A mare de san Piero
“Ea mare de san Piero, la madre di san Pietro”, è il titolo di una antica leggenda legata ad eventi burrascosi che capitano di frequente a ridosso del giorno della festività dei santi Pietro e Paolo, il 29 di giugno.
Una leggenda Veneta, ricordata di più nelle zone della pedemontana ed anche nelle campagne della Bassa Padovana ed è tramandata verbalmente da più generazioni. Il suo racconto cita per protagonista la madre di san Pietro e mette in luce la sua vita poco benevole verso chi le stava accanto e quando muore viene ritenuta colpevole di molti dispetti così viene spedita direttamente all’Inferno anche se suo figlio Pietro fece di tutto per impedirlo. Sulla vita di Pietro sappiamo molto, come è diventando il pastore dei primi Cristiani e discepolo dell’amore vicendevole, uno scandalo per il potere romano e pagano ricco di idoli. Ma la novità predicata da Pietro fece subito breccia tra il popolo che lo portò velocemente al martirio e quando morì venne subito accolto in Paradiso e la tradizionale iconografia ce lo raffigura in possesso delle chiavi di questo mondo celeste. Per questo il solo pensiero di sapere che a sua madre non era stato permesso di oltrepassare questo ingresso lo rattristava parecchio ma non si perse d’animo e iniziò con coraggio tutta una serie di appostamenti sull’uscio dell’Inferno e contemporaneamente anche una continua richiesta per poterla vedere, ma gli fu sempre negata. Dopo molte lusinghe qualche demonio forse sfiancato dalle insistenti proposte cedette e acconsentì la visita di Pietro a sua madre una sola volta all’anno, la ricorrenza della sua morte in croce, che cade il 29 giugno.
Continua la leggenda che le colpe della madre di Pietro erano imperdonabili ma l’insistenza del figlio le permetteva di andare in Paradiso una sola volta all’anno per incontrarlo, così gli angeli fabbricarono una scala di corda per far scendere il figlio fino all’Inferno da dove poi insieme risalire in Paradiso solo che alcuni dannati scoprirono questa messinscena e più d’uno volle unirsi alla salita dei due ma successe un grande parapiglia e iniziarono forti le grida di disappunto tanto che la scala si ruppe in mille pezzi. Il tentativo sembrava fallito ma Pietro coltivava con insistenza la speranza solo che ogni volta che si aprivano le porte dell’Inferno si scatenava il finimondo perché molti sospettavano la nuova evasione della mamma. Per questo motivo si dice che tutti i lampi e i tuoni che si manifestano in cielo in questo periodo sono le feroci dispute dei dannati ai tentativi di fuga della donna.
Erano da poco terminate le lezioni scolastiche e le vacanze estive erano all’inizio ed ero ospitato nella casa di campagna degli zii, assieme ai cugini si giocava in cortile quando notiamo che delle nubi molto scure si avvicinavano al nostro piccolo borgo, poco dopo cominciarono a scatenarsi saette, fulmini e tuoni a non finire, la pioggia iniziò a cadere copiosa con gocce molto grosse che quando cadevano a terra alzavano molta polvere e poco dopo era tutta inzuppata e già si formarono delle pozzanghere dove le grosse gocce creavano “i capari de aqua”, delle grandi bolle anche i fossi si riempirono d’acqua velocemente da allagare in parte la strada, il cielo era tutto un fuoco di lampi e tuoni e qualcuno dal forte fragore da far tremare i vetri delle finestre, tutti ci siamo impauriti e siamo scappati a nasconderci in qualche luogo più sicuro della casa.
La zia corse ad aprire un cassetto dove teneva le candele e ne accese una, quella ricevuta il giorno della “Candelora” il 2 di febbraio, proprio per intercedere sui santi affinché allontanassero quella tempesta e ogni tanto alzava lo sguardo al soffitto dicendo “xe ea mare, xe ea mare de san Piero, che anche staolta xe sta cativa”, malgrado ciò la tempesta si intensificò e una potente saetta cadde a terra poco distante dalla nostra casa facendo mancare la corrente elettrica. Non era ancora scuro completamente ma la situazione che si era creata alimentò la paura, qualcuno comunque procurò dei lumini da distribuire in tutte le stanze raccomandando di “non metterli vicini alle tende, alle lenzuola e ad altri prodotti facilmente infiammabili”, l’ordine non tardò molto per essere assolto, anch’io decisi di fare la mia parte e percorrendo le stanze giunsi al bagno delle femmine, quell’angolo dello stanza grande separato da una tenda sospesa per renderlo riservato. Accostato al muro un catino di ferro con la brocca dell’acqua appoggiata a terra, poco più in là un porta sapone e due asticella di ferro dove si appoggiavano gli asciugamani e i vestiti appena tolti. Un luogo misterioso e vietato ai maschietti, protetto e rispettato, per garantire la riservatezza.
Ma un incarico così importante mi consentiva di violarlo perché dovevo sistemare la piccola candela, così spostai di poco la tenda rimanendo a bocca aperta perché sull’angolo c’era una cugina tutta nuda e terrorizzata bloccata dal frastuono mentre si lavava, sperava vivamente che qualcuno la potesse consolare magari la mamma o una sua sorella ma nessuno si era avvicinato fino a quel momento, solo io e con un lumino in mano che doveva rischiarare quell’angolo rimasto buio e quel bagliore illuminò per intero quel corpo che si modellava ormai in una donna lo esaltava e la sua pelle era tutta dorata e alcune gocce erano perle, una vera sorpresa per me che ne rimasi affascinato e lo volevo sfiorare ma mia cugina si scostò così rimanemmo fermi a guardarci per pochissimi minuti, dopo uno scatto ritornai dagli altri per aiutarli nella distribuzione dei lumini. Intanto era giunta la sera.
