La Salute
Sul calendario in vigore in Italia ad ogni giorno è legata una memoria e così durante le funzioni religiose si ricordano persone o avvenimenti di quella data. Si ricordano uomini e donne che dopo una vita eroica sono stati elevati agli onori degli altari, iscritti nell’annuario dei santi. Si ricordano anche avvenimenti che hanno un particolare rilievo pastorale e che sono di ausilio per la conoscenza e la crescita devozionale dei fedeli che per loro scelta hanno deciso di seguire l’esperienza cristiana. Il 21 novembre si ricorda, nella tradizione, la presentazione della Vergine Maria al tempio. Ma Maria, dice ancora la tradizione, venne scelta da Dio Padre per farla diventare la madre di Gesù Cristo e quindi dopo il sì di Maria tutta la sua vita assunse un’importante missione che cambiò completamente il destino di moltissime persone.
Venezia è una città molto particolare e non solo per la sua posizione ma anche per la sua storia, la sua conformazione, la sua tradizione. Infatti se nella sua fondazione si avvalse del contributo dei suoi pochi ma validi pescatori e poi dei profughi scampati alla morte a causa degli invasori arrivati dal nord Europa, per sopravvivere si avvalse sempre della tradizione. E sia la prima che la seconda categoria di cittadini avevano un legame antico con la tradizione cristiana e ne è testimonianza l’isola di Torcello dove molti di questi profughi si rifugiarono e dove costruirono una chiesa dedicata a Maria, madre del Cristo. Quando Venezia divenne una grande potenza marittima e commerciale non dimenticò mai questa sentita dedizione e infatti Maria è sempre stata la protettrice di questa città. Ogni doge che si sedette sul trono della Serenissima Repubblica doveva tenere ben ferma questa scelta anche se qualche volta non si dimostrò all’altezza, ma per rispetto sia dei valori che del ruolo, doveva semmai favorire ogni manifestazione di devozione a Maria.
Questa premessa piuttosto lunga è importante per capire perché a Venezia esiste una chiesa e una festa importante dedicata alla “Beata Vergine delle Salute” e che si festeggia e venera il 21 novembre.
La città di Venezia si era appena risollevata dalla terribile pestilenza della seconda metà del Cinquecento (ne ho scritto alcune cose nell’articolo dove parlo della festa del Redentore), ma per sua sfortuna, ospitando nel 1630 l’ambasciatore di Mantova che era giunto a Venezia per chiedere un aiuto militare al doge, a sua insaputa sulla pestilenza che si propagava in territorio lombardo, per un calcolo errato sulla sua gravità e sulla prevenzione, si ritrovò coinvolta in un secondo contagio, ancora più virulento del primo. Se l’ambasciatore e la sua scorta furono sistemati nell’isola di san Clemente in quarantena, la stessa procedura non venne seguita per quei pochi veneziani che dovevano seguire gli ospiti nella loro adeguata sistemazione.
Per questa motivo, raccontano le cronache, il contagio del virus si propagò nella città e nessuno poté fermarlo, subito mostrò una aggressività insospettabile e quel tanto che anche i più grandi medici del tempo non poterono diagnosticarne la gravità, i contagiati morivano nel giro di due, tre giorni di febbre altissima e diventarono sempre più numerosi. I lazzaretti che la città aveva allestito dovettero essere raddoppiati, le cifre dei decessi aumentavano enormemente, al ritmo di 100 al giorno ma si arrivò alla cifra di 500/600 morti al giorno del mese di novembre 1630.
Il doge con tutto il Consiglio dovettero emanare leggi sanitarie in continuazione, per far fronte all’emergenza, ma invano, perché ormai la situazione era fuori controllo. Vorrei ricordarne una in particolare di queste leggi che è tuttora evidente in molti palazzi e chiese veneziane sia della città che del dogado: si trattava di disinfettare con calce viva tutti gli ambienti che erano stati occupati dai contagiati, questo per evitare di dar fuoco a case e palazzi. Questa legge prevedeva di intonacare con questa calce pareti e soffitti delle dimore dei cittadini ammalati e così si scalpellarono le pareti delle case e delle chiese anche quelle ben affrescate e si coprirono i dipinti con l’intonaco nel vano tentativo, a detta dei sanitari, di frenare la propagazione del virus (un batterio portato dalla cimice dei ratti, solo che non si sapeva e non venne mai riscontrato, almeno a quel tempo). Molti di questi affreschi sono tuttora coperti da questi strati di calce che nel tempo furono depositati sulle pareti di queste chiese e palazzi, mentre altri furono portati alla luce da pazienti lavori di restauro e adesso si presentano tutti scolpiti dai colpi di scalpello.
