Il fuoco sotto la cenere
“Te si na bronsa querta”, sei una brace sotto la cenere, è una esclamazione tipica delle nostre parti, il Veneto, che ci vuol far capire due cose importanti, la prima è la capacità che ha la cenere di conservare vivo il fuoco, non a fiamma libera ma di non esaurirlo, tenere acceso quel tizzone che si sta consumando piano piano, il secondo sono le opportunità che ci vengono offerte al momento presente ma poi non sfruttiamo e poi le tiriamo fuori più tardi magari quando nessuno se lo aspetta, o è anche il carattere di una persona che sembra mite per natura, ma che si infiamma se viene stimolata da eventi che lo riguardano.
Eccovi un piccolo fatto che si poteva vivere in una qualsiasi casa di campagna, poteva essere quella dei nonni, degli zii ma anche in casa di amici, provvista di focolare solitamente usato per scaldarsi, nella stagione fredda, o per fare da mangiare quando nella casa non esistevano ancora i fornelli a gas e neppure quelle stufe che si chiamavano “economiche” perché anch’esse usavano la legna come combustibile.
La prima persona che si alzava dal letto aveva il dovere di accendere il fuoco e per consuetudine era la donna e in questo breve racconto la nonna. Scendeva giù per le scale di legno quelle che portavano alle stanze da letto e senza far troppo rumore cercava di preparare il caminetto ad accogliere le stoppie di granoturco, così belle secche perché “fracae”, accovacciate vicino al fuoco, certe mattine doveva scacciare il gatto che le aveva scelte come cuccia per dormire e dato che tenevano bene il calore lui ne godeva quando si roggomitolava dentro, poi le spaccava in piccoli pezzetti e le metteva sopra alla pietra del focolare. Prendeva gli arnesi del caminetto per pulirlo dalla cenere, la raccoglieva usando uno scopino di canne di sorgo “el scoato del fogoaro” e una paletta di metallo costruita da Alfio il suo fabbro di fiducia e la metteva dentro ad un secchio sempre di metallo “el bandon” poi copriva il secchio con un coperchio costruito di tavolette di legno per evitare di farla volare per tutta la casa, ma anche doveva salvarla dall’acqua e dai gatti che la usavano come le odierne lettiere per i loro bisogni. Per mi nonna la cenere doveva rimanere bella soffice e vellutata perché durante la settimana la usava per fare il bucato “la lissia” la lisciva, portava il bidone vicino al pozzo e poco distante preparava un capiente contenitore “el calieron” che poi riempiva d’acqua e lo metteva sul fuoco acceso nel focolare della corte “el forneo dea lissia”, quando l’acqua diventava calda ci mescolava dentro una parte di cenere, la scioglieva e poi rovesciava tutto dentro al “masteo” mastello, infine faceva il bucato, cioè usava la cenere al posto dei detersivi usati ai giorni nostri.
Questo focolare poteva essere usato anche in situazioni di particolare emergenza come quando veniva ucciso il maiale ed era richiesta molta acqua calda per “broare el mas-cio”, lavare il maiale, poco dopo averlo sgozzato e poco prima di appenderlo “sull’atoea del portego”, sulla trave del portico; il focolare della corte veniva usato anche d’estate per scaldare o abbrustolire la carne e la polenta, soprattutto durante la trebbiatura. La sgrantura del frumento richiedeva l’impiego di molte persone e dovevano essere sfamate a rotazione con polenta scaldata sul fuoco e fette di salame tagliate belle grosse, così da fornire l’adeguato sostentamento ai lavoratori accorsi ad aiutare per caricare “e crosete e dopo rancurare ea paja”, mettere i fasci di spighe sulla trebbia e poi raccogliere la paglia all’uscita o anche per scaricare i sacchi di frumento nel granaio.
