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La renga – l’aringa

La renga – l’aringa

La “renga” è un pesce oceanico e può diventare piuttosto grande, vive in branchi e si sposta spesso in cerca di alimento o per trovare il luogo adatto dove deporre le uova, ha carni grasse e dal sapore deciso che aumenta quando viene posta sotto sale per essere conservata. Le famiglie di campagna di una volta, la cucinava mettendola rivestita di foglie di verza posta sotto alla cenere del focolare, tutta ricoperta di braci e la scottavano per bene aggiungendo qualche foglietta di aromi, infine appena cotta, veniva spennellata con dell’olio poi la suddividevano in tanti pezzi dove passarci sopra delle fumanti fette di polenta, che non mancava mai, fino a riempire per bene la stomaco.

Si preparava anche in altri modi: pulite e aprite le aringhe salate, fatele bollire in acqua per alcuni minuti, toglietele dal liquido di cottura e asciugatele poi passatele sulla graticola e quando sono ben cotte levatele, diliscatele, dividetele in filetti, ponetele in una terrina coprendole di olio extravergine di oliva riscaldato con un paio di spicchi d’aglio, spruzzatele di prezzemolo e servitele con fette di polenta appena fatta.

Oppure prendi una “renga” per persona, puliscile, aprile a metà e poi tagliale a filetti che fai bollire in acqua e latte per una decina di minuti poi le lasci raffreddare, le togli dal liquido di cottura, le asciughi, le insapori con molto olio extravergine di oliva e cipolla precedentemente marinata con l’aceto per qualche ora o dal giorno addietro, infine le servi in tavola sullo stesso piatto dove le hai poste con le fette di polenta abbrustolita.

Se si nomina la “renga” agli anziani, soprattutto quelli che hanno vissuto in campagna, tornano in mente le interminabili cene fatte di aringa e fette di polenta, un unico pesce comprato dal “pesaro”, lessato e coperto d’olio, la pancia alla fine ben pasciuta e la “renga” avanzata pure per il giorno dopo. Chi non ricorda la scena del film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi dove è ben decritta la cena con la “renga” che è appesa ad un filo legato ad un chiodo piantato nella trave della cucina, quello al centro della tavola, con tutti i presenti a passarci sopra le fette di polenta. Molto efficace per far capire le reali condizioni di vita del popolo quando, soprattutto tra le due guerre regnava sovrana la povertà e le quaresime sinonimo di penitenza, astinenza, sacrificio, lotta per vivere, erano una consuetudine. Facciamo nascere anche noi un momento denso di significati, pure oggi si può mangiare la “renga” cotta sulla brace con la polenta che la sfiora e messa in un unico piatto, vicini ad un camino che scoppietta, affogata nel vino bianco, rimarrà di certo un bel ricordo sulla vita di ieri, una interminabile catena di episodi che avevano come costante la sobrietà dai quali si potevano ricavare un’armonia di gusti e riti.

Per questo piatto vanno bene i vini bianchi fruttati, leggermente aromatici, due su tutti il Pinello dei Colli Euganei e il Vespaiolo di Breganze.

Anche questo piatto così tipico nelle campagne venete è la conseguenza del cambiamento avvenuto nella Repubblica Serenissima nell’anno 1563 dopo che, con solenne cerimonia svolta nella Basilica di san Marco, viene approvata la Bolla di papa Pio IV sui decreti del Concilio di Trento, vennero approvati tutti i punti tranne quelli che potevano ostacolare lo sviluppo della Repubblica. Un paio di decenni dopo venne deciso di applicare anche la Riforma Gregoriana quella che doveva modificare radicalmente il calendario finora in uso chiamato Giuliano perché introdotto poco più di un quarantennio prima della nascita di Cristo dall’imperatore Giulio Cesare Augusto, il quale iniziava l’anno con l’inizio della bella stagione, nella Repubblica di Venezia il primo di marzo I cambiamenti a volte sono difficili da ammettere, richiedono discussioni e repliche fino a quando, molto spesso si arriva ad un compromesso anche doloroso che comporta la modifica di un comportamento e nel caso del Calendario ufficiale della Serenissima tale modifica diventa sostanziale perché si dovevano rinominare le date degli avvenimenti della storia scritta dai cronisti in una forma precisa, maniacale, ed anche tutte le tradizioni fino a quel momento vissute in questo grande stato. Ma dal giorno 11 settembre del 1582 anche la datazione cambia e soprattutto quella ufficiale, non di meno anche il calendario Liturgico, che inizia con l’Avvento in autunno e poi via via fino ad incontrare la Quaresima tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera; questi due periodi di 40 giorni entrambi devono seguire alcune regole che propongono l’astinenza e il digiuno: astinenza dalle carni e un giorno alla settimana di digiuno assoluto, il venerdì, aggiungendo ulteriori sacrifici soprattutto nei momenti di grande carestia. Ma sono proprio questi due periodi che danno al pesce un ruolo di prim’ordine nella dieta di molte persone.

un ragazzo mostra il pesce appena pescato mentre i gatti della corte lo vogliono rubare

Per fare penitenza si doveva mangiare di “magro” come il pesce perché “magro” e le specie abbondavano in quantità nei fossi di campagna, nei fiumi, nella laguna e nel mare diventando un valido alleato per la loro dieta alimentare così che pescatori e pescivendoli, i pesari” aumentarono le vendite. Ricordo che pochi decenni fa i pescivendoli arrivavano con dei carretti spinti a mano o con la bicicletta dove sul portapacchi avevano fissato delle cassette di legno piene di pesce coperto di ghiaccio e sopra una tela bagnata per proteggerlo dal sole e conservarlo meglio; quando d’estate il caldo scioglieva i ghiaccioli, faceva cadere a terra in un filo d’acqua del tipico odore “de freschin”, e i gatti della corte ne erano attratti così lo seguivano per un bel tratto di strada. Sulla bicicletta c’erano due casse e una era più piccola perché conteneva il pesce conservato sotto sale come era l’aringa “la renga” acquistata spesso in Quaresima perché costava poco e permetteva di preparare un’ottima cena.

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