniva trasformato in formaggi da vendere nelle città, le strade usate da tutti facilitavano i collegamenti tanto che spesso si potevano raggiungere i paesi in minor tempo e la mercanzia produceva un maggior profitto e le corti ma in questo caso la Corte di Correzzola assunse un ruolo di centro commerciale oltre che culturale tanto che pure oggi possiamo essere beneficiati dalla sua imponente struttura che ci fa capire quanto potesse essere importante il trasferimento della Sede Dominicale da Conca D’albero, alla fine del 1400.

Oltre a questa Corte qui sono da vedere anche tutte le altre corti o fattorie tuttora esistenti disseminate nei vari paesi d’intorno, alla fine del 1500 se ne contavano settanta ed oggi molte di meno, sia quelle di Conca d’albero, e Villa del BoscoCivè e Pegolotte di Cona, ma anche dobbiamo assolutamente fare una visita alla Cantina sociale di Cona e Cavarzere perché producono dei buoni vini che nascono da vitigni piantati in buona parte in una amena località che si chiama Foresto che come ho scritto ricorda l’esistenza di una intricata foresta paludosa, che forse per questo suo nome ha favorito l’estendersi del nomignolo dato a questi abitanti, quando facevano visita nelle città d’intorno, Venezia, Padova o Treviso, “abitanti del Foresto”, i “foresti” e poi più tardi i “forestieri”.

Questa è la seconda tappa del viaggio percorrendo una delle ciclovie più interessanti del Veneto, arrivati a questo punto rilassiamoci e prepariamoci ad assaporare del cibo genuino e buon vino appena comprato alla Cantina magari un Raboso o un Cabernet Corti Benedettine e dopo l’adeguato riposo ripartire per la prossima tappa che ci porterà a Pellestrina.

La foto di inizio è della collezione di Anna P. tutte le altre foto sono della collezione di Paolo Nequinio.
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