D’inverno allora la nonna doveva accendere il focolare e per far questo le era necessario un certo tempo, per preparare le stoppie, come ho scritto, ma anche per innescare la fiamma e proviamo ad immaginarla nell’impresa quando c’erano quelle immancabili mattine di “aria aveenà”, aria avvelenata, dal solito scirocco che arriva da sud est o dal libeccio che arriva da sud ovest “el garbin”. Appena accesi “i scanarei” i tutoli delle spighe di granoturco la cucina si riempiva di fumo e non c’era verso di farlo salire per il camino, inoltre la fiamma faceva una tal fatica a mostrarsi vivace che occorreva del tempo e quache “sacranon” imprecazione per aumentare la fiamma nel modo sperato. Sapeva che se impiegava troppo tempo anche la legna non riusciva ad infuocarsi e quindi la colazione veniva preparata a metà se non addirittura appena tiepida.
Se la nonna scopriva, invece, delle braci sotto alla cenere, allora quella mattina esultava felice perché le poteva usare per accendere il nuovo fuoco, a bassa voce le ringraziava per due motivi, il primo perché il tepore di quelle braci aveva tenuto tiepida la condotta del camino e così quando riusciva a far ripartire il fuoco con le solite stoppie messe sopra ai tizzoni era sicura che il fumo prodotto sarebbe uscito velocemente verso l’alto e non rendeva irrespirabile l’aria della cucina e poi per secondo le permetteva di risparmiare sui fiammiferi, un prodotto di poca reperibilità nei periodi di guerra quando si razionava ogni cosa utile alla vita delle famiglie, già ridotte in miseria dai conflitti.
Adesso direte voi quale messaggio vogliamo farvi arrivare e noi rispondiamo con una risposta bellissima: finalmente stiamo lavorando per la realizzazione di un libro che raccoglie moltissimi argomenti che in questo blog sono stati descritti. Infatti piano piano stiamo rivedendo gli articoli e alcuni sono già stati inseriti riveduti e corretti. Ormai abbiamo capito che siete interessati alle nostre narrazioni e così vogliamo poterle stampare in un bel libretto di facile consultazione, non vogliamo farlo sembrare un normale libro di ricette, come se ne trovano tanti nelle librerie. La traccia sarà come quella che vedete negli articoli, appunti di storia legati a dei piatti da realizzare e faremo di tutto pur di mantenere le fotografie che finora avete ammirato, semmai ne aggiungeremo di nuove. In questi giorni stiamo proprio lavorando alle fondamenta in maniera da riuscire a creare un bel prodotto editoriale di facile e logica consultazione che poi potete usare per realizzare alcuni dei piatti descritti.
Abbiamo capito l’importanza delle esperienze che hanno vissuto i nostri trisavoli ce le hanno comunicate sia oralmente che lette nei libri della nostra biblioteca, che la cultura di quel tempo, dove la vita non era sempre facile e per questo la radicavano nella semplicità usando la giusta ma importante creatività, soprattutto in cucina. Dei piatti semplici, facili da realizzare, con ingredienti presi dall’orto a seconda della loro maturazione stagionale, secondo il ciclo delle stagioni, ma anche delle vicende che interessavano tutta la collettività, come le feste religiose, vissute nelle cucine dove con lo stretto necessario si poteva “inventare na nosse”, realizzare il banchetto di un matrimonio. I soli ingredienti raccolti nei campi, i capi di pollame presi nella corte, il vino dalla “caneva” nella cantina, e tutti intrisi di passione e di sudore amicale, perché molto spesso non era necessario ricorrere al cuoco o luogo importante, ma bastavano gli amici di famiglia o meglio “de casa” allora sì che i risultati erano garantiti, perché quello che contava di più era l’allegria e lo stare bene insieme.
E proprio a voi, che siete diventati i nostri amici, chiediamo di poter relizzare questo incredibile progetto perché se da una parte sappiamo che la strada è piuttosto lunga ci piacerebbe sapere sin d’ora che state facendo i dovuti incoraggiamenti, affinché sia possibile raggiungere il traguardo sperato. Grazie.