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La Sensa (Ascensione del Signore)

La Sensa (Ascensione del Signore)

La ricorrenza dell’Ascensione del Signore Gesù al cielo, quaranta giorni dopo la Pasqua, in veneto si chiama “la sensa”. È un giorno molto importante per i veneziani perché ricorda la spedizione del doge Pietro Orseolo II, dal porto di san Nicolò al Lido, pochi anni prima del Mille, per svolgere una missione a metà strada tra il commerciale e il militare anche se lo scopo era di soccorrere le popolazioni dell’Istria e della Dalmazia dalle scorribande dei pirati che seminavano il terrore nel mare Adriatico

Si deve innanzitutto ricordare che la località di Malamocco, caratteristico borgo dell’attuale Lido, a quel tempo era sede dogale un luogo diventato troppo stretto a causa del forte aumento degli abitanti, già Rivoalto che aveva accolto le persone in fuga dai conflitti in terraferma dalle città di Treviso, Padova, Este, Altino, Oderzo, Concordia, in gran parte artigiani e commercianti e ormai si erano ambientati nelle isole della laguna che li proteggeva. Mentre i pescatori di san Nicolò, di Torcello, di Burano, e di Murano, erano molto spesso aggrediti dai pirati istriani e dalmati molto feroci. Di fronte a questo quadro poche erano rimaste le alternative concesse al doge Pietro Orseolo II nel 997, per prima cosa il mare Adriatico doveva diventare più sicuro e così dopo l’investitura e la benedizione concessa dal patriarca di quel tempo nel giorno della “Sensa”, partì per una spedizione che doveva stanare e sconfiggere i pirati ed infatti ci riuscirono con una repentina azione militare. Le città della costa opposta a Venezia una ad una si legarono ai vincitori veneziani creando l’opportunità di incrementare i loro traffici commerciali, così venne opportuno spostare la sede dogale a Rivoalto che divenne in breve anche il nuovo centro commerciale e aumentando la sua ricchezza si crearono le condizioni per far diventare Venezia una delle più importanti potenze economiche del nord Italia e dell’Europa meridionale. Per le stesse ragioni che riuscì a diventare una importante realtà culturale, artistica, repubblicana e innovatrice dove convivevano nuove idee e nuove proposte di tutto il sapere umano. Il doge con il suo Governo di Magistrati e Senatori promossero leggi e iniziative molto importanti tanto da far diventare questo gruppo di isolotti in un nuovo stato chiamato Repubblica Serenissima e la sua espansione interessò quasi tutti i porti dell’Istria e della Dalmazia e molti della Grecia, Cipro, Creta, l’area di Costantinopli (attuale Istambul) e alcuni del nord Africa.

Ecco che il giorno della “Sensa” è un giorno molto sentito e partecipato, quel tanto che il doge celebra lo “sposalizio del mare”, quell’amico che la rese potente e famosa. Un corteo imponente di barche di ogni tipo e tutte rivestite a festa partivano dal molo antistante Palazzo Ducale per raggiungere le bocche di san Nicolò al Lido dove il doge riaffermava il suo impegno, “sposalizio”, col mare, ne sanciva il rispetto chiedendone la salvaguardia e la benevolenza, non ultima la protezione da invasioni e pericoli: “Desponsamus te mare in signum veri perpetuique dominii”. La barca più bella del corteo acqueo era il Bucintoro, el burcio grando, possente, bello, tutto ricoperto d’oro, lunga da poppa a prua cento piedi veneziani e larga ventuno, era diviso in due piani, al piano inferiore i remiganti in numero di centosessanta otto tutti muscolosi, giovani, pieni di vita quasi tutti dell’Arsenale che non desideravano altro che remare quel giorno su quella barca; al piano superiore si sedeva il doge e tutto il Consiglio in un soppalco e poco più sotto il Senato.

Il proverbio dice “soa Sensa no se schersa” per la sua solennità e il suo valore evocativo, una data molto importante e anche molto utile per stabilire quell’esodo che molti nobili veneziani facevano dopo i vari festeggiamenti che duravano diversi giorni, per abbandonare la città con quasi tutta la servitù per andare nelle sontuose dimore del territorio, le ville di campagna. Case progettate dai migliori architetti e rese dimore regali, abbellite da lussureggianti parchi che le rendevano vere case di vacanza estiva fino alla fine di settembre, dopo aver quasi concluso la stagione agraria, spiccavano dalla campagna per maestosità e arredate di ogni bellezza conosciuta, dai candelabri di vetro alle pareti affrescate dai migliori pittori di ogni epoca. Ecco che allora la città veniva lasciata al popolo formato da commercianti, artigiani, stranieri, artisti, attori, fantasisti, musicisti, senza tralasciare i foresti, gente della campagna che arrivava a Venezia per vendere le loro mercanzie, un brulicare di persone che cercavano in molti modi di farsi notare con lo scopo di riuscire ad ottenere un momento di gloria. E quando si sviluppò il teatro ecco allora apparire delle compagnie che attingevano dai fatti reali per creare delle commedie che poi rappresentavano nei teatri cittadini si apriva una stagione che dal giorno della “sensa” durava per due settimane e molte erano le attese delle nuove proposte quelle delle città “foreste” come Parigi, Vienna, Roma. Sette teatri censiti nel settecento riempivano i cartelloni di commedie e rappresentazioni a dimostrazione del fermento che circolava nella città di Venezia così come si potevano incontrare diversi talenti e per citarne alcuni: Canaletto, Guardi, Piazzetta, Tiepolo, Carlevarijs, Benedetto Marcello, Vivaldi, Albinoni, Gozzi, Goldoni, Massari, Temanza e non ultimo Giacomo Casanova, grandi e unici seppure è da far notare che il settecento determina anche la fine di questa gloriosa repubblica vissuta per oltre un millennio.

