Tra la vita e la morte
In questi giorni ho avuto un timore presto descritto: la festa di Ognisanti da noi ha un ricordo vivo ed esplicito dato che i luoghi di culto e i cimiteri sono frequentati da schiere di parenti che si recano sulle tombe dei loro cari e li omaggiano del ricordo ponendo un fiore sulle loro tombe. Pensavo che sono già tanti quelli che scrivono qualcosa su questa ricorrenza, anche perché è una tradizione spesso ricordata anche in cucina con dei piatti tipici e sentivo che la fortuna non mi teneva in considerazione perché volevo poter dire qualcosa di diverso e di particolare, soprattutto. Ma giusto ieri 2 novembre, ricorrenza dei “Defunti” ho incontrato una signora e mi ha raccontato un incredibile episodio di una sua vicenda vissuta tra la vita e la morte.
T. aveva 14 anni e assieme alla mamma e a due sue sorelle si erano recate alla fontana di acqua solforosa posta all’incrocio tra via Beccara e via Pratiarcati in località Bertipaglia. Quest’acqua non è comune a tante altre perché oltre a manifestare un forte sapore solforoso (sa di uova marce) è anche un poco salata e siccome l’espisodio che sto per descrivervi è capitato durante la seconda guerra d’Italia, quella del 1940-45, in quel periodo, soprattutto dopo l’8 sttembre del 1943, la situazione precipitò e le condizioni di radicata povertà furono ulteriormente aggravate dalla crisi economica e sociale di quegli anni. Mancava tutto e con il poco che c’era ci si doveva arrangiare, anche il sale venne razionato ma la fortuna delle persone che vivevano dalle parti dove vi scrivo, la bassa padovana, nei territori dei comuni di Casalserugo, Ronchi, Bovolenta, Maserà, Cagnola, Cartura, Bertipaglia, Fossaragna, Pontelongo, potevano usufruire di alcuni pozzi artesiani costruiti durante il ventennio fascista con il chiaro intento di favorire le famiglie nell’uso di acqua portata in superficie da profondità consistenti, anche settanta metri, costringendole a non usare l’acqua dei pozzi di superficie che molto spesso erano portatori della malattia del tifo.
Nelle case mancava il sale e così la mamma con le sue tre figlie avevano riempito un carretto di damigiane e di contenitori per riempirli di acqua salata e solforosa della Beccara. Appena fatto il pieno decisero di legare delle cordicelle ai fianchi del carretto per poterlo trainare tutte assieme, solo la protagonista di questa storia decise di aiutarle spingendo il carretto da dietro. T. e le altre ripresero la via del ritorno a casa e sapevano che dovevano faticare non poco spingendo il carretto pieno e che abitavano vicino a Lion di Albignasego, abbastanza lontano da quel luogo. Ma di lì a poco ecco che arrivarono degli aerei ricognitori che avevano il chiaro intento di perlustrare la zona per poi bombardarla per rallentare ai tedeschi la loro ritirata verso le zone del nord Italia. A Cagnola il ponte sul canale omonimo costituiva un bersaglio e dopo un veloce giro uno di loro tornò indietro e sganciò alcune bombe. T. e le altre impaurite cercarono riparo chi da una parte chi dall’altra della strada solo che T. scelse un viottolo che portava in un campo che poco dopo fu colpito da una bomba sganciata dall’aereo, la deflagrazione fu spaventosa e quel tanto che si ritrovò completamente svestita e annerita nell’intero corpo. Piena di paura e completamente sorda corse verso la madre che si era buttata sotto ad una siepe di confine assieme alle altre due figlie, l’abbraccio intenso e protettrice la consolò un poco poi alcune persone che abitavano in una casa vicina coprirono quel corpo nudo con una coperta. Appena giunte a casa T. ancora terrorizzata fu lavata e confortata dagli altri e in quel momento qualcuno si accorse che da un fianco le usciva del sangue e subito uno di loro corse in cerca del medico ma non lo trovò, intanto T. si stava lentamente riprendendo solo che poi gradatamente cominciò ad accusare dei forti dolori e la febbre cominciò a salire velocemente fino a cadere esanime sul giaciglio dove si trovava per essere curata. A questo punto tutti pensarono al peggio ma intanto giunse nella casa il medico precedentemente avvisato e fatta una sommaria visita curò la ferita e pensava ad una escoriazione capitata durante la repentina fuga per sfuggire alle bombe lanciate dal ricognitore.
Ieri T. mi ha detto che in seguito a quella brutta esperienza lei si trovò a vivere l’esperienza del coma fisico, uno stato di grande benessere dove aveva visto, secondo lei l’aldià, un tunnel e in fondo una luce immensa dove si percepiva la grande festa che si stava svolgendo, un volo di farfalle, ma che non erano farfalle, l’aria fresca e profumata come quella della primavera, una pace, una tranquillità, una musica soave e tanti fiori colorati che lei voleva raggiungere solo che una forza molto forte glielo impediva e infatti ebbe il sopravvento, quel tanto che oggi ha ancora la possibilità di raccontare quell’episodio che si interruppe dopo diversi giorni passati a letto e amorevolmente curata dalla mamma e dalle sorelle. Poi mi ha confidato che in seguito a delle schermografie fatte per diagnosticare l’origine di una tosse cronica venne in luce che una scheggia di bomba si era conficcata in un polmone, in seguito a quell’esplosione di tanti anni fa.
Poter descrivere questa esperienza mi sembrava un buon motivo per raccontare di questi giorni vissuti a guardare le piccole immagini attaccate alle lapidi o alle croci delle tombe dei nostri cari defunti e così li ho immaginati in quella luce avvolti dal volo di quelle farfalle che non erano farfalle in un clima di festa, corroborati da una musica soave. Mio padre innanzitutto e poi gli altri parenti e tutti gli amici che per varie circostanze sono stati trasportati in questo mondo diverso da quello che viviamo noi. Grazie a T. ho potuto riscoprire una speranza che mi si stava spegnendo.