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Momenti di vita ai tempi del filò

Momenti di vita ai tempi del filò

Il filò è stato sicuramente uno spaccato di vita indivisibile con quello che era la vita della gente rurale era parte della loro esistenza, già i nostri genitori ci hanno raccontato molte delle loro esperienze vissute in quel momento del giorno, dopo cena e soprattutto durante le sere del lungo inverno dentro nella stalla degli animali. Oggi tutto è diverso per via delle circostanze, sono sparite le stalle con le mucche e i vitelli e gli altri animali, capre, pecore e conigli, l’asino e il cavallo, se qualcuno lo possedeva. Era un tempo di racconti tra i componenti di famiglie numerose conviventi sotto lo stesso tetto, c’era spazio anche all’accoglienza a chi bussava alla porta delle stalla siano essere estranee o i soliti conosciuti avventori.

Qualcuno si ricorda ancora i venditori ambulanti, che sostavano di casa in casa, da un paese all’altro, per vendere qualche oggetto realizzato a mano nei mesi estivi, erano delle donne di montagna chiamate “e canoeare”, con i loro fagotti di tela che contenevano alcuni utensili fatti di legno da usare in cucina: cucchiai, forchettoni, mestoli, taglieri, ciotole e l’immancabile uovo tornito dal legno e molto utile per rammendare le calze. Donne giovani accompagnate da delle ragazzine che spesso portavano la fede al dito per non essere infastidite lungo il loro percorso, cercavano di vendere la loro merce per raccogliere un guadagno, scendendo dalla montagna che d’inverno si era fatta ostile per la neve alta e perciò non offriva molti generi di sussistenza. Così si avventuravano nella pianura sottostante alla ricerca di qualche soldo che serviva per acquistare del necessario alla loro famiglia, camminavano per giorni e nelle sere d’inverno si fermavano presso le stalle per dormine dopo aver condiviso un boccone con le persone che le ospitavano.

una signora che rievoca le impagliatrici di borse

In queste sere d’inverno facevano visita nei vari filò anche altri personaggi certe volte piuttosto singolari come “el torototea” un cantastorie, spesso un burlone ricco di aneddoti da raccontare in forma quasi teatrale, se il periodo era quello del Carnevale allora comparivano delle “mascarete”, ma molto spesso erano dei personaggi invitati di proposito per creare un momento gioioso di vera festa come il suonatore di fisarmonica che con le sue ballate riusciva ad animare veramente la serata.

il suonatore di fisarmonica

Facevano visita anche degli artigiani dalle mani preziose perché riuscivano a sistemare in maniera perfetta le sedie rovinate “impaja careghe”, impagliatori di sedie, “el botaro”, il bottaio che sistemava le botti rovinate, “el maniscalco”, che ferrava gli zoccoli del cavallo, “i caretieri” gli odierni corrieri, questi accompagnavano i carretti trainati dai cavalli, prima della creazione dei mezzi da trasporto motorizzati. C’erano anche i “stramasari”, quelli che rimettevano a posto i materassi, i “grisoeri”, quelli che si portavano appese alle loro biciclette dei fasci di canna palustre che poi serviva, mescolata alla calce, al restauro delle crepe o dei buchi di qualche muro o soffitto della casa, a volte si fermavano a dormire nella stalla anche i pastori durante una tappa che il gregge faceva se pascolava nei campi vicini e d’inverno spesso l’erba è poca per le frequenti gelate o per la neve che ricopriva tutto la terra, si fermavano in una stalla e chiedevano del fieno da dare agli animali in cambio di qualche agnello e di alcune forme di formaggio.

Ho già scritto alcune cantilene e filastrocche che intonavano le mamme, le nonne o le zie durante “el fiò”, “il filò” adesso ecco alcune ricette tipiche di quel periodo frutto di una cucina semplice del “non si butta via niente” e soprattutto di stagione.

Broeton de verseBollito di Verze: 2 litri d’acqua, 1 verza, 1 cipolla, 1 patata, 2 cucchiai di olio, sale e pepe, mezzo chilo di pane raffermo.

