L’uva di sant’Anna

Santi Anna e Gioacchino i genitori di Maria la madre di Gesù e si ricordano il 26 luglio, alcuni paesi della terra veneta mettono in risalto più il nome di Anna che di Gioacchino e infatti sono molte le feste che si riflettono in questo nome, ma cosa c’entra il frutto della vite con questa santa.
Da noi ci dovrebbe essere la piena estate ma invece quest’anno sta facendo i capricci e quel tanto che sembra di essere in primavera, comunque sia certe uve arrivano a maturazione molto presto e producono acini bianchi molto dolci che proprio in questi giorni si possono assaporare e si possono consumare staccando i grappoli dai tralci. È un’uva precoce, e se qualcuno è riuscito a piantarla nel suo campo o podere, può fargli fare una bella presenza nella tavola di casa. Nelle famiglie di molti anni fa questo tipo di uva era una piacevole istituzione e infatti quando andavo in vacanza nella casa dei nonni, in questi giorni con soddisfazione guardavano la pergola di vite che si trovava su un angolo del portico e se trovavano il grappolo maturo lo prendevano per farmelo assaggiare, quegli acini dolci, così gustosi che riuscivano ogni volta a stupirmi, perché se nutro un certo interesse per l’uva e il vino poterli mangiare lontano dal periodo consueto creava quella novità che esaltava il palato.
Seguendo e conoscendo le tradizioni della nostra terra ho scoperto con piacere che dobbiamo ringraziare i monaci di ogni ordine ma soprattutto i benedettini se possiamo assaporare ancora certi frutti compreso quello della vite, infatti portavano con sè tantissime varietà di piante e sementi per poi riprodurle nei nuovi monasteri che andavano a fondare, anche nei luoghi più remoti del pianeta. Io me li immaggino questi giovani religiosi che partono e hanno un sacchetto di pezza che contiene altri fagottini con dentro le sementi di certe piante utili al sostentamento della nuova comunità che andavano ad animare in questi paesi lontani. La “barbatella” (moncone di vitigno con le sue radici), serviva a riprodurre la pianta se per caso non esisteva in quel nuovo luogo di ritiro e lavoro, il suo frutto raccolto, ovviamente quando giungeva a maturazione, serviva a creare il vino del “sacrificio” questo per perpetuare la l’esperienza evangelica dell’ultima cena. La vite allora era una pianta essenziale del bagaglio di questi monaci che poi appena giunti a destinazione dovevano piantarla e curarla per farla fruttare in modo da non far mancare il vino dalla messa festiva. Ecco allora che anche il vitigno di cui sto scrivendo ha la sua grande importanza e se io non saprei come catalogarlo lo indico come l’uva di sant’Anna perché arriva a maturazione nel periodo che ricordiamo e ne veneriamo la memoria.
Sono tante le immagini che riproducono i monaci intenti alla coltivazione della terra e quante quelle che li ritraggono mentre vendemmiano e pigiano l’uva per generare il mosto che poi diventerà vino e in tante miniature sono stati riprodotti curvati sulle zappe che si prendono cura del terreno che gli è stato assegnato. Quanti monasteri disseminati nelle nostre terre che al giorno d’oggi vengono ricordati solo dalla topomastica delle strade, che ne danno una distratta documentazione, via del convento, via olivettani, via delle monache, via dei capuccini, via dei camaldolesi ecc. Dalle nostre parti si ricordano ancora i monaci benedettini e tutta l’opera di bonifica che hanno fatto per recuperare la terra altrimenti coperta di acqua, campi e prati costantemente assoggettati dagli eventi atmosferici e molto spesso inondati dalle piene dei fossi poco capienti nel raccogliere l’acqua che cadeva dal cielo, le conseguenze sono facilmente immaginabili sui raccolti e sullo sviluppo delle zanzare portatrici di malaria che decimava intere popolazioni.
Ma i monaci con tenacia e caparbietà sono sempre riusciti a creare quelle oasi dove ci si poteva rifugiare e rifocillare ogni qual volta le disgrazie erano anche maggiori della buona volontà dei contadini, peccato però che certe volte le disgrazie duravano a lungo creando scompensi di difficile soluzione e se le carestie erano consuete almeno il vino era sempre presente nelle mense dei monaci e dei poveri abitanti del posto, fino all’arrivo di Napoleone che decretò la soppressione di ogni ordine monastico creando quella virata laicale che ancora oggi mostra le conseguenze e non per la sola colpa a lui imputata ma da tutta quella schiera di nuovi “cittadini” che calpestate le tradizioni hanno cancellato secoli di straordinario equilibrio tra l’uomo e il territorio.
