La rugiada di san Giovanni
Èappena passata la notte e spunta l’alba del giorno “magico”, quello del 24 giugno, il calendario ci ricorda che è la “natività di san Giovanni Battista”, cugino di Gesù. Le scritture del Vangelo scrivono di lui dal momento in cui decide di trascorrere un periodo in disparte nel deserto per fortificare lo spirito e diventare un grande profeta, poi si ricopre di una pelle di cammello e vaga di paese in paese a proclamare la carità, il perdono ed anche la capacità di una vita il più possibile senza colpe.
Molte persone vanno ad ascoltarlo, si sbagliano anche e lo scambiano per il Messia, il salvatore che li deve liberare dagli impostori. Così cerca di chiarire dicendo che non è lui il vero messia bensì un altro molto più grande solo che per poterlo accogliere serve una disposizione d’animo; non tutti sono disposti e così dopo aver battezzato Gesù sul fiume Giordano viene incarcerato dai soldati di Erode che poi gli tagliano la testa. La vicenda riporta che Erodiade si pente di aver chiesto la sua testa e capisce il peso della sua colpa, vuole scusarsi con Giovanni prendendo in mano la sua testa gli sussurra alcune frasi ma non può ormai ricevere alcuna risposta, vuole essere perdonata ma è tardi così per il rimorso e la disperazione comincia a vagare per le strade del mondo, un’anima persa tanto che, narra la leggenda, qualcuno affermava di aver sentito il suo pianto disperato, un continuo lamento da far tenerezza, avvertito soprattutto nelle notti d’estate.
Le sue lacrime trasformate in rugiada caduta sui prati proprio durante il solstizio d’estate, molto utile alle massaie perché la raccoglievano con dei piatti sfiorando l’erba alta o il trifoglio, gocce di lacrime quasi balsamiche che poi filtravano con un canovaccio e le riunivano nelle brocche per fare la “pasta madre” chiamata anche “la levà di san Giovanni”. La pasta madre è il lievito che serve per impastare la farina, modellarla e farne dei pezzi da infornare e produrre delle profumate pagnotte di pane e lo sappiamo che il pane è un ingrediente importante delle tavole, nella dieta alimentare di oggi come in quella di una volta. La farina per fare il pane dipendeva dal grano raccolto ed anche dalla bontà del padrone in quelle case formate di solito da diverse di persone, a volte anche in settanta in diverse tavole, tanti erano quelli che vivevano nelle grandi case di campagna, “le casone” e non sempre avevano a disposizione la quantità di farina utile per fare il pane durante tutto l’anno e se d’estate dopo la trebbiatura nelle tavole il pane abbondava, d’inverno viceversa si doveva ricorreva alla farina di granoturco e si faceva la polenta, se la cassetta di farina si svuotava allora si cercava di essere avari e la si razionava in modo da non farla mai mancare.
Il lievito madre di solito lo si trova facilmente tra quelli che ne hanno in più: pochi possono procurarsi la rugiada buona e pulita, mancano i prati e il cielo è molto inquinato allora si può ricorrere all’acqua di rubinetto tenuta alcune ore su una brocca per far evaporare il cloro. Dalle mie parti tempo fa si usava l’acqua del pozzo che conteneva sostanze ferrose in forte quantità e perciò non era proprio adatta a formare il lievito madre e per questo si ricorreva alla rugiada che per ovvia natura era un’acqua distillata, aggiungiamoci anche il mistero che questa notte si porta dietro e tutto sembra più singolare: 200 gr. di farina tipo 0 o tipo 1 preferibilmente macinata a pietra, 100 gr. di acqua, 1 cucchiaino di miele. Questo è il periodo ideale per preparare il lievito madre, nel nostro emisfero boreale, perché la temperatura ambiente non supera i 25 gradi, si devono riunire tutti gli ingredienti in una terrina, aggiungendo l’acqua poco per volta fino ad ottenere un impasto molto morbido ed appiccicoso, l’impasto ottenuto va lavorato per bene e per molte volte. Poi questa pasta deve essere messa in un contenitore di vetro e lasciata riposare per 48 ore coperta da un telo di stoffa umido, lontano da fonti di luce intensa e dal calore; se nella stanza mettete della frutta matura questa sicuramente aiuterà alla formazione del lievito.
Passati due giorni e dopo aver constatato che il volume è aumentato si procede al primo rinfresco del lievito madre, seguendo queste proporzioni: prendere la farina uguale a quella usata per farlo di peso uguale al lievito e acqua di peso la metà del lievito, se il lievito è 200 gr. si aggiunge 200 gr. di farina e 100 gr. di acqua (tali proporzioni dipendono dal tipo di farina ma dopo un poca di pratica si imparano). Questo è il primo rinfresco al quale ne seguiranno altri sapendo che questa è la prima pasta madre che stiamo facendo, più ne facciamo di rinfreschi e migliore diventa il lievito e se avete ottenuto un buon prodotto non esiste più limite ai rinfreschi è consigliato però farne almeno 8 prima di utilizzarlo negli impasti da panificare. Dai riscontri raccolti dalle donne che si ricordano quello fatto con la rugiada non necessitava di così tanti rinfresci forse perché le sostanze raccolte dall’erba aiutavano la fermentazione della pasta madre ma di certo si sa che i primi prodotti realizzati con questo lievito erano le famose focacce cucinate sul focolare, per cui se il lievito era un poco acida nessuno lo percepiva. Da tenere presente anche il contesto fatto di lavoro e fatica patiti dagli uomini e quando rientravano in casa avevano una fame che non si accorgevano di nulla e mangiavano di tutto mentre ai giorni nostri che siamo più raffinati e attenti dobbiamo seguire con più attenzione le varie fasi altrimenti poi non gustiamo per bene questi cibi della nostra tradizione contadina.
Preparato il lievito madre lo mettiamo in un contenitore di vetro e lo poniamo in frigorifero tenendo presente che il freddo rallenta la fermentazione e quando dobbiamo utilizzarlo conviene rifrescarlo con il procedimento sopra descritto, una parte verrà usato per la ricetta da fare, pane o focaccia mentre l’altro lo si rimette in frigo, conviene evitare di riempire completamente il contenitore perché la pasta aumenta di volume, più lentamente se il contenitore di vetro è in frigo ma aumenta di sicuro un poco e può rompere un vasetto troppo pieno rovinando tutto il lavoro fatto.
Incorporare la parte di lievito con altra farina di grano tipo 0 per fare del pane, sia quello comune o quello più condito, aggiugendo latte, olio o uvetta sultanina con dello zucchero, olive, semi di sesamo o altro ancora, si può fare anche con la farina integrale di semola o con farina di grano duro, o per la realizzazione di focacce, pandori, panettoni, brioche, insomma tutte quelle bontà che necessitano del nostro lievito per essere realizzate.
Questi prodotti perché realizzati in questo modo, più naturale, risultano anche più digeribili oltre che più sani, se poi ci aggiungiamo tutta la magia del solstizio si può intuire che fare una bella focaccia a Natale usando il “lievito madre” creato il 24 giugno, giorno di san Giovanni, allora quel dolce risulterà arricchito da tutta quella armonia di elementi che legano il solstizio d’estate con quello d’inverno e faranno volare alta la fantasia ricordando i profumi dell’estate, la sua luce, la libertà della vita all’aria aperta che ovviamente in inverno è un po’ meno praticata.
La foto che si trova ad inzio articolo proviene dalla collezione di Paolo Nequinio.