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Il banchetto

Il banchetto

“Ganzega”, “zanzego”, “banchetto”, “cunvivium”, mangiare insieme con il cuore in festa, è ed era una regola aurea nella Venezia del suo splendore.

Bisogna sempre partire dall’inizio e anche stavolta partiamo dalla parola “zanzego” anche questa di origine illirica e se abbiamo letto un articolo precedente allora abbiamo anche conosciuto la regione Illirica. “El zanzego” era un banchetto con varie persone invitate, anche di famiglie diverse e serviva a rafforzarne il rapporto di appartenenza, tra queste famiglie, rinvigorirle, magari dopo la celebrazione di un matrimonio.

Dopo la cerimonia di matrimonio infatti (ma anche dopo un funerale), nelle regioni balcaniche ci si ritrovava a pranzo o a cena per aggregare le due famiglie e farle diventare una sola famiglia, ci si ritrovava insieme e si faceva una festa, si allestiva un banchetto e si consumavano le pietanze preparate nei giorni precedenti. Da “zanzego” a “ganzega” il passo è stato breve e il termine è rimasto in voga per secoli infatti dopo la cerimonia religiosa del matrimonio ci si recava presso la casa dello sposo o della sposa e si consumava la “ganzega” cioè un sontuoso banchetto che abili cuoche avevano preparato e si rimaneva a mangiare insieme fino a tardi, cantando, ballando, giocando, soprattutto i più piccoli.

Dopo la cerimonia nuziale alla “festa delle Marie“, nel Carnevale veneziano, c’era il banchetto che si faceva dentro a Palazzo Ducale con il Doge e presente tutto il Senato della Repubblica Serenissima e come ho già scritto queste dodici coppie vivevano un giorno indimenticabile della loro vita. Questa tradizione si trasferì con facilità ai casi analoghi che i veneziani sperimentavano e non solo, anche in tutto il Dogado. Perciò dopo ogni cerimonia di matrimonio celebrato nella Repubblica, da Venezia a Bergamo e su fino a Palmanova, in Friuli e poi giù fino alle foci del fiume Po e anche sulla costa Dalmata si faceva la “ganzega“, questo banchetto nuziale con una infinità di portate e accompagnate dai buonissimi vini. Ma non solo, molte altre occasioni potevano propiziare il “cunvivium“, questo ritrovarsi assieme per mangiare e festeggiare, poteva essere il termine di un lungo lavoro, come la fabbrica di una casa o di una chiesa, dove erano state impiegate decine e decine di maestranze che poi alla fine dei lavori si trovavano per fare una “ganzega“, un concludere i lavori con una  festa. Avevano lavorato con impegno fianco a fianco per mesi se non per anni e questa vicinanza aveva stretto amicizia tra operai della pietra “tajapiera“, con operai del legno “marangoni de casa” e li aveva affratellati da sentimenti solidi, fintanto che qualcuno chiedeva al suo vicino di lavoro di fargli il “testimone di nozze“, il “compare“, quando si sarebbe sposato.

Venezia maestra di “banchetti” importanti, perché ogni occasione creata dalle circostanze alla fine portava a tavola e molti sono stati questi episodi documentati negli archivi della Serenissima, l’arrivo di un ambasciatore, il passaggio di un re o di una regina, che volevano soggiornare in questa straordinaria città, la stipula di un accordo, l’acquisizione di una città (Venezia è diventata grande perché molte città dei dintorni e della costa adriatica decisero di aggregarsi a lei non prima della stipula di un contratto, ovviamente, seguiva la “ganzega“), senza dover combattere per conquistarla. Famoso il passaggio di Padova dopo la sconfitta dei Carraresi, nel quattrocento, dove ai padovani venne proposta l’aggregazione a Venezia anche se ai confini premevano i Visconti di Milano uniti con i Cangrande di Verona che si stavano allargando occupando i territori dei Carraresi, così pure l’aggregazione di città dalmate o l’isola di Cipro che la regina Caterina Cornaro rimasta vedova consegnò a Venezia per farla amministrare. Questi eventi che in qualche maniera si erano risolti in modo meno cruento di altri sfociavano in lussuosi banchetti che alcuni pittori veneziani dipinsero in grandi tele ai quali volevo portarvi con questo articolo, indicandovi la loro posizione, affinché possiate apprezzarli al pari di tutte quelle persone che l’hanno già fatto, come me.