Mettere l’acqua su una capiente pentola e portarla a ebollizione, immergere la verza assieme alla patata e alla cipolla ridotte a fettine, aggiungere l’olio e il sale e far bollire a fuoco medio per circa due ore. Intanto prendere il pane e ridurlo a cubetti da distribuire sui piatti e appena pronto il minestrone versarlo sopra aggiungendo un poco di pepe.

Papariti ricetta polesana: 1,5 litri d’acqua, 2 bicchieri di farina di granoturco, 1 bicchiere di fagioli secchi tipo Lamon, 1 cipolla, delle foglie di verza, una patata lavata pelata e tagliata a pezzi grossolani, sale, pepe, pane raffermo ridotto a pezzettini e biscottato nel forno.

Mettere a mollo i fagioli e lasciarli per una notte e poi versarli in una pentola dove abbiamo versato l’acqua, aggiungere un pizzicotto di sale, quando l’acqua inizia il bollore versare la patata, la verza e la cipolla, dopo un po’ la farina mescolando in continuazione per non farla attaccare al fondo. Farla cuocere per almeno 30 minuti in modo da ottenere una crema molto morbida che poi verrà versata sui piatti coronando con un filo di olio extra vergine di oliva e per chi lo desidera un pizzico di pepe macinato di fresco. Dopo aver biscottato il pane ridotto a dadini viene distribuito sulla minestra in sostituzione della pasta.

Questa è una pietanza preparata nel periodo invernale, quando le riserve nella dispensa e i soldi cominciavano a scarseggiare e si doveva stare molto attenti ad usare bene tutti i generi a disposizione e quindi per non buttare via nulla anche questo piatto riusciva a riempire la pancia, a riscaldarla prima di coricarsi, sicuramente molto leggero ma con la controindicazione che aumentava la flatulenza e se oggi può apparire un problema a quel tempo tutto era preso alla leggera, anzi con ironia: “fasoi (fagioli) e verse (verze), verse e fasoi i sbrega i nizioi o nisioi (lacerano le lenzuola, a seconda delle aree dialettali)”.

Sfornato di cipolle: 5 cipolle bianche o rosse, 4 uova, 100 gr. fontina, alcuni pezzi di formaggio grana, olio extravergine di oliva o burro, 1 bicchiere di latte, 3 litri di brodo vegetale, del pane raffermo tagliato a fette, sale e pepe.

Tagliate le cipolle a fettine e versarle in una casseruola assieme all’olio di oliva e farle friggere fino a quando cominciano ad imbiondire, aggiungere il brodo, e farlo bollire per 30 minuti, in un’altra teglia arrostire il pane e se è troppo lo si toglie e si sostituisce con l’altro messo a parte, poi la stessa la usiamo per fare uno strato di fette di pane che poi verrà bagnato con il brodo di cipolle, coprite le fette con il formaggio fontina tagliato a fette e il grana a pezzetti, passare un filo d’olio o il burro a fiocchi e continuare fino a quando è finito tutto il pane, nell’ultimo strato si versa il latte e le uova sbattute molto bene saporite di sale e pepe, infornare in forno già caldo per 15 minuti. Togliere e tagliare a pezzi da servire in tavola.

Risi e suca marina, risotto con la zucca (tipo quella di Chioggia): mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva, 500 gr. di zucca, 1 kg. di riso, 3 litri di brodo vegetale, uno spicchio d’aglio, 1 cipolla tagliata a fettine sottili, sale, pepe e cannella per condire, formaggio grana grattugiato e un filo d’olio alla fine.

In una pentola fare un soffritto con olio, cipolla e l’aglio fino a quando imbiondisce, togliere l’aglio e aggiungere la zucca pelata e tagliata a pezzi piccoli, aggiungere una parte di brodo con un pugnetto di sale per condirla, farla bollire per 30 minuti, aggiungere il pepe e il riso mescolandolo per evitare che attacchi al fondo della pentola, aggiungere dell’altro brodo e continuare a mescolare, quando è vicino alla cottura desiderata aggiungere un filo di olio extravergine di oliva e del grana già grattato, continuare a mescolare per alcuni minuti e servite sui piatti aggiungendo un filo d’olio e grana grattugiato a piacere.