Qualcuno aveva iniziato la cena e si svolgeva piano piano finché tutti riuniti l’abbiamo consumata, sul tavolo una corona di candele accese intanto il finimondo continuava fuori e non bastavano le parole rassicuranti degli adulti, qualcuna delle piccole piangeva e qualche altro le abbracciava, io mi imboccavo osservando mia cugina che non sembrava per niente turbata da quanto successo poco prima, anzi la vedevo sorridere e appena incrociavo il suo sguardo mi saliva il rossore. Dopo cena abbiamo fatto dei giochi da tavolo, la tombola, le carte, qualche battuta fino a tardi, interrotti talvolta dalle lamentele dei grandi sulla scarsità di un intervento tempestivo nel ripristinare la luce. Alla fine stanchi uno alla volta siamo andati a letto in questa atmosfera surreale qualcuno tremante si infilò sotto le lenzuola in compagnia di qualche altro per farsi coraggio, io mi sono trovato assieme a mia cugina quella del bagno di prima, lei con disinvoltura decise di spogliarsi pur sapendo che la stavo osservando e la luce che a malapena rischiarava la piccola camera illuminò ancora il suo corpo nudo e poco dopo coprì con una lunga camicia di cotone, si distese sul letto senza andare sotto le lenzuola e cominciò a parlare di alcuni episodi vissuti con le sue amiche. Parlava a bassa voce per non far rumore ma non sentivo così mi sono seduto accanto a lei, l’ascoltavo ma ogni tanto lo sguardo fissava le sue forme, le liberai dei bottoni sul petto, questa volta non scappo via così tra la camicia intravidi sua pelle e odorava di un buon profumo di sapone.
I tuoni adesso erano più lontani e tra le fessure dei balconi si intravedevano i bagliori candidi dei fulmini, noi abbiamo parlato a lungo fino alla fine della candela e non riuscivo ad addormentarmi perché la mia mente era tutta colpita da quella situazione appena vissuta con mia cugina e tutto sapeva di incredibile, una notte di tempesta mi aveva fatto scoprire un modo mai prima avevo avuto l’occasione di avvicinare.
La zia di buon mattino, forse per consolarci, era corsa in paese dal fornaio e pasticcere e acquistò le “veneziane”, sono dei dolcetti di pasta lievitata con sopra la crema cotta coperta di granella di zucchero, aprì la porta e portava in mano un bel vassoio pieno di queste delizie che distribuì con generosità, poi ci preparò delle belle tazze di tè ma mia cugina che si accomodò proprio vicino a me con dei modi di una persona adulta iniziò a raccontare come le era piaciuto molto vivere una esperienza così strana, per niente intimorita, tra me sentivo di ringraziarla come pure la tempesta della Mare de san Piero.
E quel giorno era proprio il 29 giugno, si faceva festa in modo solenne e si rimaneva a casa dal lavoro, infatti quel mattino nella cucina apparecchiata, ogni tanto facevano capolino anche gli uomini e per loro c’erano i dolcetti e delle tazze di caffè nero, di quello buono, con grande sorpresa mia cugina ne prese una, mentre io sempre più stupito e curioso continuavo a guardarla e non capivo. Solo oggi mi rendo conto che anche nelle persone ci sono le stagioni e quella sera mia cugina ne aveva oltrepassata una.
Le veneziane: 250 gr di farina 00, mezza bustina di lievito di birra, 25/30 gr di zucchero, 1 scorza di limone grattugiata, 1 uovo, sale, 125 ml di latte tiepido, 40 gr di burro, 1 uovo sbattuto, granella di zucchero per guarnire la crema. Per la crema pasticciera 2 tuorli, un baccello di vaniglia, 125 ml di latte, 30 gr di farina, un pizzico di sale.
Setacciare la farina, con il lievito, poi fare la solita fontana, mettere nel buco lo zucchero, l’uovo, il burro fuso, un pizzico di sale, la buccia di un limone grattugiata, amalgamare bene il tutto aggiungendo piano piano il latte tiepido, lavorare l’impasto per circa 10 minuti e insistere anche in maniera rude. Metterlo poi in una terrina leggermente infarinata e coperto da un canovaccio e lasciare lievitare per circa 1 ora e 30 minuti. Quando l’impasto è raddoppiato lo si prende e lo si divide in 6 palline che si fanno lievitare ulteriormente per altri 20 minuti circa. Quando sono ben gonfie le spennelliamo con l’uovo sbattuto e ci mettiamo la crema pasticciera che abbiamo preparato facendo sbollentare il latte assieme al baccello di vaniglia che poi abbiamo tolto, si aggiungono i tuorli sbattuti con lo zucchero e la farina a pioggia per non formare i grumi e appena la crema si rapprende la mettiamo sulla capocchia delle nostre veneziane non prima di averle schiacciate leggermente con il pollice, si guarnisce infine con la granella di zucchero, infine le inforniamo per 13/15 minuti in forno caldo a 180°. Quando sono tiepide con una siringa da pasticceria si possono riempire di altra crema che sicuramente abbiamo in più in modo da renderle ancora più buone e gustose. Come ho scritto sono dei dolcetti squisiti per fare la colazione sorseggiando un buon caffè o del tè aromatico mentre se qualcuno le vuole usare come intermezzo le può gustare con del Torchiato di Fregona un vino ricavato da uve di moscato passite una sensazione straordinaria.
Le fotografie sono della collezione di Paolo Nequinio. La ragazza non è la protagonista della storia ma ben la rappresenta, la storia invece è realmente accaduta e qui ne è stato fatto un riassunto.