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Il Carnevale del paese

Il Carnevale del paese

Le feste di Carnevale sono sempre collocate alla fine di quelle del Natale e durano circa un mese, iniziano di solito Il 17 gennaio e finiscono il “Martedì grasso” il giorno prima del “Mercoledì delle Ceneri” che è l’inizio della Quaresima. Sulla loro origine ho già scritto altre volte, sul loro oblio e sulla loro riscoperta soprattutto nella città di Venezia e la “antica Repubblica Serenissima”, ho pure ben evidenziato la cronologia. Non ho mai scritto del Carnevale nei paesi, in quei piccoli borghi di campagna che volevano festeggiarlo ma alla loro maniera, secondo le possibilità e neppure ho scritto come lo vivevo io, di come la nostra fantasia era animata in quei giorni. I ricordi mi fanno rivivere quel Carnevale delle contrade che si svolgeva al mio paese, simile a quello dei tanti paesi della Bassa padovana, si svolgeva soprattutto nella piazza e nelle vie vicine con sfilate di maschere e di carri allegorici, con persone abbigliate alla buona senza sfarzo, con l’unico intento di divertirsi con semplicità e nascosti dietro una diversa identità; tali feste rivisitate e contaminate dagli emigranti di ritorno dalle terre brasiliane, angosciati dalla nostalgia, ma con dentro tutta la vivacità e i colori della vita del paese che li avevano ospitati per alcuni anni.

Il nostro Carnevale non aveva poco o nulla da spartire con quello veneziano, molto più sfarzoso, luccicante, inebriante e trasgressivo.

Dove ho vissuto da bambino c’era questo Carnevale delle contrade che si sfidavano proponendo dei carri trainati da animali o da trattori se non addirittura dalla forza delle braccia di alcuni volontari e tutti addobbati seguendo un tema o un episodio della vita reso più stucchevole per far divertire le persone, eccolo allora il titolo di questo articolo: “el Carnevae dee contrade”, e per contrada si intende anche il luogo d’incontro, in questo caso la sede del sodalizio, che doveva allestire il carro allegorico da portare alla sfilata lungo le vie del paese e sfidare gli altri carri allegorici delle altre contrade, una specie, insomma, del Carnevale di Rio de Janeiro, in Brasile, come appunto accennavo sopra.

E quale era il luogo di ritrovo più adatto se non un’osteria e così infatti per anni il Carnevale del Conselvano era tutta una sfida tra osterie, anche se spesso si iscrivevano pure il Patronato dei padri Canossiani e le classi delle scuole dell’infanzia ed elementare non comunali, gestite dalle suore. Queste immancabili iscrizioni costringevano tutti gli altri, osterie comprese, a dover scegliere di allestire il carro con delle scenografie piuttosto facili e oltretutto non troppo sconvenienti seppure gli esuli tornati narravano con ampi dettagli quello che veniva mostrato al Carnevale della città brasiliana.

Ricordo con piacere le serate di riunioni nella grande sala dove uomini e donne e qualche volta il prete che vi faceva capolino, si trovavano per preparare il progetto, successivamente si passava alla suddivisione dei compiti in modo da creare la giusta squadra che doveva allestire il carro allegorico, discorsi a non finire e le difficoltà da superare per creare in poco spazio quel tema che poi durante la sfilata doveva colpire la curiosità della gente e anche lo sguardo giudicante della giuria la quale doveva assegnare il premio alla migliore esecuzione. Ricordo il tema di un anno che doveva stimolare molta ilarità, aveva per titolo “Tempi Moderni” e rappresentava la simpatica evoluzione dei costumi nel periodo degli anni ‘60, in alcune case era entrata la televisione e aveva cominciato a mostrare la nuova vita delle famiglie in special modo in quelle famiglie dove per le donne stava accadendo una lenta ed inesorabile trasformazione, si notavano migliorate le loro condizioni, ma nel carro allegorico erano portate all’eccesso, per far ridere ovviamente e così furono allestiti due scenari. In quello davanti alcune donne sedute in un salotto intente a chiacchierare, a fumare e a pavoneggiarsi e nell’altro, dietro una finta parete, l’uomo costretto suo malgrado a fare il bucato con accanto anche il figlioletto da accudire. Il carro se all’ingresso del percorso mostrava la prima scena con le donne ben vestite e accalorate quando proseguiva creava lo stupore perché si vedeva l’uomo in preda al panico curvo a fare il bucato dentro un grande mastello e ogni tanto dava la ciuccia al bambino (un poco grandicello) seduto dentro al suo box, per questo tutti scoppiavano a ridere perché in quegli anni l’uomo non era abituato a certe mansioni da donne; con questo carro allegorico la nostra osteria ha vinto diversi premi raccolti anche nelle sfilate percorse nelle vie dei paesi del circondario, Padova compresa.

