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L’osteria e il negozio

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Nei piccoli paesi di una volta esistevano dei negozi definiti di prossimità cioè servivano alle persone proponendo dei generi di prima necessità. C’era l’osteria ed aveva sempre uno spazio adiacente che faceva da negozio di generi alimentari e questo perché a quei tempi le economie familiari si basavano sempre sulle rendite che arrivavano dai campi. Perciò le persone sapevano che dalla terra doveva arrivare il sostentamento della famiglia, in ogni casa c’era una piccola stalla, un pollaio e l’orto per le verdure, nel campo si seminavano le granaglie per fare la farina e non mancava il vigneto con le viti “maritate”, i filari cioè erano sostenuti da alcune piante da frutto. Andare a fare la spesa in negozio voleva dire comprare quell’articolo che mancava in casa: l’olio, il sale, lo zucchero, i prodotti da fumo, dei dolci, le caramelle e la cioccolata, quando non la si realizzava in casa con il cacao comprato.

Il reddito del “botegaro” doveva per forza integrarsi col reddito dell’oste e a volte del locatario visto che in alcuni posti l’osteria era anche locanda. Le famiglie spesso numerose dovevano far bene i conti con quanto si guardava così per arrotondare si facevano due lavori insieme solo per comprare il poco companatico e molto spesso ci si recava dal negoziante di fiducia acquistando quello che era necessario facendo pure debito, su dei libretti si annotavano gli importi e poi appena riscosso lo stipendio si saldava anche solo una parte dell’importo perché poi quando si potevano vendere le galline, il maiale, un vitello, del grano o dell’uva allora si correva a saldare.

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L’osteria veniva definita il posto del diavolo dove la gente se aveva bevuto un sorso più del dovuto si lasciava andare a parolacce, bestemmie e turpiloqui che in certi casi degeneravano in schiamazzi degni degli animali. Un luogo frequentato da adulti seppur gestito da famiglie con figli e costoro erano spesso più disinibiti degli altri bambini o ragazzi. Era sempre nella parte centrale del paese sempre dalla parte opposta della chiesa e quando d’estate si mettevano in piazza i tavolini a fare bella mostra costringevano i benpensanti a cambiare percorso per evitare certe parolacce dei depravati che poi immancabilmente si confessavano il venerdì santo, per evitare certe prediche inquisitorie emesse dal parroco quando saliva sul pulpito.

Dietro o di fianco all’osteria si creava un campo di terra battuta dove si giocava a bocce sempre gremito di gente rumorosa che faceva il tifo per l’una o l’altra squadra durante i tornei in alcuni casi si trovava anche la balera.

Scriverò più avanti alcuni episodi di vita raccolti proprio da chi frequentava l’osteria; o da chi durante l’estate, le fanciulle in prima linea desideravano fare il giro di ballo facendo volare per aria le gonne così disinibite da far svolazzare per aria le gonne mostrando le gambe. Le lavate di capo erano garantite visti i tempi in cui chi partecipava alle funzioni religiose doveva adeguarsi ai canoni delle novizie, con le teste fasciate dal velo e gli abiti che dovevano assolutamente sottostare alle regole ferree della sobrietà, pena l’esclusione dalla santa comunione. Nei paesi di campagna i regolamenti religiosi si rispettavano ma al tempo stesso venivano infranti ogni qualvolta arrivava la stagione “degli amori” e se a farne le spese erano dei giovinetti caduti nel “peccato grave” della maternità indesiderata questa era sicuramente una straordinaria notizia da raccontare in osteria.

Il vino se buono era consumato volentieri ma se era accompagnato da un buon piatto di carne di cavallo cotta con le spezie e le verdure allora era una festa e per non parlare della quaresima quando si serviva il baccalà o la frittura di pesce; questo per dire che non era strano se all’osteria c’era affiancata anche la trattoria e un buon piatto di “bigoli” fatti a mano non si risparmiava a nessuno. Se si mangiava bene allora la gente arrivava volentieri soprattutto nel fine settimana i tavoli si riempivano di commensali che parlavano e giocavano a carte usando toni di voce a volte sostenuta e poi albergava sempre una coltre di fumo che penetrava fin dentro i vestiti. Si giocavano tutti i giochi di carte conosciuti sia permessi dalla legge che non, ma questo non si diceva in giro.

I racconti da osteria verranno raccontati più avanti perché hanno bisogno di uno spazio apposito e poi si devono anche sistemare prendendoli dalle persone che ancora vive ne possono riportare il contenuto, per ora una foto significativa di alcuni giovanotti ritratti in una osteria di un paese e attorno al periodo precedente la seconda guerra mondiale.

Adesso molte di queste osterie sono scomparse e una buona fetta di poesia si è dissolta, non c’è più spazio alla fantasia arricchita dal menestrello (con la fisarmonica) improvvisato o dal solito racconta-storie dato che il suo lavoro era fare il viaggiatore; nella locanda non si trova più il catino col porta sapone e l’immancabile vaso da notte visto che il cesso si trovava appena fuori, magari vicino alla stalla dei maiali o del pollame. O il letto di reti che cigolavano con sopra un materasso di “grena“, coperto di lenzuola di canapa, omaggio degli alleati del secondo dopoguerra. Ma noi siamo qui a ricordare le tante storie vissute in queste osterie, far rivivere quei momenti che solo questi luoghi hanno saputo raccontare.

La foto d’inizio proviene dalla collezione di Ferruccio Codogno mentre quella sull’articolo è della collezione di Volpin Luigi.