Con l’arrivo delle armate napoleoniche che occuparono la città e creata in seguito una nuova municipalità scarsa di esperienza politica e solo vendicativa, alleatasi in seguito con gli asburgo ai nobili rimase l’unica possibilità di ritirarsi nelle ville di campagna lasciando al popolo poche possibilità per riscattarsi. E oggi possiamo scrivere che non riuscirono a cancellare tutto ed eccoci allora a rievocare quei buoni piatti che si facevano al tempo dei Dogi al rientro dalla cerimonia dello sposalizio col mare sono: Risi e bisi, la torta di carciofi di sant’Erasmo, biscotti buranelli, zabajon bevanda di quel mondo illirico legatosi a Venezia sin da lontani secoli.

Risi e bisi (piselli): 400 gr. di piselli sgranati, 200 gr. di riso (Vialone Nano del basso veronese), 50 gr. di pancetta magra, 3 cucchiai di olio extravergine di oliva (della riviera del Garda), mezza cipolla, una noce di burro, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, brodo, una manciata di formaggio grana gratuggiato, sale e pepe (per chi vuole a fine cottura può aggiungere una grattata di noce moscata).

In una casseruola far soffriggere la cipolla e la pancetta tritate con olio e burro, unire i piselli, farli cuocere a fuoco moderato per una quindicina di minuti, versare il riso rimescolando con delicatezza per non rompere i piselli, aggiungere un poco di brodo, insaporire di sale e pepe e portare a cottura tenendo sempre rimescolato aggiungendo gradualmente il brodo di verdure posto in calda e vicino (un buon brodo vegetale lo si può fare cuocendo le bucce dei piselli tagliate grossolane e fatte bollire in abbondante acqua). Aggiungerlo fino alla cottura del riso, leggermente al dente e all’onda cioè con del brodo, correggere di sale, infine si aggiunge il grana e il prezzemolo tritato; chi lo desidera si può grattare una noce moscata che gli dà un tocco esotico (la noce moscata è arrivata a Venezia dalle isole dell’Indonesia, tanto per dire come la cucina veneziana sia stata contaminata da queste spezie partite da molto lontano). E se il riso “el nase in te l’aqua el deve morir in tel vin” come dicono nel veronese allora lo si innaffia di un buon Bianco di Soave.

Torta di carciofi di sant’Erasmo: 200 gr. di pasta sfoglia, 6 carciofi, sale pepe, olio extravergine di oliva, prezzemolo tritato una manciata, 3 uova, 200 gr. gruviera, 200 gr. panna liquida.

Mondare i carciofi togliendo le foglie dure, lavarli e tagliarli a rondelle, insaporite di sale, pepe e prezzemolo tritato, cuocete in poco olio e mezzo bicchiere di acqua per circa 15 minuti. Togliere dal fuoco incorporare il groviera tagliato a dadini e le uova sbattute, unite la panna amalgamando bene. Stendre la pasta sfoglia e foderare una tortiera leggermete imburrata, versate il composto realizzato coi carciofi e cuocete in forno preriscaldato a 180° per 40 minuti. Servire tiepida accompagnato da un bianco (va bene il Soave ma anche il Custozza) sopra descritto.

Biscotti buranelli: 800 gr. di farina fiore, 200 gr. di farina fecola, 9 tuorli e 2 uova intere, 600 gr. di burro, 300 gr. di zucchero, 1 scorza di limone gratuggiato, 2 bustine vanillina,  sale.

Disporre a fontana le farine ben miscelate, mettere al centro tutti gli ingredienti compreso il burro ben sciolto e lavorare con cura e a lungo così da formare un impasto omogeneo. Far riposare l’impasto in frigo, per 15, 20 minuti, tirarlo fuori e formare dei filoncini e fare tanti pezzi della lunghezza di 10 cm. dando una forma a esse, metterli in una placca da forno e cuocere fino a quando sono ben dorati.

Zabajon: tuorli d’uovo a volontà, cucchiai di zucchero doppio dei tuorli, 2 o 3 calicetti di marsala o vino di Cipro, un pizzico di cannella. Sbattere per bene i tuorli con lo zucchero fino a farli diventare pallidi e poi si aggiunge il marsala e la cannella rimestando molto bene. Infine servire su delle ciotoline mettendoci dentro i biscotti ad inzuppare.

Servire con un buon vino come il Recioto o il Durello dei monti Lessini .

Questi piatti che ci fanno rivivere il fasto dei dogi e come riuscivano a dare un nome importante a certe semplici pietanze perché i risi e bisi (piselli) sono “piatto de doge”. E sono abbinati a dei vini della famosa e fantastica terra veronese per ricordare le località della famosa sconfitta con l’esercito napoleonico e austriaco, Arcole, Rivoli Veronese, Caldiero, Belfiore, atto finale per la conquista di Venezia fino al famoso 12 maggio quando il Senato stilò l’ultimo documento ufficiale della storia millenaria di Venezia.

Adesso godiamoci questa festa in allegria ricordando che “con la sensa no se schersa” e quel maggio del 1797 non fu per niente fasteggiata, sembrava finita una storia e per sempre, invece eccoci qui a ricordarne la storia e per tanto tempo ancora, speriamo.

Le immagini sono tratte da “Canaletto” ed. Rizzoli – Skira, “Pittura Italiana” ed. Electa, “Graphicus”
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