L’orto de casa, “Ora et Labora”
L’orto de casa e “Ora et Labora” sono frasi ben legate tra loro per descrivere la località di Correzzola. Un comune che si trova a sud-est di Padova, nella Saccisica il territorio che lambisce l’area valliva della laguna sud di Venezia, la incontriamo anche percorrendo gli argini del fiume Bacchiglione andando verso Chioggia da Padova, nella pista ciclabile che ho chiamato “Ciclovia degli Aviatori”, perché il tracciato parte e passa nei luoghi che ricordano i primi voli effettuati con aeromobili in Italia compresi quelli del pioniere Leonino da Zara. Ha sorvolata sicuramente questi posti con il suo velivolo, circa 100 anni fa, per l’ardente desiderio di vedere il mare, dal cielo.
Questo pezzo di provincia padovana è stata legata per secoli al monastero di santa Giustina in Padova, occupato dai monaci che seguivano la “Regola” di san Benedetto ricordata spesso dal fondamento “Ora et Labora” ed è facile intuire che proprio queste due parole hanno dato la spinta allo sviluppo di questi terreni avuti in donazione ma anche comprati, nei primi anni del 1100, dalla contessa Giuditta di san Bonifacio che con atto notarile del 1129 ne stipula la cessione. I terreni di Concadalbero, così si chiamavano, infidi, pieni di foreste e paludosi a causa delle esondazioni dei fiumi che la percorrono, l’Adige e il nuovo corso del Gorzone a sud, il Bacchiglione e il Brenta a nord, veniva affittata per pochi soldi a pescatori e cacciatori, poi dopo un preciso scopo operato dagli abati succeduti alla guida dell’Abbazia si deliberò la riqualifica per consentire una adeguata coltivazione agricola e di ripopolamento animale zootecnico da destinate all’Abbazia di santa Giustina di Padova come pure ai mercati delle città vicine. Una profonda e sostanziale opera di bonifica doveva cominciare al più presto e così si iniziarono alcuni lavori di trasformazione quel tanto che in pochi anni questi terreni cambiarono radicalmente e divennero fertili e adatti alle coltivazioni di cereali, vite, foraggio per mucche da latte e cavalli, ovini e caprini, pollame e suini che aumentarono in gran quantità assieme al numero dei coloni che dovevano accudire queste campagne, molti infatti giunti da altri paesi presero il domicilio sulle terre di Correzzola. Così è scritto nella “Cronica Giustiniana” redatta dal monaco benedettino Girolamo da Potenza nel 1597 che spinto dal desiderio di ripercorrere la Storia dell’Abbazia di santa Giustina sin dal suo nascere e fino al 1600, volle lasciare una importante documentazione per tutti coloro che la poterono leggere e documentarsi. Ecco che questa cronaca descriveva com’era la Corte di Concadalbero, il suo castello e si racconta della sistemazione dei terreni con alberi abbattuti, allagamenti domati dentro un reticolo di scoli dove l’acqua correva verso il mare e regolata da porte, “chiaviche” che si chiudevano quando l’acqua aumentava e si aprivano quando doveva defluire verso l’Adriatico, evitando così le inondazioni.