Uno dei massimi esponenti di questa pittura di “maniera”, che si è divertito a dipingere cene e banchetti è stato senza dubbio Paolo Calliari detto il Veronese, nato in un borgo vicino a Verona e formatosi in una scuola di pittura dove da subito affinò il suo stile e qui va detto anche grazie ad un altro pittore veneto, quell’Andrea Mantegna di passaggio per Verona dove vi lasciò tanti segni di incredibile bellezza. Poi il Veronese si trasferì a Venezia e fin da subito dovette scontrarsi con il Tiziano giunto in quella città da Pieve di Cadore, sulle dolomiti. Tra di loro nacque subito una certa rivalità e quel tanto che il Veronese dovette trovare immediatamente uno stile proprio se non voleva sparire dalla scena artistica e ci riuscì creando un genere di pittura ricco di raffinatezze, di colori nuovi, di visioni, di luci, di prospettive. Aiutato come ho detto da quello che aveva fatto Mantegna e dalla protezione che sin da giovane gli aveva concesso l’architetto Michele Sanmicheli, riuscì a capire, si può dire, con facilità le esigenze che i clienti chiedevano.  A quel tempo Venezia era diventata ricca e potente e poteva permettersi ogni cosa anche di spendere somme ingenti per la bellezza, ci sono stati diversi “casati patrizi” che potendo disporre tali somme, si sono fatti affrescare l’intero palazzo, villa Barbaro a Maser (località di Treviso) ne è un esempio, venne interamente affrescata da Veronese, al pari di un re. Veronese non si tirò mai indietro anche perché amava quel mondo gaudente infatti lo vediamo autoritratto in uno dei suoi “banchetti” che si trova nella sagrestia della basilica benedettina di Monte Berico a Vicenza dove lo si vede guardare verso lo zio Bartolomeo nel bel mezzo di uno di questi “banchetti”, porta con sé dei progetti da fargli vedere e forse già pensa alla cifra da chiedere per il suo lavoro. Il grande quadro si chiama “Convito in casa di Gregorio Magno” il quadro offre una spazialità straordinaria ed è di una ricchezza di contenuti incredibile, ci vuole tempo per ammirare questo bel “banchetto” ma ne vale la pena. Riempiti di bellezza scappate per raggiungere Venezia ad ammirare la grande “riproduzione” reale delle “Nozze di Cana” che si trova nel refettorio del monastero benedettino di san Giorgio Maggiore, il dipinto originale si trova al Louvre dato che Napoleone lo ha portato via con sé. Il nostro giro non è finito qui perché dobbiamo assolutamente staccare lo sguardo dal Veronese per andare ad ammirare la stupenda tela delle “Nozze di Cana” di Tintoretto che si trova nella sagrestia della chiesa della Salute in Punta Dogana, rimarrete stupiti e non dico altro e per concludere questo viaggio delle meraviglie ad ammirar banchetti si va alle Gallerie dell’Accademia per vedere un altro Veronese “L’ultima cena“, questo quadro fu protagonista di una arringa giudiziaria perché i Domenicani che lo volevano sistemare nel refettorio vicino alla chiesa di san Giovanni e Paolo, lo ritenevano troppo profano e temevano di vederlo distrutto dalle nuove disposizioni ecclesiastiche, in fatto di eresia, imposte nel documento finale del Concilio di Trento e l’Inquisizione era sempre attenta a controllare tutto quello che si faceva per vagliarlo ai nuovi dettami. Infatti Veronese dovette difendersi quando il quadro venne giudicato contrario a quei principi e durante il processo, in sua difesa, tra le altre cose disse: “al pittore gli è concesso tutto al pari di un poeta o di un pazzo, perché quello che fa è espressione di quello che sente dentro“, prese il quadro e per non perdere il compenso stabilito lo modificò, in meglio, in alcuni dettagli e lo intitolò scrivendo sulla cornice in alto di una delle colonne del palazzo raffigurato “Convivio in casa Levi” così fu accettato dalla commissione e ancora oggi lo possiamo ammirare.

Giuseppe, Letizia e Italia al banchetto della prima festa dei nonni

 

Per concludere due osservazioni: la prima, dato che vi trovate all’interno delle Gallerie dell’Accademia andate ad ammirare uno straordinario cunvivium, è un piccolo quadro di Giorgione (pittore veneto di Castelfranco Veneto) e si intitola “La tempesta“, in uno scenario agreste si vede una mamma sopra ad un telo disteso in una radura mentre allatta il suo bambino, all’orizzonte un cielo di tempesta che sta per arrivare o che si è appena diradato, una meraviglia.

La seconda: “febraro, febrareto curto e maedeto” Febbraio è un mese corto, è l’ultimo mese dell’anno, quando era in vita la Repubblica Serenissima e di solito a fine anno si fanno i resoconti, è un mese corto e vissuto a metà tra il gaudio del Carnevale e il digiuno della Quaresima e per questo è maledetto. Ho parlato di banchetti perché nel mezzo mese che aveva a disposizione il Carnevale banchettare era una consuetudine, un far terminare l’anno nella gioia di vivere “cunvivium“, buon mangiare, buon bere, con balli, canti, spettacoli a non finire. L’altro mezzo mese rimasto (maedeto) ci sarà digiuno e astinenza. Godiamoci allora questo Carnevale senza eccessi che poi arriva la mortificazione dei quaranta giorni che ci separano dalla Pasqua.

La foto di inizio arriva dalla collezione di Ferruccio Codogno un mio caro amico e l’altra viene dalla collezione di Paolo Nequinio e fa vedere dei volti gaudenti al banchetto parrocchiale alla festa dei nonni.
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