Antonia e l’oca Medea
Antonia era una donna esile, fragile, almeno all’apparenza perché invece aveva una forza e una volontà che sembravano nascere al di fuori di lei.
Quando andavo a casa sua la vedevo sempre affacendata, aveva cento cose da fare, mai ferma, almeno durante il giorno e chissà se anche quando dormiva e si assopiva nel grande lettone alto, le cose da fare non le mulinavano in testa come le faccende del giorno dopo. Della sua vita ci sarebbero tantissime cose da raccontare e non basterebbe un libro, solo ad elencare i sacrifici che ha fatto per tirare su al meglio la sua famiglia, si potrebbero scrivere fogli e fogli di carta.
Un giorno di primavera vicino alla Pasqua, Antonia decise di fermarsi un po’ di tempo con me, forse voleva prendere fiato e con grande sorpresa pur sapendo che eravamo rimasti soli, iniziò a narrare una sua esperienza, sembrava avesse voglia di liberarsi di un segreto, perché io lo potessi ricordare. Ci siamo seduti sulla poltroncina nel “tinello” e cominciò a dirmi quanto le era capitato tanti anni prima e con dovizia di particolari. Si esprimeva nella sua parlata veneta e alcune parole proprio non le capivo e dovevo chiedere il significato, dato che ormai le avevo dimenticate.
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