Oltre alle leggi il doge Nicolò Contarini e il patriarca si affidarono alla Vergine Madre e riformulò il voto, lo fece ufficialmente convocando i notabili e tutta la cittadinanza, come un suo predecessore di quasi cinquanta anni prima, quando si affidò a Cristo Redentore. Si doveva costruire una chiesa in onore di Maria e doveva essere visitata dai dogi in maniera perpetua nel giorno che segnava la fine del contagio, che avvenne proprio tra il 19/21 novembre 1631 (oggi questa data credo sia sfuggita ai nuovi protagonisti della scena pubblica) e si doveva intitolare alla “Beata Vergine della Salute“. Avviò in fretta e furia il concorso di idee per la realizzazione del nuovo tempio, grande, bello, unico, per ingraziarsi la protezione e l’aiuto di Maria contro la strage causata dalla peste. Il progetto lo vinse un poco più che trentenne Baldassarre Longhena, valido matematico e architetto di quel periodo, presentò il progetto al Consiglio e molti ne furono entusiasti ma altri per niente, ma l’emergenza del momento ruppe gli indugi agli indecisi (la corruzione non è solo storia di questi giorni) e ben presto furono iniziati i lavori della nuova chiesa di Venezia. La peste però continuava a mietere vittime, ma i lavori proseguivano alacremente. La cittadinanza intera con grande assiduità frequentava i luoghi di culto di tutto il dogado e faceva continue veglie di preghiera per chiedere la grazia sulla fine di questa tragica malattia, i morti sono arrivati alla impressionante cifra di 93.211 contando quelli della città e anche delle isole di Murano, Burano Torcello, Chioggia compresa, fino ad ottobre 1631 momento in cui si verificarono consistenti diminuzioni dei contagiati.
La chiesa che vediamo oggi è il risultato di quel progetto proposto dal Longhena, un altissimo esempio di barocco veneziano, straordinario per risultato ed espressività. Nel 1631 iniziarono i lavori e furono terminati nel 1681, venne consacrata il 9 novembre 1687, subito abbellita da ingenti donazioni, come le tele pervenute da altre chiese di Venezia, la “Pentecoste” di Tiziano e l’icona dell’altar maggiore del XIII secolo la “Madonna Mesopanditissa” “Madonna mediatrice di pace”; nella sacrestia oltre ad altre tele di Tiziano c’è una bellissima rappresentazione delle “Nozze di cana “ di Tintoretto, una delle massime opere del periodo di maggior maturità del pittore.
La chiesa si sviluppa nel segno dell’otto, è poggiata in un ottagono, numero matematico ma se viene reclinato è anche segno di infinito, di eternità e infatti sarebbe bello se rimanesse in eterno come testimonianza di fede, da tener presente che appartiene non solo alla città di Venezia ma anche a tutti coloro che vi si accostano con devozione.
Quando venne consacrata con il nome di “Beata Vergine della Salute”, per i veneziani fu da subito la loro chiesa e quindi il 21 di novembre la loro festa. In questo giorno le vanno a far visita e poi a casa festeggiano con un piatto tradizionale: “la castradina”, al tempo della peste non si potevano consumare carni e derrate che arrivavano dai paesi e luoghi contagiati, così la carne affumicate e altri prodotti erano acquistati dagli allevamenti dell’Istria e della Dalmazia.
La ricetta: 1 kg. di carne di montone castrato, 1 kg. di foglie di verza, 100 gr. di cipolla, 1 gambo di sedano, 1 carota, sale e pepe.
Mettere a bagno la carne del castrato per un giorno, dapprima in acqua bollente e poi in acqua tiepida, cambiandola un paio di volte. L’acqua calda serve per togliere sia il sapore di affumicato che il salato e anche per farla rinvenire. Poi lavarla in più acque, tagliarla a pezzi e farla cuocere per circa un’ora in una pentola come un comune bollito, con sedano, carota e cipolla. Levarla poi dal fuoco e lasciarla freddare tenendola in un luogo fresco, eliminare il grasso che si solidifica man mano che si fredda. Rimettere poi la carne in pentola con le verdure del brodo tagliate a pezzettini e abbondanti foglie di verza tagliate a listoline. Cuocere sul fuoco e lasciare sbollentare fin che la carne risulta bella tenera e le verze risultano cotte. A fine cottura controllare il sapore e se piace aromatizzare con una macinata di pepe. A questo punto il brodo si è quasi consumato, ma la carne risulta molto morbida e perciò si può servire accompagnata da crostini di pane ma ancor meglio con della polenta gialla morbida mettendo a fianco delle carne un poca di verza raccolta dalla pentola e che sarebbe in eccesso facendoci correre sopra un filo di olio extravergine di oliva.
Accompagnate questo piatto con del vino robusto ma molto aromatico come il Pinot nero del Piave, o il Tocai italico rosso della immensa campagna di Lison di Pramaggiore e allora si potranno sentire nel palato la sofferenza della carne affumicata addolcita dalle verze cotte e inebriato dal gusto fruttato tipico di questi vini.
Ricordo anche che la festa della Madonna della Salute vuol dire far visita alla chiesa appena descritta, ammirarne la maestosità e se appena fuori vi capita di fermarvi in uno di quei piccoli negozi di pasticceria comprate un dolce tipico che ugualmente ricorda certi momenti difficili che la città ha vissuto, le “veneziane”. È un dolcetto da gustare ad occhi chiusi e meditarne il gusto di pasta lievitata e crema cotta depositata sopra, un’estasi di sapore, rivedrete con la mente le “Nozze di Cana” di Tintoretto appena ammirate all’interno della sagrestia. Questa è la magia di Venezia una città che nonostante le sue conquiste e dopo aver patito le sue sconfitte è sempre riuscita a risollevarsi e rinnovarsi, per secoli.