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L’ultimo dell’anno

L’ultimo dell’anno

Sono nato in una casa che si trovava nella bassa padovana vicino alla cittadina di Conselve, (mi piace ripeterlo), dove c’era una osteria e un negozio di generi alimentari e ci sono rimasto fino all’età di 7 anni, poi con la famiglia abbiamo traslocato nella casa dei nonni paterni in un paese Ronchi sempre nella bassa padovana vicino a Casalserugo. Non cambiò molto perché anche qua c’era un negozio di “casoin“, “generi alimentari“, più che altro si vendeva di tutto, a parte le stoffe, ed era gestito da mia nonna e da una zia che di nome faceva Agnese anche se il suo primo nome era Giulia.

Questa era la casa “vecchia” quella costruita da mio nonno nei primi anni del Novecento; si dedicava alla conduzione dei campi e la zia che aiutava la nonna era prossima alle nozze e la nonna ormai vicina all’età della pensione intravedeva la imminente chiusura del negozio e mio papà decise di subentrare nella sua conduzione, questo trasloco io non lo ricordo molto bene ma mi rimase dentro tanta tristezza perché mi distaccavo dai miei cugini, unici compagni di giochi e scorribande.

In questa residenza ci siamo sistemati bene anche se le stanze erano piccole perché in quelle grandi del fabbricato si trovava il negozio, la stalla occupata da quattro e a volte cinque mucche, il pollaio al piano rialzato vicino al fienile per garantire l’incolumità al pollame soprattutto di notte (volpi e faine esistevano a quel tempo, ma anche ladruncoli detti appunto “da galline“), (le faraone dormivano fuori su un apposito pollaio costruito sopra ad una pianta), un grande granaio che serviva da magazzino dei generi alimentari da rimpiazzare nel negozio, merce soprattutto costosa e da tenere protetta come i prodotti da fumo, sigarette, sigari, fiammiferi, il tabacco e le “cartine” usate per fare a mano le sigarette, il sale e lo zucchero molto prezioso a quel tempo. Un altro magazzino al piano terra vicino al negozio. Il “granaro“, dove un tempo lontano mio nonno ci metteva le granaglie ma anche i bachi da seta, si trovava al piano di sopra attiguo alla “tesa” “fienile”, lo separava una leggera intercapedine fatta di pietre, le stanze vi ruotavano attorno ed erano quattro.

nella camera c’era sempre la brocca e il catino di ferro smaltato

Nella casa a piano terra, c’era un tinello e la cucina, nessun gabinetto perché si trovava al di fuori in una casetta apposita e lontano dalla casa, vicino al letamaio. Il bagno si faceva in un grande mastello sia di ferro zincato che di losanghe di legno come quelle delle botti per il vino, per intenderci, il catino di ferro smaltato giaceva sopra un trespolo ed erano tre uno per camera, appena sotto la brocca per l’acqua tra uno e l’altro un porta saponetta, ai lati due piccoli braccioli che servivano da porta asciugamano. Se durante la notte si voleva usare il gabinetto allora si prendevano dei grossi tazzoni “bocai del pisso” sempre di metallo e si orinava dentro e poi al mattino si svuotavano sul letamaio. Per questa ragione la mamma, alla sera, ci accompagnava nella stalla e ci consigliava di svuotarci di ogni necessità prima di coricarci a letto in modo da evitare la sveglia notturna, non gradita in certe ore soprattutto d’inverno che fa freddo e non è utile vagare in giro o uscire da casa per andare nel “gabinetto” con la casa poco riscaldata se non dal fuoco di lega messa dentro alla “cucina economica“, o passeggiare in pigiama per il cortile coperto di brina.

brocca e porta catino in una rievocazione storica

Una descrizione per comprendere come si viveva in certe case di campagna appena cinquanta anni fa e per far capire il tenore di vita che tante famiglie del nostro piccolo paese conduceva con grande umiltà e coraggio. Condizioni di vita molto simili però condivisa, utile quando era chiesto un aiuto reciproco, lo si faceva volentieri e spesso il baratto era l’unico compenso usato come pure quando si facevano le compere di generi alimentari per la famiglia, presso il nostro negozio si usavano le uova come moneta, dei clienti prendevano tre uova di zucchero, cinque di farina fiore, quattro di olio, ovviamente sfuso da versare su delle bottigliette che le persone portavano da casa oppure, tre uova di mezzi toscani, piccoli sigari venduti sfusi. E così via.