il cavallo di cartapesta

Diversi sono stati i temi mostrati nei carri allegorici degli anni seguenti, quelli che ho visto durante la mia fanciullezza quando il mio papà mi accompagnava alle sfilate, ricordo quelli futuristici con missili di cartapesta che da un momento all’altro tra nuvole di fumo, forse borotalco soffiato da certi soffioni tipo quelli usati dai fabbri per alimentare la fiamma, con fanciulli vestiti con abiti argentati ad imitare gli astronauti, dovevano partire per lo spazio, poi c’erano quelli delle scuole che richiamavano quasi sempre le fiabe e perciò schiere di bambini vestiti coi costumi dei vari personaggi, dal lupo a Cappuccetto rosso, nonna, cacciatore e casa nel bosco; oppure Biancaneve con scenari di cartapesta che avvolgevano la ragazza distesa pronta a ricevere l’abbraccio del principe che l’avrebbe salvata, attorniata da una bella schiera di nanetti. Altri temi erano le stagioni dell’anno, o il mondo fantastico dei fumetti con Topolino e i suoi amici come protagonisti, più difficile ma comunque sviluppato il tema del Mago di Oz.

le api del Carnevale

Queste belle sfide si vivevano anche nelle cucine delle case perché mamme e nonne, zie e amiche dovevano tagliare e cucire decine di costumi che poi venivano indossati dagli attori della rappresentazione sopra ai vari carri ed erano sfide fino all’ultimo istante e se noi eravamo colpiti dai costumi nulla potevamo immaginare la grande mole di lavoro impiegato per realizzarli; infatti durante la sfilata esisteva una giuria in ombra di sole donne che assegnava un giudizio sul più bel costume, o le migliori finiture, i migliori tessuti e così via.

dei figuranti al carnevale

Ci sono state altre feste di Carnevale ancora più povere dove le persone che vi volevano partecipare dovevano farlo mettendosi addosso quello che riuscivano a raccattare dentro i bauli posti nelle soffitte e bastava un mozzicone di legno bruciacchiato per disegnare i baffi o la barba finta sul viso, con un tabarro ed un cappellaccio si potevano creare moschettieri della regina o impavidi briganti che invece di far paura volevano solo far divertire, mentre a noi bambini bastava una maschera di cartoncino stampato con le sembianze dei personaggi più piacevoli come Geppetto o Pinocchio, il Gatto e la Volpe o la fata dai cappelli turchini, avevano un elastico che si rompeva subito però poco dopo sostituito con uno più resistente, dei piccoli fori sugli occhi e sulla bocca, anni dopo sono arrivate delle maschere di plastica che ti avvolgevano il viso per intero solo che con il vapore ed il sudore si riempivano di umidità e perciò non riuscivi a respirare così venivano accantonate molto presto.

noi con le maschere di plastica, solo la cugina Lucia non la indossa perché è troppo emozionata

Tra tutte c’era una maschera che ci piaceva molto composta da una fascetta nera legata sulla nuca con dei fori per vedere, poi con un bastoncino e un cerchio di cartone per l’elsa si realizzava la spada e in tante schermaglie ci aveva salvato la vita come pure quella della amata e degli amici, poi con del cartoncino tagliato dalle mani esperte delle sarte si costruiva il cappello e con il grembiule nero della scuola annodato al collo al primo bottone ma senza infilarlo si faceva il mantello; e via ad inventare avventure senza fine per la sola soddisfazione di rendere ridicolo il sergente Garsia come pure a disegnare la lettera Z sul muro di casa, Zorro era il personaggio un vero eroe ammirato da tutti noi che potevamo vederlo alla televisione, quella della canonica, la casa del prete, o dai vicini che ci accoglievano contenti durante la trasmissione, al pomeriggio di solito.

Mi piacerebbe tanto che tornassero questi carnevali così poco sofisticati dove tutto si risolveva in una indimenticabile recita e poi alla fine seppur stanchi ci si riuniva attorno al grande tavolo della cucina a mangiare frittelle ed erano così buone che le ricordo ancora, come non ho dimenticato la cioccolata calda che le accompagnava, inebriati dall’intenso odore disperso nella stanza e che impregnava l’aria per giorni, chissà se questo sentore di pasta fritta si sente ancora nelle nostre cucine.

La foto delle maschere di plastica è di mia cugina Lucia N., quella d’inizio e al centro dell’articolo è di Tarcisio Buson (scomparso in questi giorni, grazie) e le altre a colori sono mie: Paolo N.

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