Questo per dire che ai giorni nostri se stiamo andando verso una civiltà digitale e globalizzata stiamo anche riscoprendo le vecchie tradizioni che si erano perdute negli anni e una di queste rievocazioni storiche viene fatta in questi giorni a Correzzola, una località del padovano, con “la Marciliana in territorio padovano” dove se da una parte si ricorda la famosa “guerra del sale” che i veneziani hanno avuto con Chioggia si vuole anche porre in risalto le convenzioni stipulate tra l’abate di questo paese con il signore di Padova per la salvaguardia e lo sviluppo delle terre che facevano parte di questo “contado“. Ancora oggi la bella “corte Benedettina” di Correzzola ci fa capire l’enorme lavoro svolto da questi monaci che seppur dediti alla preghiera nel contempo dovevano amministrare delle cospicue proprietà terriere a beneficio del loro ordine ma anche del signore di Padova. oltre ad una nutrita schiera di contadini, con il seguito familiare. La corte che richiama il cortile o le corti, tipico luogo di Venezia dove si vive la vita all’aria aperta, luogo di lavoro ma anche di incontro, posto adibito alla raccolta dei generi da seccare per poi riporli nei granai, piazza della dimora sia dei frati che dei vari proprietari terrieri, dove si creano incontri, scambi e giochi arricchiti dalle varie vicende che coinvolgevano i vari partecipanti. Un ricordo particolare va ad un luogo molto bello di Venezia che si chiama san Francesco della Vigna simbolo ed esempio di città nella città dove lo spazio destinato ai frati si mescola con quello degli abitanti, senza confini quasi a dire che tutto è possibile, anche quando ci sono delle condizioni che possiamo definire estreme, una città che chiedeva spazio ma non lo va a cercare nell’area del convento perché qui i frati hanno diritto a vivere una loro vita fatta di preghiera, apostolato, ritiro dal resto del mondo e anche sostentamento con la produzione di generi di prima necessità che servivano alla comunità monastica. Il vino veniva prodotto da una varietà di uva chiamata “dorona” dal sapore sapido ma molto dolce e che oggi ha trovato riparo in un’altra vigna murata che si trova nell’isola di Mazzorbo adiacente a Burano. Ma anche in tanti piccoli spazi che un gruppo di appassionati sta rivalutando (Associazione Spiazzi verdi), si trovano sia a Castello, vicino a san Francesco, sia nel brolo di un altro convento che si trova alle Zitelle nell’isola della Giudecca.
Ma non dobbiamo lasciarci senza provare a realizzare questa crostata di uva di sant’Anna ma se non riuscite a trovarla va bene anche una uva da tavola molto dolce.
Crostata di uva dolce da tavola: per la pasta 300 gr. di farina bianca, 150 gr. di zucchero, 150 gr. di burro, 1 uovo, 1 presa di sale, 6 gr. di lievito per dolci, la rapatura della buccia di un limone.
Mettere la farina sulla tavola e fare il buco al centro, versare gli ingredienti e lavorarli ben bene, formare una palla liscia e metterla in frigo per 2 ore, poi distribuire la pasta con le mani in una tortiera rotonda a bordi alti. Buccherellate la pasta con una forchetta e infornate in forno già caldo a 180°, cuocere la pasta per circa 20 minuti.
Nel frattempo preparate la crema pasticcera: mezzo litro di latte, 3 tuorli, 70 gr. di zucchero, 40 gr. di farina, 1 pizzico di sale, un aroma a piacere, scorza di limone, o un goccio di rhum, o un’altro aroma.
Far amalgamare in un pentolino lo zucchero con i tuorli fino ad ottenere un composto spumoso poi ci aggiungiamo il latte dove ci facciamo cadere a pioggia la farina mescolandola senza formare grumi, aggiungiamo il sale e gli aromi e poniamiamo il pentolino sul fuoco dolce fino a realizzare una crema compatta. La lasciamo raffreddare un poco e poi la stendiamo sulla pasta frolla che abbiamo cucinato poco prima stendendone uno strato omogeneo, coprendo le imperfezioni e poi sopra ci mettiamo tanti acini di uva da tavola quanti ne servono per coprire tutta la superfice e per farli diventare lucidi ci stendiamo sopra un leggero velo di gelatina preparata facendo sciogliere sul fuoco dolce il preparato per gelatine che abbiamo comprato in drogheria.
Servire il dolce con del vino Moscato dei Colli Euganei quello dolce o uno spumante ai Fiori d’arancio.