Bacalà in fratona (grembiule usato spesso dalle massaie quando lavoravano in cucina) baccalà lesso e battuto: 500 gr. di stoccafisso (bacalà), 300 gr. di prezzemolo, 2 o 3 spicchi di aglio, mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva, sale e pepe.

Mettere a bagno il baccalà per un giorno e una notte cambiando spesso l’acqua, poi scolarlo e pulirlo togliendo la pelle e le spine, tagliarlo a pezzi regolari, quindi metterlo in una pentola di acqua e portarla a bollore per 30 minuti per deve essere bello tenero, scolarlo e asciugarlo in un canovaccio, metterlo in una pentola dal bordo alto con il prezzemolo e l’aglio tritato, il sale e il pepe, assieme al mezzo bicchiere di olio, coprite con il coperchio e sbattere il contenuto sulle ginocchia per almeno 30 minuti o fino a quando il baccalà è ben sfibrato, poi si lascia riposare per un giorno intero infine si serve accompagnato di fette di polenta di farina tipo bianco perla, cotta sulle braci oppure appena fatta e bella morbida.

Aringa o Sardoni con polenta (ricetta da fare durante la Quaresima): una bella “renga” o un “sardeon” di bell’aspetto belli grandi. La quantità sono dei filetti di pesce e a seconda degli invitati si fanno le razioni. Far bollire il pesce per una ventina di minuti dopo averlo squamato e diviso a metà per togliere la lisca, serve anche a togliere il sapore salato trattenuto dal pesce durante la conservazione, scolarlo e asciugarlo e poi passarlo sulla graticola posta sopra alle braci incandescenti, dopo alcune giravolte si mette in un piatto di portata ben oliato irrorato per bene con limone o aceto. Mezzora prima o addirittura il giorno prima abbiamo preparato una polenta: 4 litri d’acqua leggermente salata e portata a bollore, 300 gr. di farina di granoturco versata sull’acqua e cotta mescolando di continuo sul fuoco dolce per 40 minuti, poi versata e lasciata a rassodare, infine fatta a fette da abbrustolire nella stessa graticola del pesce. Poi si prendono e si accompagnano con il pesce assieme a dei buoni bicchieri di vino bianco fermo tipo Vespaiolo, Garganega, Prosecco, Pinot Grigio e quello che vi aggrada.

Ed infine un dolce realizzato con il pane raffermo, perché in certi tempi di tante bocche da sfamare e di poche possibilità economiche non si doveva buttare via niente si diceva “tuto xe benedixion”, tutto è benedizione.

Pinza de pan e pomi, dolce di pane vecchio, mele e uvetta: 200 gr. di pane raffermo, 500 ml di latte, 3 mele, 2 uova, 140 gr. di zucchero (anche di canna), 50 gr. farina bianca 00, 1 limone, un pizzico di sale, 100 gr. uva passa, 140 gr. di mandorle pelate o pinoli, 1 cucchiaio di grappa, 1 manciata di zucchero di canna da mettere sopra.

Riscaldare il latte e poi versalo sul pane ridotto a dadini fino a totale assorbimento, pestalo con una forchetta, ammollare l’uvetta in una ciotola di acqua tiepida, tritare finemente le mandorle assieme ad un cucchiaio di zucchero. Lavorare le uova con lo zucchero fino a formare una crema, aggiungere le mandorle, un pizzico di sale, la grappa, il succo e la buccia del limone grattugiata. Aggiungere la farina setacciata, il pane ammollato, l’uvetta un po’ infarinata, le mele pelate, senza torsolo e ridotte a fette non troppo sottili, mescolare bene tutto, versate in una tortiera imburrata, cospargete di zucchero e infornare a 180° per 45 minuti. Servite tiepida a fette, con cioccolata calda, o vino dolce tipo moscato. È buonissima per fare la merenda.

Le foto sono delle collezioni di Paolo Nequinio, Bolletin di Correzzola (PD).

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