Siamo arrivati in quella casa in aprile, ma ricordo molto bene la fine di quell’anno perché un evento mi ha molto affascinato. Il mio papà agente di commercio era abituato a girare per i paesi della provincia, rimase colpito da una iniziativa di un suo cliente, un modo per conquistare molti più clienti e proprio alla fine di quell’anno. Alcune settimane prima del 31 dicembre arrivarono a casa diverse scatole di latta che contenevano dei pezzi di torrone alle mandorle, erano tutti ricoperti di carta argentata, dal profumo intenso di miele, queste scatole furono sistemate nel “granaro” e di lì a pochi giorni si cominciarono ad incartare uno per uno con la carta “da zucchero” presa dal negozio, tanti bei pacchetti che poi, io e mio fratello, dovevamo segnare col nome della famiglia di una certa via e poi tutti i nomi di quella via e poi via via fino alle vie più lontane.

Quando un componente di una famiglia arrivava in negozio per fare la spesa oltre ad augurargli buon anno nuovo gli si regalava anche un pezzo di mandorlato. L’iniziativa ebbe un certo scalpore quel tanto che iniziò immediatamente un passa parola insistente, se il primo giorno si intravedeva lo stupore nelle persone poi i giorni successivi si trasformò in festa perché le persone raddoppiarono per fare la spesa in bottega e non acquistavano le solite poche cose ma bensì anche molto di più e poi andavano via felici con dentro alla “sporta” anche il loro dolce regalo. Noi eravamo sistemati di guardia nel tinello e ad ogni entrata di mia zia che chiedeva il pezzo di torrone di quel dato cognome dovevamo prenderlo dal grande tavolo diviso per vie e darlo nelle sue mani e senza sbagliare visto che esistevano famiglie che il cognome ce l’aveva uguale: Tolin, Codogno, Friso, Bordigato, Berensi, poi Cattelan, Mingardi, Maritan e così via fino all’esaurimento di tutti i nomi. Quei giorni di fine anno sono stati per tutta la famiglia un evento straordinario anche perché fecero visita alcuni a noi sconosciuti forse provenienti da dei paesi vicini, Bovolenta, Casalserugo, Bertipaglia, ma non c’era il loro cognome scritto sull’a carta’involucro del torrone e così in fretta e furia si rimediava prendendo dei pezzi di riserva con la zia che ci ripeteva il cognome da scrivere, a parte qualche disputa sulle precedenze da scrivere tutto filò liscio in quella prima giornata di boom di acquisti.

Fu uno dei periodi dell’anno più importanti della nostra famiglia perché gli affari andarono benissimo e a tavola si ricordavano tutti quelli che ci avevano visitato in negozio ma anche quelli che mancavano all’appello e questo ci dispiaceva così che due giorni dopo “il capodanno” la nonna e la zia ci incaricarono di andare a far visita a quelle famiglie che non erano presentate. Ci siamo incamminati a piedi perché le strade erano ghiacciate e si poteva scivolare a terra, poi si suonava e dopo le scuse o perché a letto febbricitanti, ricevevano il loro pezzo di torrone e durante i saluti qualcuno ci dava una “mancia“, dieci, venti lire, fatti gli auguri si fuggiva felici fino a raggiungere l’altra casa che in certe strade era a qualche chilometro di distanza.

partita-a-palle-di-neve

Un inizio d’anno indimenticabile e l’ultimo di quei giorni di consegne, ingrigito il cielo cominciò a nevicare che proseguì anche il giorno dopo, e qualcuno di casa sollevato da una certa preoccupazione: “varda che fatalità apena finio el giro ga anca scumisià a nevegare” se poteva sembrare una difficoltà mandarci in giro a visitare le famiglie con le strade coperte di neve, per noi invece si rivelò l’occasione per incontrare nuovi bambini subito invitati per fare delle stupende battaglie a colpi di palle di neve.

 L’evento di quel fine d’anno venne replicato per altri anni a seguire finché altri copiarono l’iniziativa con proposte più invitanti ma a mio papà non piaceva la competizione e così ridimensionò la sua proposta.

Le foto sono della collezione di Paolo Nequinio e quella della battaglia di palle di neve è della collezione  della mia cara amica Giulia Miazzo, una straordinaria artista di poco più di ottanta anni.
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