Più tardi la Sede Dominicale della Corte di Concadalbero ritenuta troppo al limite del possedimento venne trasferita alla nuova Corte di Correzzola posta in un luogo di transito, facilitato dal vicino fiume Bacchiglione, una via naturale che permetteva lo spostamento di ingenti quantità di merce caricata sui barconi trainati dai cavalli che li tiravano con le funi da sopra gli argini, contro corrente per raggiungere Padova e al contrario per arrivare a Chioggia o Venezia impiegando un tempo molto minore rispetto ai carri trainati dai buoi sulle strade del tempo. Pian piano il territorio si arricchisce di nuove acquisizioni e raggiunge la dimensione di 12.767 campi padovani tanto che necessita di una organizzazione più snella ed anche più attenta allo sviluppo sia sociale che economico. Così i vari monaci incaricati o cellerari lo suddivisero in cinque Gastaldie, Concadalbero, Villa del Bosco, Civè, Cona e Correzzola, le quali a loro volta in Fattorie, circa 70 nei primi anni del 1500 e 93 nel secolo successivo, le quali a loro volta divise in case coloniche occupate da “chiusuranti” o “arsenti” tutti domiciliati in case di cotto (pietra d’argilla cotta) e coppi o tegole sempre di cotto, tutte intitolate col nome di un santo costruite appunto per dare un sicuro riparo e una protezione, (a differenza dei casoni col tetto di paglia o di canne palustri e costruiti in legno, altre tipiche abitazioni della zona, molto malsani e poco resistenti alle tempeste stagionali), dove la vita scorreva secondo le varie stagioni e affrontava sia le difficoltà procurate dai conflitti militari tra le diverse Signorie del tempo ma anche le disposizioni della Repubblica Serenissima sempre vigile sul suo Tenimento o Dogado. La fortunata e lunga storia di Venezia nonostante le sue revisioni garantì al territorio della nuova Corte benedettina di Correzzola e ai suoi monaci e coloni un lungo periodo di sviluppo e l’unico nemico da combattere rimase solo l’acqua che spesso creava vaste alluvioni, solo con l’aiuto intonato dai monaci riuscivano a rinvigorire le persone pur provate dalle fatiche o dalle avversità. La regola “Ora et Labora” spronava e dava sempre le giuste motivazioni per resistere.
Con la sconfitta della Repubblica di Venezia alla fine de XVIII secolo per opera delle armate di Napoleone e la successiva nascita della Repubblica Cisalpina, tutti i possedimenti religiosi vennero confiscati e la stessa sorte toccò alla Corte di Correzzola che venne abbandonata dai monaci. Venne poi ceduta ai conti Melzi d’Eril, provenienti dal lodigiano, che comunque continuarono l’opera di bonifica precedente. Usarono molta buona volontà ma avevano meno mezzi economici a disposizione, tanto che parte del territorio ritornò com’era prima. Solo dei nuovi manufatti, le idrovore, potenti turbine alimentate da motori, poterono aspirare l’acqua che allagava i campi per gettarla negli scoli scolmatori, così da garantire nel tempo la buona tenuta del territorio privandolo dei danni causati dalle esondazioni. Passato quindi il periodo fascista, bellico e post bellico si giunse alla moderna riforma agraria che assegnava ai vari lavoratori dei terreni, succeduti negli anni, la loro parte assegnata così come la possiamo ammirare ai giorni nostri. Le case coloniche rimangono i testimoni del tempo dei monaci e dove non è prevalsa l’incuria e l’abbandono le possiamo ammirare ristrutturate, così belle e caratteristiche simbolo di un ordine sociale imposto dalla Regola Benedettina e dalla filosofia di Virgilio affrescata in una delle pareti poste a sud della grandiosa Corte di Correzzola. Storia di secoli lontani si potrebbe dire, ma tuttora valida.
Torniamo allora al titolo di questo articolo per riflettere sull’importanza di salvaguardare il territorio seppur nelle difficoltà senza distruggerlo sempre ripensando al filosofo Virgilio: “Sic vos non vobis nidificatis aves – Così voi ma non per voi fate il nido uccelli; Sic vos non vobis vellera fertis oves – Così voi ma non per voi producete la lana pecore; Sic vos non vobis mellificatis apes – Così voi ma non per voi producete il miele api; Sic vos non vobis fertis aratra boves – Così voi ma non per voi portate l’aratro buoi.
Ecco quindi che tutto può iniziare dalle piccole cose, come un orto vicino a casa e in questo periodo di crisi può essere una ottima opportunità di benessere e ricordiamo che anche in tempi remoti si è dovuto lottare con ogni mezzo per ottenere terra da lavorare, pensando anche alla salute delle persone, da questi luoghi acquitrinosi è fiorita una nuova società, ben organizzata, tutti potevano trarre beneficio dai beni che la terra produceva e donava e ancora oggi dona.
Le fotografie provengono dalla collezione di Paolo Nequinio.