Piero e la fisarmonica
L’estate vuol dire, il sole caldo, l’afa, il lavoro continuo sui campi a raccogliere il fieno, le “bietole” e poi tutti gli altri lavori che richiedevano molta attenzione, l’orto, la stalla, la cantina da preparare per la prossima vendemmia, il pollaio, la porcilaia, la vigna che doveva essere sfrondata per far passare più luce possibile, il granaio che doveva essere preparato per il granoturco, i campi di barbabietole da estirpare per essere consegnate al zuccherificio, mai un attimo di pace, di tranquillità, fin quando il sole tramontava e piuttosto stanchi si cenava mangiando pollo arrosto con polenta, sempre presente sulle tavole di una volta, qualche pomodoro tagliato e condito, se andava bene una zuppa di verdure o cereali.
Ma dopo aver mangiato e una rinfrescata al viso e al collo sfregandosi con l’acqua fresca tirata su dal pozzo si scappava per andare dal vicino ad incontrare l’amico e poi via in bicicletta fino alla vicina anguriara; un contadino che aveva destinato parte del suo terreno e aveva piantato in primavera delle piante di cocomeri che poi in questi giorni di ferragosto erano giunte alla giusta maturazione e si potevano tagliare a fette per venderle agli avventori. Non prima di averci costruito con pali e frasche o meglio ancora con fasci di canne palustri una capanna piuttosto grande e sotto a questa provvisoria pergola che riparava dalla calura, una certa quantità di tavoli e sedie fatte in modo molto artigianale con sopra una tovaglia di plastica, ma anche no se la famiglia era povera come la pergola che si era costruito.
Alla sera quindi uno stuolo di persone cercava refrigerio recandosi da Bepi quello che aveva piantato l’anguriara e si ordinavano diverse fette di anguria fresca perché Bepi le faceva galleggiare su dei grandi tinazzi riempiti e rabboccati di acqua fresca che tirava su dal pozzo, compito questo assegnato alla moglie che dopo aver sistemato i figli piccoli a letto e aveva rimboccato le loro lenzuola di “canapon” (stoffa fatta di canapa, molto più fresca e adatta all’estate) scappava fuori dal marito Bepi per dargli una mano e per assicurarsi che qualche furbo non rubasse le angurie messe al fresco.
I giorni precedenti davanti a questa pergola si era sfalciata l’erba e creata una specie di piazzola che serviva per ballare e quando tutto era ormai prepararto si dovevano aspettare i clienti che a loro volta si riunivano da Bepi col passaparola e con apprensione si aspettava l’arrivo di Piero con la sua fisarmonica tutta rivestita di madreperla. Tutti speravano di vederlo perché c’era il timore che a Piero fosse arrivata l’offerta di andare a suonare alla sagra di qualche paese vicino e quindi ci si doveva accontentare di cantare qualche canzone sentita ascoltando la radio o da quei bravi cantori che facevano parte del coro della chiesa e che in questo contesto abbandonavano il gregoriano per cantare certe arie più melodiche di Beniamino Gigli o di Ravagliati, Nilla Pizzi o il trio Lescano tanto per citare dei nomi che in questo momento mi vengono in mente.
Se la serata era di quelle giuste allora Piero arrivava si prendeva una sedia e si metteva nell’angolo esatto della pista da ballo e cominciava, all’inizio con qualche accordo facile ma poi quando il clima si era ben surriscaldato partivano i valzer e poi la polka o la mazurka e non finiva mai sembrava instancabile e tutti ballavano con grande entusiasmo e felicità. Infatti a questo punto mi tornano in mente due bei quadri di Brueghel che si intitolano “La danza nuziale“oppure la “Danza di contadini“, si vedono chiaramente i ballerini scatenati nella danza ma anche la ben evidente eccitazione che si manifesta agli uomini in queste occasioni e in questi quadri ben rappresentata. E tale si ripeteva in questi contesti quando certi giovanotti si accostavano e magari abbracciavano per la prima volta il corpo di una ragazza.
Piero era osannato e lui molto felice non si risparmiava ma doveva anche prendere fiato e così chiedeva di bere un bicchiere di vino fresco preso dal fiasco anche questo immerso dentro alla tinozza di acqua fresca, creava così quella circostanza che faceva assentare certe coppiette create lì per lì, si appartavano nascondendosi tra i filari di viti e protetti dal buio sperimentavano le effusioni dell’amore giovanile, a volte qualche bacio ma altre volte ci scappava qualche grido e la fuga da quel posto molto scuro, della ragazza protagonista delle troppe attenzioni del suo compagno di ballo, potevano nascere dei dissidi o nuovi amori destinati a perpetuarsi nella vita con il matrimonio dei protagonisti.
Nell’anguriara si trovava sempre sulla tavola la soppressa e il bussolà ed erano sistemati per coloro che lavorando sui campi a giornata non avevano potuto consumare la cena assieme ai loro padroni, sotto alla pergola illuminata con poche e flebili lampadine di poche “candele” questi braccianti trovavano ristoro e riparo visto che poi si fermavano a dormire su giacigli improvvisati fino al nuovo giorno dove ripartivano per la raccolta delle bietole o del fieno. Alla fine stanchi morti crollavano esausti, mentre gli altri, ancora arzilli, concludevano la serata con canti, altre fette di angurie e gli indimenticabili grappini, dei distillati di vinaccia che appena sorseggiati bruciavano la gola e lo stomaco ma lasciavano in bocca un sapore molto aromatico e nel corpo uno strano senso di ebrezza, ma non era ubriacatura bensì un torpore che certe volte faceva aumentava il tono delle note e allora svegliavano i cani del vicino che si mettevano ad abbaiare. L’alba arrivava in fretta e se qualcuno aveva marinato il tetto coniugale allora erano guai seri mentre gli irriducibili scapoli si rinfrescavano al pozzo e ripartivano per il lavoro.
Che fine avevano fatto le ragazze forse importava a pochi anche perché a loro non era consentito di sgarrare oltre un determinato orario pena una sonora ramanzina con conseguente punizione che le costringeva a rimanere a casa. E perciò basta balli, basta piroette col vestito a ruota e basta effusioni fatte di nascosto e fino a data da definirsi.
Con ardore si desiderava che quella stagione non finisse mai ma invece terminate le angurie anche le feste erano destinate a diventare un ricordo, a meno che Bepi con la “carioca” (una piccola macchina agricola usata per i trasporti leggeri) e la “barea” (piccolo rimorchio a due ruote esenza sponde), recandosi al “Mercato Coperto” (mercato all’ingrosso di derrate alimentari, soprattutto frutta e verdura) di Padova o presso qualche altro contadino che aveva le angurie e colmasse il vuoto che si era manifestato così che per Piero, dato che ormai era diventato il protagonista indiscusso di quelle feste poteva contare di esibirsi per altre sere ancora facendo felici le coppiette che si stavano consolidando ed erano ormai lanciatissime anche con il tango.